FONTE: "la Repubblica" del 03/05/24.
Articolo: "Divorziare sotto le bombe. A Gaza senza prospettive le famiglie si sgretolano" di SAMI al-AJRAMI.
IL CAIRO - La frustrazione della guerra in corso, la perdita del lavoro, la paura e lo sfollamento costante, infine la vita nei rifugi con elementi minimi per la sopravvivenza hanno reso più fragili le relazioni nelle famiglie di Gaza.
Molto più spesso si raggiunge un punto di non ritorno e si divorzia. In molti casi gli uomini nervosi e depressi, si sentono impotenti di fronte alla realtà, e in molti casi le donne restano sole nei rifugia occuparsi dei figli.
Divorziare è possibile nella Striscia, e relativamente semplice se c'è il consenso dell'uomo. Molto più complesso se è solo la donna a volerlo.
Quando parliamo di "divorzio" , nel contesto attuale, ci riferiamo a una dichiarazione fatta a parole e alla separazione fisica: non ci sono autorità in questo momento in grado di emettere documenti veri e propri.
Nariman Mohamed, una donna di 34 anni del Nord di Gaza, ora è divorziata e vive in una tenda nella parte occidentale di Rafah, tra migliaia di tende. Si sveglia presto ogni mattina per iniziare una dura giornata a cercare acqua potabile, trovare legna per il fuoco e preparare la colazione ai suoi cinque figli; ogni giorno deve pensare al loro nutrimento e questo implica camminare fino al centro di distribuzione per ottenere le razioni. Non tutto ciò di cui la famiglia ha bisogno si trova nei pacchi. Quindi deve vagare in cerca di ong che forniscono prodotti per bambini e donne. E' un pellegrinaggio quotidiano estenuante, che ora si trova a dover affrontare da sola.
"Prima della guerra, mio marito ed io non avevamo un buon rapporto, ma non avevamo mai pensato al divorzio" , ha detto. Con l'inizio dei bombardamenti è dovuta fuggire con la sua famiglia dal Nord alla casa della famiglia del marito: con molte persone stipate in una sola abitazione lo stress è stato alto: "Lui si arrabbiava facilmente, mi ha colpito due volte, e mi ha quasi ucciso con un colpo dalla sua pistola", racconta. Suo marito era un poliziotto, e lei ha dovuto prendere i suoi figli e scappare. Poche settimane dopo ha divorziato.
Mariam Al-Sayed, 26 anni, non è un caso diverso da Nariman: ha superato un cancro e ha avuto un bambino. Con la guerra però, suo marito è diventato più violento e aggressivo.
"Sono rimasta scioccata quando mio marito ha deciso di divorziare, non avevo un posto dove andare, ho due bambini piccoli, senza soldi e senza vestiti", spiega. E' scappata sotto i bombardamenti e infine si è rifugiata nelle tende. Ha bisogno di cure mediche ma anche di aiuto mentale. Lotta per tenere i figli al sicuro.
Le ong durante la guerra cercano di fornire specialisti per aiutare la società a far fronte a una situazione disperata.
Nermin Abu Jayab , assistente, ha detto che deve trattare con molte donne: "Le persone sono per lo più traumatizzate: hanno perso la casa e la fonte di reddito, di conseguenza perdono anche la capacità di controllare le proprie famiglie", spiega. "Sto lavorando con donne che hanno perso i loro mariti e anche con donne divorziate", dice. Le aiuta a far fronte alla realtà di essere rimaste senza patner che le supportino e si occupino di loro in momenti così difficili, e a iniziare a dipendere da se stesse per superare le crisi. E' una lotta quotidiana per la sopravvivenza e contro la depressione.
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