giovedì 19 gennaio 2017

SPORT. Idea diversa di calcio


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 28/10/16.
ARTICOLO: "IL GRANDE LEBOWSKY NON E' UN FILM MA UNA SQUADRA DI CALCIO" DI MICHELE BOCCI.

FIRENZE. Immaginate la scena: bambini in calzoncini corti che si allenano correndo in mezzo agli alberi nel parco pubblico. Quello stesso parco che ha rischiato di finire in mani private e che invece adesso è diventato un campo da gioco con tanto di porte.
A Firenze c'è una scuola calcio unica, nel cuore di un quartiere popolare  come San Frediano, con una visione tutto particolare della formazione sportiva e umana.
L'hanno messa su quelli del Centro Storico Lebowsky (dal film cult dei fratelli Coen), società nata una decina di anni fa per portare avanti un'idea di pallone lontana dal business, dalle partite ogni tre giorni, dalle tv che spadroneggiano.
La prima squadra, che gioca in prima categoria, viene seguita ogni settimana da 2-300 persone, un numero enorme di tifosi per quei contesti. Il numero di soci, 500, è da far invidia a realtà ben più grandi.
Dall'anno scorso, accanto alla prima squadra, a quella juniores, amatori e calcio a 5 femminile, è nata una scuola calcio. Gli allenamenti si fanno il martedì e giovedì al giardino dei Nidiaci, dove un gruppo di giovani istruttori si occupa di bambini tra i 5 e i 10 anni. La cosa ha preso piede velocemente.
Ad oggi gli iscritti sono 60 ma il numero è destinato a salire. Una crescita che ha colpito anche la Federazione gioco calcio della Toscana.
"Il nostro progetto nasce insieme al territorio, dal basso, seguendo la lotta che il quartiere di San Frediano ha fatto per salvare il suo giardino", spiega Lorenzo Giudici, responsabile degli istruttori.
"Invece di seguire l'impostazione sempre più agonistica delle scuole che scimmiottano i grandi, ripartiamo, non solo nei metodi pedagogici ma anche negli spazi, dal gioco di strada".
Ad allenarsi può andare chi vuole, mentre, per partecipare ai tornei è necessario che uno dei genitori diventi socio Lebowski, pagando 50 euro.
"Per noi il calcio è sempre stato uno strumento di intervento nella comunità. Lavorare con i bambini è un modo per essere radicati nel territorio" continua Giudici. Che spiega come riescano a contenere i prezzi: "Abbiamo sponsor che ci aiutano e organizziamo feste e cene di autofinanziamento".
Le assemblee del Lebowski da sempre si fanno allo storico centro sociale fiorentino, il Cpa. Sono in molti ad andarci. Da qualche tempo sono arrivati anche i genitori dei bambini.
"Il movimento cresce e abbiamo bisogno di spazi" chiude Giudici. "Ci serve un secondo campo per gli allenamenti".



MISSIONI. Essere ancora presenza


FONTE: "MISSIONARI SAVERIANI" dicembre 2016.

Dopo 47 anni di missione africana, Rina Mondin, saveriana di Monte di Malo (VI), è ripartita in ottobre per il Congo RD.

"Davanti a questa partenza, che potrebbe essere l'ultima della mia vita, dati i miei 82 anni, non ho altre pretese che essere fra la gente presenza del Signore, in quello che posso ancora fare: in comunità, nell'incontro con le persone, nella scuola, con i giovani, con i laici.
Importante per me non è tanto ciò che vado a fare, ma essere questa presenza. Che possa incoraggiare, dare speranza, compatire, condividere le situazioni che incontrerò. Vorrei offrire quell'ascolto di tenerezza, a cui tante volte ci esorta il Papa.
Il Signore ha sostenuto la mia vocazione, che è stata in me viva. Ho sempre sentito l'entusiasmo di vivere questo dono che il Signore mi ha messo nelle mani. La grazia di Dio, la comunità, tanti amici, la mia parrocchia d'origine in Italia, le persone e i gruppi con cui abbiamo condiviso tempo e lavoro mi incoraggiano a continuare, anche per trasmettere il dono della vocazione ricevuta.
"Sei tornata più in forma che altre volte, così puoi tornare in Congo e continuare la tua missione", mi hanno detto.
Altri mi hanno chiesto: "Ma parti ancora?"
Una mamma, vedova, con tribolazioni per i figli, mi ha confidato: "Sono contenta di salutarti... Il tuo andare, tornare e ritornare è stato un esempio per la mia vita. Ho visto che non ti fermi ma continui".
Ma anche il suo esempio fa bene a me. La gioia della vocazione mi dà la forza di stare in piedi, per questo parto con gioia e gratitudine".


RIFLESSIONI. Chi sono i nemici?


FONTE: libro "Il manoscritto ritrovato ad Accra" di Paulo Coelho, edito da Bompiani.

CHI SONO I NEMICI?

Ci capiterà di affrontare rivali in ogni campo nel quale sceglieremo di agire, ma quelli più pericolosi saranno coloro che reputiamo amici.

Spesso un comportamento eccessivamente gentile è indizio di un pugnale nascosto, pronto per essere utilizzato.

Gli uomini e le donne leali non si preoccupano di dissimulare la propria indole, giacché i loro simili ne comprendono le qualità e i difetti.

Sappi che, se qualcuno si profonde in continue lodi e apprezzamenti nei tuoi confronti, devi impegnarti per allontanarlo dalla tua vita.

Se consenti a una persona codarda e vile di entrare nel tuo mondo, devi aspettarti di patire un dolore terribile.

Tanto più fragile è l'individuo malintenzionato, tanto più pericolose sono le sue azioni.

Se qualcuno ti affronta per confutare le tue idee o i tuoi ideali, accetta la lotta: in ogni momento della vita è presente un conflitto e, quando si palesa, spesso aiuta a progredire.

In qualsiasi caso, non dovrai batterti per dimostrare che hai ragione, o per imporre il tuo pensiero o le tue aspirazioni, ma per rivendicare la libertà del tuo spirito e la forza della tua volontà.

Se qualcuno ti invita a batterti con una provocazione, scrolla via la polvere dai tuoi sandali e prosegui nel cammino. Lotta soltanto con avversari onesti e meritevoli - rifuggi da coloro che si affidano a espedienti per prolungare una guerra ormai giunta all'epilogo.

Il nemico non è colui che ti affronta a viso aperto, con la spada stretta in mano, bensì  la persona che procede al tuo fianco, con un pugnale nascosto dietro la schiena.

Sforzati di non ripagare l'odio con l'astio, ma con la comprensione e la giustizia.

Il mondo non si divide tra nemici e amici, ma tra deboli e forti.
I forti si mostrano generosi nella vittoria.
I deboli si riuniscono in schiere per attaccare i vinti, ignorando che la sconfitta è effimera.
Tra i perdenti, dedica le tue attenzioni a coloro che sembrano più vulnerabili.

Ricorda: i nemici non sono gli avversari, che esistono per mettere alla prova il tuo coraggio, bensì i codardi, la cui esistenza si prefigge soltanto di rivelare al mondo le tue debolezze.


SCUOLA. Un maestro speciale


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 25/11/16.
ARTICOLO: "Il mio maestro è un grande, non dà né voti né compiti" di SALVO INTRAVAIA.

La scuola di Davide  Tamagnini piace a tutti.
E' a misura di bambino e di genitori. Non crea stress e apre un altro fronte rispetto all'idea (antica) che si ha dell'istruzione sui banchi.
Sì, perché qui non ci sono voti, sono bandite le interrogazioni, niente libri e soprattutto niente compiti a casa, almeno per i primi anni.
Non è la scuola di Lucignolo e neppure quella disegnata da qualche estemporaneo riformatore. Nella IV B della scuola primaria Don Ferrari di Pombia si studia. Solo in maniera diversa. Il merito di un maestro-sognatore che lavora nel paesino di duemila anime in provincia di Novara.
Un'esperienza, la sua, che sembra funzionare a meraviglia. Capovolgendo tutti paradigmi della didattica tradizionale con il via libera del Ministero.
Cosa vuol dire capovolgere tutti i paradigmi della didattica tradizionale?
Primo: niente libri di testo.
"Se a un mio alunno è accaduto qualcosa a casa, iniziamo la lezione discutendo proprio di questo. Stesso discorso quando andiamo nel parco del Ticino e osserviamo la natura. Studiamo quello che abbiamo intorno: foglie, radici, alberi", spiega Tamagnini.
"Oppure andare al supermercato a fare la spesa è anche un modo per comprendere l'aritmetica".
Così nascono le lezioni in quella classe molto speciale della Ferrari. Lezioni tutte basate sull'esperienza.
"L'idea" spiega Tamagnini, "è quella di portare la vita all'interno delle classi. Partendo dagli alunni e dallo loro esperienze".
Secondo niente voti.
"Ho sempre pensato che i voti non c'entrino nulla con gli alunni. In molti casi sono un ostacolo e determinano odiosi paragoni. Le classiche valutazioni con i voti da uno a dieci Tamagnini le ha sostituite con i colori del semaforo: verde , per chi ha raggiunto un obiettivo, arancione, per chi deve ancora migliorare e rosso per gli alunni che non l'hanno raggiunto.
In questo modo niente musi lunghi per i cattivi voti né atteggiamenti di superiorità da parte di quelli bravi. Inoltre alla fine dell'anno la pagella sarà a colori.
Terzo: niente interrogazioni per i primi tre anni.
"In quarta si ripetono i contenuti dei libretti scritti dai ragazzini e dall'insegnante che diventano una sorta di diario che raccoglie le nostre esperienze di studio".
A questo si aggiunge la lettura di due libri: la Breve storia del mondo di Gombrich e Matilde di Dahl.
Quarto: niente compiti per i primi due anni.
"All'inizio, i bambini non sono in grado di essere autonomi. E poi a casa non tutti sono nelle condizioni di poter aiutare i propri figli" prosegue il maestro.
"Non sempre ci sono tempo, voglia e competenze. Da qui l'idea di non assegnarne. Che è anche un modo per non marcare le differenze tra gli alunni".
Dalla terza classe in poi, gradualmente, si inizia con piccoli compiti che i bambini sono in grado di svolgere senza troppo aiuti esterni.
"Rinunciare al voto e alle interrogazioni non vuol dire non imparare. Vuol dire, semplicemente, imparare in maniera più serena".

giovedì 12 gennaio 2017

OGGETTI. Lampadario artistico






RACCONTI. Dove andare?

FONTE: Libro "Pretacci" di Candido Cannavò edito da Rizzoli.

Racconto di don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano.

"Anno 1972: ero da poco entrato al Beccaria come cappellano. 
Un ragazzo di nome Angelo, arrivato da Baggio, doveva lasciare il carcere. Quando lo salutai, mi disse bruscamente:
"Lei dice che devo ricostruirmi una vita. Ma dove vado? Non ho casa , non ho neanche un posto dove dormire stanotte".
Condizione non rara: il dramma della fine pena.
"Devi uscire."
"Non voglio."
Battute agghiaccianti. Angelo aggiunse:
"L'unica soluzione è questa: rubo una macchina, mi faccio arrestare e torno qui in carcere."
Io avevo due camere a disposizione. Lo invitai a venire da me. Fu il primo della serie: le mie camere diventarono una sorta di comunità-alloggio per i minori. Là nacque l'idea dell'accoglienza che si è poi sviluppata sino alle grandi dimensioni attuali.
Fuori dal carcere, il primo centro nacque in via Gaetano De Castillia. Si sparse la voce e in breve ebbi l'aiuto di dieci volontari. Tra loro c'erano persino magistrati del tribunale e della procura. E a far servizio alcuni obiettori di coscienza.
Hai visto? Gente buona se ne trova dovunque."


DON CAMILLO. A piccoli passi




FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

A PICCOLI PASSI (per un percorso che si prospetta lungo)

Nella settimana scorsa, con l'aiuto di alcuni volonterosi, ho tolto le varie statue che erano state collocate negli angoli degli altari laterali.
Si è trattato di un intervento suggerito dall'opportunità di alleggerire gli stessi altari laterali eccessivamente soffocati da troppe cose  per restituire ad essi stessi la loro semplice e bella linearità e la loro identità di altari dedicati.
C'è stata anche una motivazione legata alle disposizioni del Concilio Ecumenico II contenute nella costituzione "Sacrosanctum Concilium" (4/12/1963) riguardante il rinnovamento della liturgia. Al capitolo VII paragrafo 125 leggiamo così "si mantenga l'uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre. Tuttavia si espongano in numero moderato e nell'ordine dovuto, per non destare ammirazione nei fedeli e per non indulgere ad una devozione non del tutto retta".
Le statue sono state collocate non in un ripostiglio, ma in Sagrestia, esposte in modo da essere valorizzate. Verranno esposte di volta in volta in chiesa parrocchiale in corrispondenza con la festa liturgica del santo che rappresentano.
La statua di san Giovanni Battista resterà, invece, sempre esposta di fianco all'Ambone, poiché si tratta del nostro patrono.
Ho tolto dall'altare maggiore le candele e i fiori lasciandolo completamente libero perché l'altare è simbolo di Cristo: se lo carichiamo di ornamenti, questi finiscono per sminuire se non addirittura per soffocare questo intenso simbolismo che viene invece meglio esaltato dalla sua essenziale semplicità. I fiori e i ceri li collochiamo invece davanti all'altare stesso.
E' stato valorizzato l'Ambone: un altro riferimento importante della liturgia. E' il luogo dal quale si proclama la parola di Dio. Lo abbiamo riservato esclusivamente a questa finalità. Perciò tutto quello che è preghiera, o commenti, o riflessioni, o messaggi, viene letto dall'altro lato del presbiterio (per capirci meglio: dalla parte del battistero) dove abbiamo collocato un leggio semplice per indicare che la nostra parola è importante, sì, ma non quanto la Parola di Dio.
E' stato collocato di fianco al tabernacolo il cero liturgico che in tutte le chiese indica la presenza del Santissimo. E' significativo che solo di fianco al Tabernacolo sia acceso tale cero per indicare l'UNICITA' della presenza eucaristica. Davanti agli altari dei santi, invece, si possono accendere candele o lumini come gesto devozionale evitando di collocare ceri liturgici simili a quelli del Santissimo.
Sono stati tolti dagli altari laterali anche i fiori di plastica perché più che esprimere festa e vitalità, comunicano freddezza e immobilità. Tutto ciò che è finto non è adatto alla Chiesa. Piuttosto non si mette niente.
Infine abbiamo coperto con l'allarme tutti gli altari laterali oltre naturalmente all'altare maggiore. Questo, con lo scopo di lasciare aperta la chiesa tutto il giorno riducendo al minimo il rischio di furti sacrileghi.
Con il nuovo sistema di allarme scatta se si oltrepassa una certa linea; diversamente se ne sta tranquillo.
Non si tratta di interventi stratosferici, ma di piccoli accorgimenti per dare più vitalità alla liturgia stessa e recuperare il senso originale dei vari segni e dei gesti.
Così. a piccoli passi proseguiamo il cammino di fede in continuità con quello che si è già fatto e in previsione di quello che si farà in seguito.

                                          Don Camillo



VIVERE INSIEME. Le donne-mulo


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 18/12/16.
ARTICOLO: "Vite da porteadoras le donne-mulo al confine tra Spagna e Marocco" di ALESSANDRO OPPES.

"Sono come i topi, capiscono solo le randellate".
Parole di un tutore dell'ordine, uno di quegli agenti dei reparti antisommossa della polizia spagnola che vigilano con zelo tutto speciale la frontiera sud d'Europa, in territorio africano.
I "topi" in questione sono in realtà esseri umani che fanno una vita d'inferno: 7-8 mila marocchine che ogni giorno all'alba lasciano le loro case nella provincia di Tetuàn, attraversano a piedi il confine di Tarajal che dà accesso all'enclave spagnola di Ceuta, e poi tornano indietro tra mille difficoltà, cariche come mule.
Le chiamano "porteadoras", le portatrici, lavoratrici frontaliere che per un guadagno esiguo - 8 euro al giorno di norma, si può arrivare a 25 in casi eccezionali - si mettono in spalla enormi pacchi di merci in genere già confezionate e imballate e li portano ai committenti marocchini, dai quali ricevono un piccolo compenso.
La paga è proporzionale al peso del fagotto (che di solito contiene capi d'abbigliamento, scarpe, coperte, prodotti tecnologici o articoli di ferramenta), perciò è difficile che si scenda al di sotto dei 50 chili, a volte si raggiungono gli 80 o 90.
Tutto ciò che si porta addosso, per la legge marocchina, è bagaglio a mano, esente da eventuali tariffe doganali.
Da qui l'esigenza dello sforzo bestiale, anche perché è molto difficile che le porteadoras possano compiere più di un viaggio al giorno. Le lunghe file, la ressa, gli spintoni per arrivare in Spagna, poi la corsa verso il mercato locale dove raccolgono i pacchi. E infine - spesso dopo lunghe attese sotto il sole cocente della spiaggia del Tarajal, senza acqua potabile, senza servizi igienici - il cammino di ritorno verso il Marocco attraverso il passaggio da incubo di Biutz.
Ed è soprattutto qui, in questa terra di nessuno che, per la Apdha, associazione andalusa per i diritti umani, avviene la maggior parte degli abusi tanto della polizia spagnola come di quella marocchina: insulti, vessazioni, aggressioni, molestie sessuali.
"Ci picchiano, a volte requisiscono le merci" dice Zhora. "E quando vedono una ragazza giovane e carina, allora sì che sono problemi, grossi problemi".


giovedì 5 gennaio 2017

SALUTE. Utilità delle vaccinazioni


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 16/12/16.
ARTICOLO: "Se in Italia torna il rischio difterite" di ALESSANDRO CODEGONI.

Nel 1999 fu abolito in Italia l'obbligo delle vaccinazioni per iscriversi a scuola, rendendo così anche quella esavalente contro le malattie più pericolose "obbligatoria" solo di nome.
Negli stessi anni iniziava quella campagna mediatica contro i vaccini che, agitando pericoli inesistenti oppure largamente sopravvalutati, ha provocato un calo in tutte le immunizzazioni.
Ora i nodi stanno arrivando al pettine.
"Qualche settimana fa , per la prima volta da venti anni, abbiamo avuto un caso di difterite in Italia" dice Walter Ricciardi, medico e presidente dell'Istituto superiore di sanità.
La difterite, provocata dal batterio Corynebacterium diphtheriae , colpisce le vie aeree superiori e può avere complicazioni gravi: cardiache, nervose e renali.
"A Bologna un adulto ha sviluppato l'infezione in una forma non pericolosa per lui, che però avrebbe potuto trasmettere a un bambino non vaccinato - e ormai il 7 per cento dei nostri bambini non lo è - facendogli rischiare la vita, perché la difterite non ha cure, a parte il siero, che però da noi non viene più prodotto".
Due altri casi di difterite sono stati segnalati in Europa: nel giugno 2015 la patologia ha ucciso un bambino spagnolo di cinque anni e nel marzo 2016 una piccola belga di tre anni.
"Ora è a rischio anche l'Italia: siamo al 93 per cento di copertura antidifterica, che scende al 91 in Campania e all'87 in Provincia di Bolzano. Sotto al 95 per cento si offrono al batterio abbastanza ospiti non vaccinati da poter circolare, fino a provocare in qualcuno la malattia in forma grave".
Ancora più alto il rischio di un ritorno del morbillo.
"Si pensa sia una malattia infantile "normale", ma in effetti provoca molte complicazioni e in circa un caso su mille uccide, come è accaduto un anno fa a una bambina di quattro anni a Roma, non vaccinata.
Ormai sono nella stessa condizione due milioni fra bambini e adolescenti. La copertura vaccinale è appena all'85 per cento, in provincia di Bolzano siamo sotto al 70 per cento. Rischiamo insomma una grave epidemia, con molti morti".
Epidemia che del resto è già in atto in Romania da quando le vaccinazioni sono scese sotto l'80 per cento: quasi mille i casi di morbillo nel 2016, con sei morti.
"Intanto nelle Americhe il morbillo è stato debellato" dice Ricciardi "e noi europei veniamo guardati come pazzi incoscienti ogni volta che incontriamo i colleghi di oltre Atlantico".
C'è poi la poliomielite, la cui paura si è dissipata perché, grazie al vaccino, non incontriamo più i bambini  resi paralitici da quel virus.
"Eppure il patogeno continua a circolare: è stato rilevato in Albania, Ucraina, Siria, Israele. E da noi la copertura, scesa al 93 per cento, non ci assicura più protezione da una nuova diffusione".
Ma chi si preoccupa delle vaccinazioni non può avere qualche ragione? Non se ne fanno troppe?
"Negli ultimi nove milioni di vaccinazioni abbiamo avuto solo cinque casi di reazioni gravi: tutti shock anafilattici, comunque risoltisi senza conseguenze. I vaccini moderni hanno carichi minimi di antigeni, uno su cento rispetto a quelli con cui un bambino entra in contatto mettendosi in bocca della sabbia".
E allora cosa si può fare per affrontare questa emergenza?
"Istituto superiore di sanità e Ministero della salute stanno facendo un grande sforzo per contrastare la disinformazione, mentre saranno introdotte sanzioni, fino all'espulsione dall'Ordine, per i medici che fanno propaganda contro i vaccini.

Inoltre, dopo l'Emilia Romagna, altre regioni, a partire dal Lazio, stanno valutando se reintrodurre l'obbligo di vaccinazione per l'iscrizione alle scuole. Esagerato? Direi di no, basti pensare che nella liberale California se non sei vaccinato non ti puoi iscrivere neanche all'Università".

VIVERE INSIEME. Leggende metropolitane sulla migrazione

FONTE: "MISSIONARI SAVERIANI" DICEMBRE 2016.

Medici Senza Frontiere (MSF) ha lanciato "L'Anti-slogan", una speciale iniziativa online per sfatare le 10 principali leggende legate alla migrazione (vedi www.milionidipassi.it/antislogan). Ecco una sintesi.

  1. Ci portano le malattie. Non si ha memoria di un solo caso in cui la presenza di migranti sul territorio sia stato causa di un'emergenza di salute pubblica.
  2. Li trattiamo meglio degli italiani. Più del 70% dei richiedenti asilo vive in strutture straordinarie. I 35 euro al giorno vanno agli enti che gestiscono i centri, mentre solo 2,5 euro sono corrisposti al richiedente asilo.
  3. Aiutiamoli a casa loro. Nonostante sforzi e investimenti, i risultati sono ancora insufficienti. Gli aiuti internazionali da soli non bastano a consentire il rientro a casa in sicurezza di chi fugge.
  4. Ci rubano il lavoro. Le analisi esistenti mettono in evidenza la scarsa "concorrenzialità" tra lavoro straniero e autoctono. Inoltre, secondo l'Inps ogni anno gli "immigrati" versano 8 miliardi di euro di contributi...
  5. Vengono tutti in Italia. La maggior parte dei migranti non si "imbarca" per l'Europa. Degli oltre 65 milioni di persone costrette alla fuga nel 2015, l'86% è rimasto nelle aree più povere del mondo.
  6. Sbarcano i terroristi. La maggior parte degli affiliati ai gruppi terroristici coinvolti negli attentati in Europa era già presente sul territorio. I rifugiati non sono terroristi, ma vittime del terrore.
  7. Sono pericolosi. Studi internazionali negano una corrispondenza diretta tra l'aumento della popolazione immigrata e le denunce per reati penali.
  8. Non scappano dalla guerra. I motivi che spingono le persone a fuggire sono diversi e spesso correlati.
  9. Sono tutti uomini giovani e forti. Perché hanno una condizione fisica migliore per poter affrontare un viaggio, ma il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in aumento.
  10. Hanno pure lo smartphone. I cellulari sono beni di prima necessità, sono il mezzo più economico per stare in contatto con i propri familiari.