mercoledì 27 gennaio 2021

DON CAMILLO. L'amore per gli animali

 



FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

L'AMORE PER GLI ANIMALI

Più di una volta ho sentito commenti di questo tipo: "Gli animali sono molto meglio degli umani".
Personalmente credo che sia un'affermazione eccessiva.
E' vero che ci sono persone che si comportano in modo talmente vigliacco e feroce che non c'è uguale nel mondo animale. Ma è altrettando  vero che ci sono persone che manifestano una sensibilità, una tenerezza, una generosità e uno spirito di servizio capace di stupire anche gli Angeli. L'uomo e la donna sono creature che sanno toccare gli estremi opposti: essere peggiori delle bestie feroci ed essere migliori degli Angeli. Questi due estremi ognuno li porta dentro di sè. Spetta poi alla libertà personale, nella misura in cui si apre alla Grazia di Dio, orientarsi nell'una  o nell'altra direzione arrivando a toccare o meno il limite. 
Detto questo, certamente gli animali sono creature speciali: il penultimo anello della creazione che il Signore ha realizzato a servizio della persona umana; le più vicine alla sensibilità umana, destinate anch'esse a entrare insieme a tutta la creazione "nella libertà della Gloria dei figli di Dio" (cfr Rom 8,19-23). Non si tratta qui di affermare che anche gli animali sono intelligenti e possiedono un'anima spirituale, ma che anche loro, come ogni creatura sono destinati a far parte dei cieli nuovi e della terra nuova che Dio realizzerà alla fine dei tempi, quando tutta l'umanità sarà pronta ad accogliere questo compimento della Redenzione. Nulla va perduto della creazione. Tutto sarà portato alla sua pienezza. Come sia possibile la realizzazione di questo, sono "affari suoi" (del Creatore) che certamente non ha bisogno dei nostri consigli perché sa destreggiarsi bene di suo in questo campo!!
Nostro dovere è quello di rispettare tutte le creature: servircene per quello che esse offrono per la nostra cura e utilità, ma nel rispetto della loro natura e senza abusare. In questa cornice io inserisco l'amore per gli animali che deve evitare gli estremi che vanno dal "portarseli a letto", fino a prenderli a bastonate o a ucciderli per divertimento o per rabbia. L'equilibrio è sempre d'obbligo in questo campo come in ogni altro campo.
Se io sono vegetariano perché ritengo che questa sia la dieta migliore per il mio equilibrio psico-fisico, va bene; se sono vegetariano perché ritengo che uccidere un animale per mangiarlo sia un crimine, non va altrettanto bene. Se è un crimine maltrattare un animale o ucciderlo per capriccio personale, non è un crimine ucciderlo per mangiare: anche questo fa parte del servizio che l'animale offre all'uomo. Gesù stesso, che di rispetto del creato se ne intendeva, mangiava tranquillamente i pesci, i capretti e gli agnelli....
E comunque, chi pensa  che sia un crimine uccidere un animale per mangiarlo, perché non pensa che sia altrettanto un crimine tagliare la verdura per mangiarla, visto che la verdura gode di vita propria? Il rispetto per la natura (animale o vegetale che sia e ci metto anche quella minerale) non è contrario al suo utilizzo per il nostro sostentamento: ce lo insegna tutta la catena alimentare che fa da base alla vita.
Ci sono, poi, animali detti "di compagnia" che l'uomo ha addomesticato (anche questo, se si vuole essere pignoli, è una forzatura della loro natura). Riguardo a questi animali, il buon senso dice che non va bene ucciderli per mangiarseli, proprio per il rapporto affettivo particolare che si è stabilito con loro, anche se mi sembra esagerato costruire per loro un "mausoleo" quando muoiono o mettersi in lutto per non so quanto tempo. Tutto è sempre questione di equilibrio; quell'equilibrio che si acquista incominciando ad amare in modo sano se stessi (imparare ad apprezzarsi senza sopravvalutarsi) per amare in modo altrettanto sano le persone con le quali si vive (imparare ad accettarle e a rispettarle nella loro libertà per come sono, e a stabilire con loro una reciprocità di dialogo, di valorizzazione e di collaborazione, evitando il rischio di fagocitarle o di soffocarle col troppo affetto).
Se siamo capaci di questo, tutto si allinea tranquillamente, nel modo giusto, anche l'amore per gli animali.
                                 don Camillo

PAPA FRANCESCO. Intervista sullo sport. 2

 

Da bambino lei ha raccontato che andava allo stadio con i suoi genitori a vedere le partite di calcio.

"Ricordo molto bene e con piacere quando, da bambino, con la mia famiglia andavamo allo stadio, El Gasometro. Ho memoria, in modo particolare, del campionato del 1946, quello che il mio San Lorenzo vinse. Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l'adrenalina nel sangue. Poi  ho un altro ricordo, quello del pallone di stracci, la pelota de trapo: il cuoio costava e noi eravamo poveri, la gomma non era ancora così abituale, ma a noi bastava una palla di stracci per divertirci e fare, quasi, dei miracoli giocando nella piazzetta vicino a casa. Io non ero tra i più bravi, anzi ero quello che in Argentina chiamano un "pata dura", letteralmente gamba dura. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte... E ho giocato anche a basket, mi piaceva il basket perché mio papà era una colonna della squadra di pallacanestro del San Lorenzo".

Lo sport  è un momento di festa e celebrazione. Una sorta di liturgia, di ritualità, di appartenenza. Non per nulla si parla di "fede sportiva".

"Lo sport è tutto ciò che abbiamo detto: fatica, motivazione, sviluppo della società, assimilazione delle regole. E poi è divertimento: penso alle coreografie negli stadi di calcio, alle scritte per terra quando passano i ciclisti, agli striscioni d'incitamento quando si svolge una competizione. Trombe, razzi, tamburi: è come se sparisse tutto, il mondo fosse appeso a quell'istante. Lo sport, quando è vissuto bene, è una celebrazione: ci si ritrova, si gioisce, si piange, si sente di "appartenere" ad una squadra. "Appartenere" è ammettere che da soli non è così bello vivere, esultare, fare festa. E' curioso, poi, che qualcuno leghi la memoria di qualcosa con lo sport: "L'anno in cui la squadra ha vinto lo scudetto, in cui il tal campione ha vinto la tal competizione. L'anno delle Olimpiadi, dei Mondiali". In qualche modo lo sport è esperienza del popolo e delle sue passioni, segna la memoria personale e collettiva. Forse sono proprio questi elementi che ci autorizzano a parlare di "fede sportiva"".

C'è una pagina dello sport, o un avvenimento, che lei ricorda con piacere?

"Non ho una così grande conoscenza in materia, ma le posso dire che seguo con interesse tutte quelle storie di sport che non sono fini a se stesse, ma provano a lasciare il mondo un po' migliore di come lo trovano. Quando, durante un viaggio apostolico, sono stato allo Yad Vashem a Gerusalemme, ricordo che mi raccontarono di Gino Bartali, il leggendario ciclista che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi in bicicletta, partiva da Firenze alla volta di Assisi e faceva ritorno con decine di documenti falsi nascosti nel telaio della bici che servivano per far fuggire e quindi salvare gli ebrei. Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine. Così facendo offrì una vita nuova a intere famiglie perseguitate dai nazisti, nascondendo qualcuno di loro anche a casa sua. Si dice che aiutò circa ottocento ebrei, con le loro famiglie, a salvarsi durante le barbarie a cui vennero sottoposti. Diceva che il bene si fa e non si dice, se no che bene è? Lo Yad Vashem lo considera "Giusto tra le nazioni", riconoscendo il suo impegno. Ecco la storia di uno sportivo che ha lasciato il mondo un po' meglio di come lo ha trovato".

Della dinamica sportiva, come del fatto di vivere, fanno parte la sconfitta e la vittoria.

"Vincere e perdere sono due verbi che sembrano opporsi tra loro: a tutti piace vincere e a nessuno piace perdere. La vittoria contiene un brivido che è persino difficile da descrivere, ma anche la sconfitta ha qualcosa di meraviglioso. Per chi è abituato a vincere, la tentazione di sentirsi invincibili è forte: la vittoria, a volte, può rendere arroganti e condurre a pensarsi arrivati. La sconfitta, invece, favorisce la meditazione: ci si chiede il perché della sconfitta, si fa un esame di coscienza, si analizza il lavoro fatto. Ecco perché, da certe sconfitte, nascono delle bellissime vittorie: perché, individuato lo sbaglio, si accende la sete di riscatto. Mi verrebbe da dire che chi vince non sa che cosa si perde. Non è solo un gioco di parole, chiedetelo ai poveri".

Dietro ogni grande campione c'è un allenatore. Allenare è un po' come educare.

"In qualche modo sì. Nel momento della vittoria di un atleta non si vede quasi mai il suo allenatore: sul podio non sale, la medaglia non la indossa, le telecamere raramente lo inquadrano. Eppure, senza allenatore, non nasce un campione: occorre qualcuno che scommetta su di lui, che ci investa del tempo, che sappia intravedere possibilità che nemmeno lui immaginerebbe. Che sia un po' visionario, oserei dire. Non basta, però, allenare il fisico: occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare. Più l'atleta è geniale, più è delicato da trattare: il vero allenatore, il vero educatore, è colui che sa parlare al cuore di chi nasce fuoriclasse. Poi, nel momento della competizione, saprà farsi da parte: accetterà di dipendere dal suo atleta. Tornerà in caso di sconfitta, per metterci la faccia".


                                       continua

                                                                                          





giovedì 21 gennaio 2021

RES PUBLICA. Nella Turchia di Erdogan

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" novembre 2020.
Articolo: "Avremo giorni" di ANDREA SEMPLICI.

Zehra Dogan, 31 anni, artista curda, ha voluto ricordare la doppia Resistenza di Brescia con un murale di 130 mq nella piazza del Foro. Lo ha disegnato con tecniche digitali, da lontano: Zehra non è potuta venire in Italia bloccata dalla pandemia.
Le poche, buone notizie dalle periferie della Turchia appartengono alle donne. Soprattutto alle donne curde. Emerge l'arte come difesa estrema di una speranza. Emergono le parole di queste artiste, degli avvocati, di chi resiste alla ferocia del regime turco, al Sultano Recep Tayyip Erdogan.
Zehra ha passato 2 anni, 9 mesi e 22 giorni in carcere. Imprigionata per un disegno che raffigurava bandiere turche sulle rovine di Nusaybin. E' riuscita a portare fuori dalla sua cella 56 disegni. Le erano vietati i pennelli: ha usato avanzi di cibo, capelli, sangue mestruale, stagnola dei pacchetti di sigarette, brandelli di lenzuola. La mostra che organizzò, una volta libera, si chiamava: "Avremo giorni migliori". 
Ascolto le parole di Didem Baydar, 32 anni, avvocata, moglie di Aytac Unsal, anche lui avvocato, liberato dopo 200 giorni di sciopero della fame: "Dopo aver lottato e sofferto le cose belle possono arrivare".
Non per Ebru Timitik, 42 anni, avvocata, morta dopo 238 giorni di digiuno; Helin Bolek, 28 anni, 288 giorni di sciopero della fame, e Ibrahim Gokcek, 40 anni, senza cibo per 323 giorni: entrambi erano musicisti della band Grup Yorum. E nemmeno l'attivista Mustafa Kocak, 28 anni, 296 giorni senza mangiare.
Erdogan gioca alla guerra nel Mediterraneo orientale, manda i suoi uomini (mercenari e gente d'affari) in Libia e in Siria, è presente sugli scenari somali e dell'Africa orientale. Ha nostalgia dell'impero ottomano.
Oltre 100 giornalisti sono nelle carceri turche (il Paese che più di ogni altro condanna chi scrive). Sono quasi 200 i professori universitari epurati, oltre 15 mila i dipendenti degli atenei cacciati. Ogni dissenso è un reato in Turchia. Essere giovani è un reato. Rimaniamo appesi al sorriso leggero di Didem: "Le cose belle possono arrivare".

SCUOLA. Ripartiamo dalla scuola

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" ottobre 2020.
Articolo: "Ripartiamo dalla scuola" di DANIELE NOVARA.


La scuola è tornata al centro dell'attenzione e nel cuore dell'opinione pubblica. Giustamente viene vista come una possibilità di rinascita complesssiva e di ripartenza per l'intera società. Dopo decenni di trascuratezza e di abbandono, sembra esserci una nuova consapevolezza della sua importanza.
Ma va, a mio avviso, segnalato un problema: non c'è stato un rinnovamento pedagogico e i metodi sono ancora molto basati sulla frontalità, sulla trasmissione di contenuti, su una visione della scuola basata semplicemente sull'ascolto degli insegnanti. Così non va.
In particolare, i sistemi di valutazione non hanno goduto di cambiamenti significativi. Si è rimasti ancora all'idea che i voti e i giudizi debbano essere conseguenti alla misurazione degli errori. In altre parole, posta una determinata prova, su quella base vengono valutati gli errori degli alunni e da lì discende un giudizio.
Mi racconta Marta, insegnante di scuola primaria (seconda elementare): "Ho sempre fatto molta fatica a valutare i miei alunni, fino a quando ho capito che potevo fare diversamente. Me ne sono accorta una volta in cui un mio bambino, Giorgio, dopo aver sbagliato a scrivere la parola "acqua", vedendo che mi ero accigliata, mi ha detto: "Maestra, se mi aiuti la prossima volta lo scriverò meglio". Mi è sembrata quasi una supplica, come se cercasse di convincermi di dargli un'altra possibilità. Da quella volta non ho più sgridato un alunno per le sue mancanze".  Questa semplice testimonianza ci ricorda che l'osservazione degli alunni e la loro valutazione non può basarsi sull'evidenziare sistematicamente gli errori - operazione che spesso mortifica, e addirittura blocca, l'adesione al processo di apprendimento scolastico -, ma sulla valutazione dei progressi.
Il passaggio che attende la scuola, allora, riguarda la capacità di rinnovare  i metodi di valutazione; da quelli basati sul giudizio degli errori a medodi che valutano e valorizzano i progressi. Così è per ciascuno di noi che si aspetta sempre, nella vita e nelle relazioni, di essere incoraggiato per i suoi sforzi piuttosto che valutato per i suoi sbagli. Tanto più, quindi, gli alunni che sperano che la scuola rappresenti un momento di crescita e di sviluppo delle loro risorse. Con nuovi metodi di valutazione evolutiva, la scuola potrà davvero rappresentare un punto di riferimento per la rinascita della convivialità tra le persone.
Occorre sempre considerare i punti di partenza di ogni alunno e da lì verificare gradualmente le sue conquiste. Per evitare di fare - come diceva don Milani - "parti uguali tra diseguali".


DON CAMILLO. Coltiviamo l'attesa

 



FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

COLTIVIAMO L'ATTESA

All'inizio di un nuovo anno l'augurio che rivolgo a me stesso e a tutti coloro che lo gradiscono, è quello di coltivare l'attesa.
Non intendo dire di starsene con le mani in mano in attesa che la vita ci incontri, ma piuttosto di mettersi in cammino guidati da ideali e da obiettivi capaci di motivare e sostenere la fatica del viaggio.
E' l'attesa operosa di chi sa che la Divina Provvidenza gli è alleata se è disposto a mettersi in gioco e a fare tutta la sua parte impiegando tutte le sue risorse.
Non cambiano gli eventi solo perché è finito un anno segnato da grosse fatiche e sofferenze,  e si è aperto un anno nuovo.
Si usa dire: "il nuovo anno ci porti salute e benessere". E' un augurio lecito da scambiarsi, ma si sa benissimo che questo non si avvera automaticamente. Il nuovo anno, come ogni anno e ogni nuovo giorno aspetta il tuo contributo. Si presenta con tutto il carico del passato che non si azzera mai, ma si sviluppa in forze delle tue scelte e delle tue decisioni.
Per chi sa coltivare sogni e si impegna a realizzarli, sarà certamente un anno bello e ogni giorno sarà sempre nuovo perché alimentato  dall'attesa e movimentato dall'impegno. E anche se non riuscirà a raggiungere nei tempi sognati i suoi obiettivi, ma continuerà a coltivare l'attesa e a rinnovare l'impegno, i sogni continueranno a rendere bello ogni giorno dell'anno.
E' importante avere dei sogni belli e credere che si possono realizzare. E se i sogni sono troppo grandi per l'impegno di uno solo, è importante cercare alleanze e creare squadra con chi è disposto a sognare con te con la certezza che Dio non manca mai d'irrorare con la sua Grazia l'impegno dei suoi figli.
E' sottinteso che non basta soltanto sognare la fine del COVID 19. Certamente prima o poi finirà questa pandemia come son finite tante altre in passato.
Finirà prima se l'impegno di ognuno sarà radicale e le alleanze più allargate possibile.
Ma le nostre attese non possono fermarsi qui. Sarebbe troppo poco. 
Ci sono tante cose belle da realizzare; soprattutto c'è una vita da motivare con ideali che sappiano fare da reattori per lanciarci in quell'immenso del mistero che ci appartiene e si rende provocante ogni volta che festeggiamo il Natale: il Mistero di Dio che entra nella nostra umanità per incoraggiarci e guidarci ad entrare nella sua divinità.

                                     don Camillo

INCUBO NOTTURNO

Ho sognato una strada tutta dritta
piatta piatta senza sali e senza scendi,
che si stende fino dentro l'orizzonte
e che scorre ininterrotta in mezzo al nulla.

E' angosciante anche solo a guardarla;
non m'invoglia per niente a camminare.
Non c'è nulla da scoprire in quel percorso
così privo di varianti e di sorprese.

E' la tristezza di una vita senza attese;
nostalgia di un passato ormai sepolto
che ti priva della gioia di gustare
che la vita è sempre nuova e non finisce.

Esci dal tuo incubo notturno;
cerca sempre senza mai abbandonare:
troverai dentro il cuore d'ogni istante
il progetto di un futuro da creare.

                                         don Camillo


ALIMENTI. Bere alcol a una certa età

 

FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 08/01/21.
Articolo: "A una certa età (non solo una) l'alcol fa peggio.


Quali sono i peggiori periodi della vita per bere alcol? Quelli in cui il cervello è sottoposto a cambiamenti.
L'uso di bevande alcoliche, in infinite forme, accompagna l'umanità da millenni. Ma, proprio per la sua enorme diffusione e accettazione, è anche la sostanza intossicante più pericolosa, causa di incidenti, violenze, crimini e malattie.
Per minimizzarne gli effetti negativi, avverte sul British Medical Journal Louise Mewton, gerontologa dell'Università del Nuovo Galles del Sud, bisognerebbe almeno evitare di assumere alcol nei tre momenti della vita in cui produce più danni. 
"Il primo è ben noto: la gravidanza" ricorda Mewton. "L'alcol passa infatti la placenta e altera, anche in piccole dosi, la formazione del cervello del feto, con problemi psicologici e cognitivi che affliggeranno il bambino per tutta la sua vita. Eppure ancora oggi più del 10 per cento delle donne europee assume alcolici in gravidanza".
Il secondo momento della vita in cui è bene restare sobri è l'adolescenza.
"E' il periodo in cui il cervello si riorganizza passando dalla struttura infantile a quella adulta. L'alcol interferisce con lo sviluppo delle nuove connessioni fra le aree cerebrali, portando a danni che vanno da un maggior rischio di sviluppare dipendenze a un deficit delle capacità cognitive. Il 20 per cento degli adolescenti europei beve per ubriacarsi, almeno occasionalmente".
Più sorprendente il terzo momento della vita: dopo i 65 anni.
"Recenti studi hanno mostrato che l'alcol è uno dei più forti fattori associati a ogni tipo di demenza senile. L'anziano va incontro  naturalmente a una perdita di neuroni e connessioni e l'alcol la moltiplica contribuendo a spingere il danno oltre la soglia di innesco della demenza".
Una politica che agisca su limiti, informazioni e tasse potrebbe ridurre i danni sociali e sanitari associati all'alcol.

giovedì 14 gennaio 2021

PAPA FRANCESCO. Intervista sullo sport. 1

 FONTE: Inserto "La Gazzetta dello Sport" del 02/01/21.


Introduzione


Il documento che avete tra le mani è il testo integrale dell'intervista che Papa Francesco ha concesso a La Gazzetta dello Sport, firmata da Pier Bergonzi (con l'aiuto di don Marco Pozza).
Il Santo Padre, da sempre vicino agli atleti e ai temi dello sport, ha risposto ad una trentina di domande, approfondendo in particolare le prime 7, che ruotano attorno ad altrettante parole chiave: lealtà, impegno, sacrificio, inclusione, spirito di gruppo, ascesi e riscatto che sintetizzano il suo pensiero sull'importanza e il valore dello sport.
L'intervista è stata definita e consegnata, così come la potete leggere, all'inizio di dicembre durante un incontro nella residenza di Casa Santa Marta, in Vaticano, nel quale il Papa ha ricevuto Stefano Barigelli, direttore de La Gazzetta dello Sport, Pier Bergonzi, vicedirettore della Gazzetta e autore dell'intervista e don Marco Pozza, il prete maratoneta che ha fatto anche dello sport la sua missione.
L'intervista è stata pubblicata sulle pagine della Gazzetta dello Sport e di Sportweek il 2 gennaio 2021 e può essere considerata una "Enciclica laica" sullo sport.

Chi vince non sa
che cosa si perde

Intervista di Pier Bergonzi

LEALTA'

Lo sport è lealtà e rispetto delle regole. Anche lotta alle scorciatoie, lotta al doping.

"Prendere le scorciatoie è una delle tentazioni con cui spesso abbiamo a che fare nella vita: pensiamo sia la soluzione immediata e più conveniente ma quasi sempre conduce a degli esiti negativi.
La scorciatoia, infatti, è l'arte di imbrogliare le carte. Penso, ad esempio, a chi va in montagna: la tentazione di cercare scorciatoie per giungere prima alla vetta, anziché percorrere sentieri segnati, nasconde spesso e inevitabilmente un lato tragico.
Questa capita anche nell'allenamento delle differenti discipline sportive: l'obiettivo di portare la competizione sempre più al limite può condurre a cercare scorciatoie che possono manifestarsi attraverso qualcuno che dice: "Conosco una scorciatoia per arrivare prima".
Il gioco e lo sport in genere sono belli quando si rispettano le regole: senza regole infatti, ci sarebbe anarchia, confusione totale. Rispettare le regole è accettare la sfida di battersi con l'avversario in maniera leale.
Per quanta riguarda, poi, la pratica del doping nello sport non solo è un imbroglio, una scorciatoia che annulla la dignità, ma è anche volere rubare a Dio quella scintilla che, i per i suoi disegni misteriosi, ha dato ad alcuni in forma speciale e maggiore".

IMPEGNO

Il talento è niente senza applicazione: si può nascere talentuosi ma non ci si può addormentare sopra il talento. E' il tema dell'impegno.

"La storia, non solo quella sportiva, racconta di tanta gente di talento che si è poi persa strada facendo.
La stessa parabola dei talenti (Mt 25,14-30) ci viene in aiuto in questa riflessione: il servo che al ritorno del padrone restituisce il talento ricevuto, che per paura aveva nascosto sotto terra, viene considerato malvagio non perché ha rubato ma proprio perché non ha messo a frutto ciò che aveva ricevuto in dono.
Nello sport non basta avere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l'occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi. La parabola di Matteo ci insegna che Gesù è un allenatore esigente: se sotterri il talento, non fai più parte della sua squadra. Dunque avere  talento è un privilegio ma anche e soprattutto una responsabilità, di quelle rischiose da custodire".

SACRIFICIO

Il "sacrificio" è termine che lo sport spartisce con la religione: "sacrum-facere" è dare sacralità alla fatica.

"A nessuno piace fare fatica perché la fatica è un peso che ti spezza. Se, però, nella fatica riesci a trovare un significato, allora il tuo giogo si fa più lieve. 
L'atleta è un po' come il santo: conosce la fatica ma non gli pesa perché, nella fatica, è capace di intravedere oltre, qualcos'altro. Trova una motivazione, che gli permette non solo di affrontare la fatica ma quasi di rallegrarsi per essa: senza motivazione, infatti, non si può affrontare il sacrificio. Il sacrificio, poi, richiede disciplina perché possa diventare successo. Penso, ad esempio, alla specialità del getto del peso: non è il peso, il carico, che ti fa cadere, ma come lo porti e lo lanci. Se non resti concentrato sull'obiettivo e non hai una motivazione forte, il peso ti sbilancia e ti farà cadere a terra".

INCLUSIONE

Questo sarà l'anno delle Olimpiadi. I Giochi, da sempre, sono un segno di inclusione, contrapposta alla cultura del razzismo, dello scarto.

"Chiediamo al Signore la grazia di poterci avviare verso un anno di ripartenza di tutto. Penso, ad esempio, al dramma della mancanza di lavoro e della conseguente sempre maggiore disparità tra chi ha e chi ha perso anche quel poco che aveva.
Certamente le Olimpiadi, di cui ho sempre apprezzato il desiderio innato di costruire ponti invece che muri, possono rappresentare anche simbolicamente il segno di una partenza nuova e con il cuore nuovo.
All'inizio dell'esperienza delle Olimpiadi, infatti, si prevedeva addirittura la tregua dalle guerre nel tempo delle competizioni. Ogni quattro anni, il mondo ha la possibilità  di fermarsi per chiedersi come sta, come stanno gli altri, qual è il termometro di tutto. 
Non per nulla certe gesta olimpiche sono diventate simbolo di una lotta: pensiamo al razzismo, all'esclusione, alla diversità. Celebrare le olimpiadi è una delle forme più alte di ecumenismo umano, di condivisione della fatica per un mondo migliore".

SPIRITO DI GRUPPO

Fare-squadra è essenziale nella logica dello sport. Anche della vita di tutti i giorni.

E' vero: nessuno si salva da solo. E come credente posso attestare che la fede non è un monologo, bensì un dialogo, una conversazione.
Pensiamo ad esempio a Mosè che, sul monte, dice a Dio di salvare anche il popolo, non solo lui (cfr Es 32). Verrebbe da dire, usando una metafora sportiva, che ci potremmo salvare solamente come squadra. Lo sport ha questo di bello: che tutto funziona avendo una squadra come cabina di regia. Gli sport di squadra assomigliano ad un'orchestra: ciascuno dà il meglio di sé per quanto gli compete sotto la sapiente direzione del maestro d'orchestra. O si gioca insieme, oppure si rischia di schiantare.
E' così che piccoli gruppi, capaci però di restare uniti, riescono a battere squadroni incapaci di collaborare assieme. C'è un proverbio d'Africa che dice che se una squadra di formiche si mette d'accordo è capace di spostare un elefante. Non funziona solamente nello sport questo".

ASCESI

Le storie delle grandi imprese sportive ci inducono a pensare che il gesto sportivo sia una sorta di ascesi, pur senza la religione addosso.

"Se penso alla storia di tantissimi santi e sante è evidente che fare ascesi non significa solo rinunciare, distaccarsi, fare esperienza del dolore. L'ascesi è un po' come abitare nelle periferie: ti permette di vedere e comprendere meglio il centro: estraniarsi dal mondo per immergersi ancora meglio.
Nell'antichità anche il soldato era un asceta: infatti è l'esercizio che rende asceti e proprio attraverso l'esercizio costante e faticoso si affina qualche abilità. Lo sport rappresenta tutto questo molto bene: mi immagino le scalate sugli Ottomila metri, le immersioni negli abissi, le attraversate degli oceani come dei tentativi per ricercare una dimensione diversa, più alta, meno abituale. E' riscoprire la possibilità dello stupore".

RISCATTO

Dire sport è dire riscatto, possibilità di redenzione per tutti gli uomini.

"Sì, infatti non basta sognare il successo, occorre svegliarsi e lavorare sodo. E' per questo che lo sport è pieno di gente che, col sudore della fronte, ha battuto chi era nato con il talento in tasca.
I poveri hanno sete di riscatto: offri loro un libro, un  paio di scarpette, una palla e si mostrano capaci di gesta impensabili. La fame, quella vera, è la motivazione più formidabile per il cuore: è mostrare al mondo di valere, è cogliere l'unica occasione che ti danno e giocartela. Questa è gente che non vuole farsi raccontare la vita, vuole vederla con i suoi occhi. Ha fame, tanta fame di riscatto. Per questo certe vittorie portano a commuoversi".

                                          continua


CORONAVIRUS. Il sonno durante la pandemia

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" novembre 2020.
Articolo: "La pandemia fa dormire male" di ROBERTA VILLA.


Tra gli effetti della pandemia sulla vita delle famiglie, c'è uno sconvolgimento della routine.
Se prima c'era un orario in cui suonava la sveglia, uno per andare a scuola, per i pasti, per gli sport, per altre attività e, soprattutto, per andare a dormire, ora tutto sembra più elastico.
Nei giorni in  cui fanno didattica a distanza, i ragazzi possono restare a letto un po' di più, alcuni allenamenti non sono ripresi, le occasioni per uscire si sono ridotte, e questo anche su pressione di genitori e parenti, preoccupati del possibile ruolo degli adolescenti nel diffondere il contagio. Proprio gli strumenti da cui fino a qualche mese fa cercavamo di staccare i loro occhi (computer, tablet, smartphone) sono diventati per necessità la loro principale finestra sul mondo, il modo prevalente per relazionarsi con amici e parenti, ma anche per fare scuola, oltre che per trovare svago.
Di tutto questo soffre la quantità, e soprattutto la qualità, del sonno. La questione riguarda anche gli adulti, ed è stata indagata nei mesi passati da diversi studi: due, pubblicati su "Current Biology", riferiti  al periodo di chiusure più rigorose, hanno osservato una minor differenza tra le ore di sonno nei giorni feriali e festivi, il cosidetto social shift, con un leggero aumento del tempo totale medio di sonno settimanale, più marcato quando si è indagato il cambiamento di abitudini degli studenti universitari.
Alla maggior quantità di sonno sembra però essersi associato un peggioramento della qualità: una ricerca condotta al San Raffaele di Milano ha riscontrato un allungamento del tempo necessario per addormentarsi e svegliarsi, insieme a un incremento dei sintomi di ansia e depressione, sia durante, sia dopo il lockdown.
A tutto questo hanno contribuito anche i titoli allarmanti dei giornali e le immagini inquietanti trasmesse 24 ore su 24 dalla televisione, che hanno tolto il sonno soprattutto alle persone più sensibili e fragili, e in particolare ad anziani e bambini.
Come tornare alla normalità, almeno da questo punto di vista, adattandoci a una routine diversa, in cui si sta di più a casa?
Tre pediatre dell'Università di Gainesville, in Florida, hanno provato a dare qualche consiglio ai genitori di bambini e adolescenti dalle pagine di "JAMA Pediatrics". Bisogna stabilire nuovi orari, che alternino le diverse fasi della giornata, tra cui, nel rispetto delle misure di sicurezza, un tempo di attività all'aria aperta.
Se con i più piccoli è bene cercare di tornare ad anticipare, dieci minuti per volta, l'orario in cui si fila a letto, con i più grandicelli questo orario va in qualche modo negoziato, sempre con l'obiettivo però di spostarlo così da adeguarsi alle ore di sonno raccomandate alle diverse età (9-12 ore fino a 12 anni, 8-10 fino ai 18).
Per dormire bene, poi, niente luce dalle finestre (ma sì a una lucina in camera per i più piccoli che hanno paura del buio); aspettare ad andare a letto almeno un'ora dopo cena, senza spuntini in mezzo; mantenere la camera fresca; evitare le bevande contenenti caffeina. E, infine, il consiglio più difficile ma anche il più importante: spegnere tutti i dispositivi elettronici e lasciarli fuori dalla stanza, almeno un'ora prima di dormire. Meglio leggere un bel libro.


DON CAMILLO. Messaggio agli adolescenti

 



FONTE: avvisi settimanali  parrocchia di Albegno.

GIOIELLI SPRECATI

In questa santa notte di Natale
seduti sotto un porticato
col muro che fa da schienale,
lo sguardo fisso e concentrato,

digitate con abile destrezza
e ridete senza alzare la faccia,
incapaci a celar la tristezza
che vi lega come corda e v'intreccia.

Mi avvicino e vi pongo il saluto
mentre continuate rannicchiati
nel vostro dialogo muto
sui vostri schermi stregati.

Nemmeno il più piccolo cenno
mi offrite e continuate a ciattare;
quasi foste fuori di senno
avete perso il volto solare.

Evadete da questa prigione
che vi ruba gli anni più belli;
gustate questa vostra stagione
nella quale voi siete gioielli.

                                 don Camillo




giovedì 7 gennaio 2021

CORONAVIRUS. Johnson, Bolsonaro, Trump

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" novembre 2020.
Articolo: "Sapersi fermare" di RITANNA ARMENI.

L'ultimo è stato Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, prima di lui ci sono stati Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito e Jair Bolsonaro, presidente del Brasile. Tre capi di Stato di tre grandi Paesi sono stati colpiti dal coronavirus e hanno corso un rischio mortale.
Com'è  potuto avvenire che dei leader mondiali non abbiano saputo difendersi dal virus? Siamo abituati a pensare - ed è purtroppo vero - che i ricchi e i potenti abbiano maggiore possibilità di preservarsi e di curarsi dei poveri. Che per loro le strade della salute e della prevenzione siano più facili anche nelle pandemie globali. Possibile che questi tre capi di Stato siano state vittime del loro populismo? Di sicuro, tiepidi avversari del virus e scettici sul rischio, la gravità è stata negata o fortemente sottovalutata. E i Paesi che prendevano misure nette e rigorose ridicolizzati e accusati di allarmismo; gli scienziati, nel migliore dei casi, ignorati. E' per coerenza che hanno avuto un comportamento personale così incurante e arrogante nei confronti della pandemia? Neanche questa spiegazione convince. Conosciamo non solo i privilegi ma anche l'ipocrisia del potere.
All'origine della malattia contratta dai tre capi di Stato c'è stata, in realtà, una convinzione profonda, un credo assoluto, che neppure il timore virus ha infranto. C'è stata - forte e potente - l'ideologia che è alla base della loro politica: l'adesione totale alle regole del libero mercato, della produzione e del consumo a qualunque costo, delle transazioni continue, dell'economia mondiale mossa dal motore del liberismo. Niente era riuscito a fermare le loro convinzioni, né il degrado della natura, né le sacche di povertà del pianeta, né la salute di uomini e donne. In questi mesi neppure la pandemia. L'adesione di Trump, Johnson e Bolsonaro all'ideologia della libertà del mercato è talmente convinta che i tre hanno omesso persino le doverose precauzioni personali. La forza del proprio corpo, intangibile al virus, doveva essere la dimostrazione simbolica della giustezza e della forza di ciò in cui ostinatamente credevano.
L'ideologia, che non si limita a interpretare la realtà ma pretende  di dirigerla senza mediazione e moderazione fino alla negazione della realtà stessa, può essere molto pericolosa. In passato ha provocato  guerre e milioni di vittime. Le fa ancora. Naturalmente i problemi dell'economia esistono, la sorte di milioni di persone che il virus ha attaccato nelle condizioni di vita e di lavoro sono un fatto reale e preoccupante. Il punto è che per affrontarle è necessario anche porre un limite a ciò che finora è stato ritenuto libero, sconfinato: proprio il mercato e le sue regole. Serve, se mai, proprio l'opposto, un grande movimento di solidarietà. Di fronte alla salute dei popoli è necessario anche sapersi fermare. E' ciò che i tre potenti capi non hanno saputo o voluto fare.

DON CAMILLO. Ricordando il futuro

 



FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.


RICORDANDO IL FUTURO


La nebbia avvolge ogni cosa
in questa sera di stagione inoltrata;
mi ha nascosto anche la rosa
che nell'orto resiste affannata.

E' rimasta a ricordarmi l'estate,
quei giorni all'insegna del sole,
e i viaggi in terre incantate
che a raccontarle non bastan parole.

Intravedo degli alberi a stento
una sagoma scura e sfocata:
è il mio passato che sento
esperienza ormai tramontata:

Ma la nebbia rimane per poco
e gli alberi torneranno a fiorire...
Una vampa mi si accende di fuoco
e di nuovo ritorno a gioire.

                                  don Camillo

SERGIO. Sono ammalato di PARKINSON. 3

 

Forse con le persone che non conosci ti lasci andare di più, come mi è successo davanti ad una dolce suora, che mi ha visto piangere commosso. La sua risposta è una perla che conserverò sempre nel cuore. Potrei dilungarmi ancora molto, ma diventerei prolisso ed anche patetico.
La mattina della mia uscita dalla clinica ero un po' triste, perché lasciavo delle persone, che ho apprezzato molto.
F. mi ha portato gentilmente  i bagagli all'automobile che mi attendeva e, commossi, ci siamo abbracciati.

                                           Sergio Finazzi


P.S. In questo periodo nefasto le persone "mascherate" riescono tuttavia a manifestare i propri sentimenti con gli occhi, che, come sappiamo tutti, sono lo specchio dell'anima.
Volevo pubblicare delle foto con gli occhi di tante persone: non mi è possibile per una promessa mancata.
Pubblico invece una foto senza didascalia. Ognuno gliela può attribuire in base al proprio moto dell'animo.






LIBRI. Libertà di Andrea Melis

 

FONTE: Libro "LIBERTA'" di ANDREA MELIS edito da Feltrinelli.


STORIE

DI RIVOLUZIONARI

PER RAGAZZI

CHE VOGLIONO

CAMBIARE IL 

MONDO


in collaborazione con

EMERGENCY

Queste storie raccontano che l'utopia è semplicemente qualcosa mai avvenuto prima. Questo è l'impegno che voglio condividere con voi: continuare a essere realisti e, allo stesso tempo, coltivare l'utopia.

                              GINO STRADA


PROMETEO
SPARTACO
FRANCESCO D'ASSISI
ARTEMISIA GENTILESCHI
MARIE CURIE
ALBERT EINSTEIN
GANDHI
ROSA PARKS
CHE GUEVARA
SYLVIA RIVERA
NELSON MANDELA
THOMAS SANKARA
JOYCE LUSSU
EDWARD SNOWDEN
ESTELA BARNES DE CARLOTTO