FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" maggio 2025.
Articolo: "Giovani expat: è emergenza" di RITANNA ARMENI.
Non hanno una valigia di cartone. Non hanno lasciato mogli e figli al paese e non parlano un italiano stentato. Anzi, parlano un buon inglese. Hanno lo sguardo sicuro, sono giovani e istruiti.
Nel trolley che trascinano negli aeroporti ci sono jeans, magliette, magari un libro.
Nello zaino, un laptop. In tasca, lo smartphone sempre acceso.
Eppure anche loro sono migranti. Italiani che lasciano il loro Paese per cercare altrove ciò che l'Italia oggi non riesce a offrire: un lavoro dignitoso, una carriera, un futuro.
Negli ultimi tredici anni, dal 2011 al 2023, più di 550mila giovani italiani hanno scelto di emigrare.
Un dato che fotografa non solo una tendenza, ma una vera e propria emergenza nazionale.
A differenza del passato, non partono con la sola forza delle braccia: oggi se ne vanno cervelli, competenze, cultura e professionalità. Un capitale umano costruito grazie ai sacrifici delle famiglie e - almeno in parte - anche agli investimenti dello Stato, che ha garantito loro istruzione e formazione.
Questo capitale, invece di tornare indietro sotto forma di sviluppo per la collettività, prende altre strade.
All'estero, questi giovani trovano occasioni che in Italia non esistono o non sono accessibili. Lì lavorano, fanno carriera, pagano le tasse, creano famiglie, mandano i figli a scuola. Lì mettono a frutto il potenziale che qui resta inespresso.
L'ascensore sociale in Italia si è bloccato. E, ogni anno, pezzi del nostro futuro se ne vanno.
Secondo alcune stime, il valore complessivo di questo "esodo qualificato" ammonta a 134 miliardi di euro. Una cifra impressionante, che non misura solo la perdita economica, ma - ed è altrettanto grave -quella sociale e culturale.
Per questi giovani non si tratta solo di partire: si tratta di rinunciare all'idea che il proprio talento possa essere riconosciuto e valorizzato nel Paese di origine.
Una rinuncia che rappresenta un fallimento di tutti noi e della politica che finora, con Governi diversi, ha diretto il Paese.
Se i dati dell'emigrazione giovanile si incrociano con quelli dell'invecchiamento della popolazione e del crollo demografico, il quadro diventa ancora più critico.
Come si può garantire il sistema pensionistico senza nuovi contributi attivi? Come si tengono in piedi i servizi pubblici senza giovani lavoratori che paghino le tasse? Come si sostiene l'innovazione senza le competenze di chi è cresciuto con le tecnologie? E come si può invertire la rotta della natalità?
Tutti questi nodi sono ben noti agli esperti. E altrettanto nota è la causa principale: la scarsa attrattiva dell'Italia, che non riesce a offrire prospettive di crescita.
Il vero problema, però, è che le idee per invertire la tendenza sembrano poche, frammentate, spesso poco coraggiose. Ed è qui che nasce la preoccupazione: perché ogni anno che passa rende più difficile recuperare ciò che si è perso.
Non siamo ancora oltre il punto di non ritorno, ma il tempo per agire - la politica dovrebbe saperlo - non è infinito.
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