lunedì 10 marzo 2025

DON CAMILLO. Il Signore chiama in 100.000 modi diversi... 2

 





FONTE: Notiziario parrocchiale settimanale di Albegno e dintorni.

Il Signore chiama in 100.000 modi...Tranne  che con il cellulare.
 

Desideroso di imitarli, un giorno ho chiesto a mia mamma di poter avere un paio di calze nere e di pantaloni alla zuava. “Non puoi vestirti così. È solo per quelli che sono in Seminario!”. Da qui ho cominciato a pensare tra me e me che poteva essere bello andare in Seminario perché così avrei potuto essere e vestirmi anch’io come i seminaristi del mio paese così bravi a giocare al pallone, così uniti e allegri e…vestiti così bene. La spinta decisiva me l’ha data il mio compagno di giochi, nonché mio cugino, di 2 anni più grande di me, quando mi ha detto: “vado in Seminario”. Io non potevo seguirlo subito. Dovevo ancora concludere le elementari. Però ho comunicato questo mio desiderio (senza parlare di calze nere) ai miei genitori che si sono dimostrati subito accondiscendenti. Anzi!  Mia mamma qualche anno più tardi mi confiderà che questo era il suo desiderio segreto fin dalla mia nascita, e che mi aveva consacrato alla Madonna con questa disponibilità, se fosse stata la volontà di Dio. Quando poi ho scoperto che il mio nome “Camillo” di origine Etrusca significa “giovane che si dedica alle cerimonie religiose”, mi convinco sempre di più che non c’è niente di casuale nella vita, anche se quel nome mi è stato dato per ricordare mia nonna Camilla morta 3 mesi prima che io nascessi. La voglia di calze nere e la nostalgia dell’amico di giochi già entrato in seminario, mi ha portato ad accelerare i tempi. E così già in quinta elementare ho potuto fare il mio ingresso in quello che era diventato un po’ il mondo dei miei sogni: non subito direttamente in Seminario, perché il Seminario di Clusone, preposto ad accogliere i ragazzi delle medie, non aveva posto per ospitare una V elementare, ma nel collegio di S. Paolo d’Argon. E’ così che è iniziata la mia avventura. O, se si preferisce un altro linguaggio, è così che i l Signore mi ha preso per mano senza che io me ne rendessi conto pienamente. La consapevolezza è arrivata pian piano, attraverso percorsi non sempre facili, come penso succeda a tutti nella vita, con fasi alterne di entusiasmo, di stanchezza, di paura, di dubbio, di nostalgia, di ripresa, di generosità, di coraggio… Mi è servito molto in quel periodo il sostegno di persone che mi hanno educato alla preghiera, alla riflessione, alla lealtà, all’introspezione, al senso del dovere. La scuola era la mia spina nella carne. Mi attiravano di più il gioco, le escursioni nella bella natura di Clusone (pinete, montagne) che mi stuzzicava la fantasia. Un’altra spina nella carne era la nostalgia della casa, dei genitori, delle sorelle…Mi mancavano tanto. L’amico di giochi che mi aveva dato la spinta decisiva era nello stesso Seminario, però, essendo lui in III Media e io in I Media (dopo l’anno di V elementare a S. Paolo) in pratica non ci incontravamo mai perché avevamo spazi di gioco separati, e nessuno poteva “espatriare” dalla zona assegnata. Quanto alle calze nere, sì, quelle potevo portarle, però mi stavo talmente abituando che stavano perdendo pian piano di mordente fino a diventarmi indifferenti. Però, in cambio, mi ero fatto tanti amici, a partire da quelli della mia sezione, la I A : eravamo in 33 in classe. Poi c’erano altre 2 sezioni: la B e la C per un totale di un centinaio di ragazzi solo in I Media. Poi c’erano quelli di II e di III Media: più di 300 r agazzi in totale. Se la scuola e la nostalgia mi facevano piangere, gli amici e la natura mi facevano ridere. Così la Provvidenza manteneva il mio equilibrio togliendomi alcuni puntelli che riteneva ormai obsoleti e sostituendoli con altri più freschi e adeguati. Mentre il futuro del sacerdozio si faceva pian piano più chiaro, si facevano avanti altri dubbi e altre difficoltà. Tra quelli più insistenti era la convinzione che io rimanessi in Seminario per forza d’inerzia, perché non avevo il coraggio di uscire: magari per la paura di cambiar vita, o per la paura del giudizio degli altri, o per la paura di deludere i miei genitori…Un dubbio che mi ha tormentato soprattutto nei 3 anni di Liceo.

                              continua

                           don Camillo

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