FONTE: libro "Sul filo dei ricordi 2..." ideato e stampato dal GRUPPO PARROCCHIALE PER LA TERZA ETA' di Zandobbio.
ANGELA PLEBANI
Sono Angela Plebani e sono nata il 13 novembre 1936.
Nel 1943, all'età di otto anni, ho ricevuto la mia prima comunione. Il mio pensiero andava al papà che non poteva essere presente in quanto prigioniero in guerra.
Nel 1945 nostra mamma, non potendo accudirci per motivi di lavoro, mandò me e mia sorella Felice in collegio a Trezzo d'Adda. La direttrice era molto severa: guai se parlavi il bergamasco , se mettevi i gomiti sul tavolo, ecc.
Lei sicuramente lo faceva per la nostra educazione ma noi, non essendo abituate a queste rigide regole, non riuscivamo ad inserirci. Per noi è stato un grande sacrificio, ma è stata una buona esperienza.
Ho frequentato la quinta elementare in questo collegio. L'anno dopo siamo tornate a casa, così come tornò nostro padre, terminata la guerra.
Ricordo che mio padre raccontava a tavola che era in guerra in Grecia, all'età di 34 anni essendo stato richiamato alle armi nel 1942.
Un giorno un ufficiale disse che la guerra era finita, che i soldati prendessero più roba possibile perché si tornava a casa. Mio padre indossò quattro paia di pantaloni, quattro giacche ed altri indumenti. Saliti sul treno si accorsero che qualcuno chiudeva con catenacci le porte: in realtà stavano per essere deportati in Germania. Lì rimase prigioniero fino al termine della guerra.
Raccontava inoltre che per sfamarsi dovevano rubare dalle pattumiere le bucce delle patate, scartate come avanzi.
Diceva che se era ancora vivo doveva tutto al sig. Giuseppe Mutti: mio padre era ammalato e non mangiava più e lui, con tanta pazienza, lo imboccava con quel poco che c'era.
A differenza mia molte mie amiche non hanno potuto riabbracciare il loro padre partito per il fronte.
Tornata dal collegio, ho continuato a dare una mano alla mamma in famiglia, in quanto lei era impegnata al lavoro come bagnina alle terme di Trescore.
Nel 1952 ho iniziato a lavorare come infermiera presso l'Istituto Palazzolo in via Aldini a Milano, gestito dalle Suore delle Poverelle.
Prima di lavorare come infermiera mi ricordo che i pochi divertimenti a Zandobbio erano giocare alla lippa, con le biglie, saltare la corda o a nascondino.
La domenica, qualche volta, andavamo al cinema a Trescore Balneario, al cinema Nuovo poiché al cinema Verdi non sempre potevamo entrare, perché qualche volta era proibito per la nostra età.
Il nostro rientro a casa era comunque entro le ore diciotto. Una domenica sono rientrata alle ore 19 perché avevamo voluto vedere due volte lo stesso film. La mamma mi chiese conto del ritardo, le risposi Sono stata dalla zia Lina. Non mi ero accorta che zia Lina era seduta in un angolo di casa nostra: altra grossa sgridata dalla mamma!
Quando oggi vedo alla fermata degli autobus tanti immigrati mi tornano alla mente subito i tanti ricordi, anche tristi, di quando dovevo recarmi al lavoro a Milano, da cui tornavo a casa ogni sei mesi. Mi sembrava di essere all'estero, fortunatamente nei primi periodi vi era anche una ragazza di Zandobbio, Carolina Barcella, che mi faceva un po' da mamma.
Quando, dopo le ferie, dovevo tornare a Milano, sulla corriera piangevo, mentre il bigliettaio mi timbrava il biglietto, non diceva nulla ma ti guardava con tanta compassione. Chissà quante come me ne avrà viste: ecco perché mi fanno compassione questi immigrati, hanno dovuto abbandonare la famiglia per cercare un posto di lavoro.
Oggi le automobili sono praticamente indispensabili, ma allora, subito dopo la guerra, sulle strade non vi era altro che bambini e qualche carretto, si vedeva un'automobile ogni morte di vescovo.
I bambini giocavano per strada, gli adulti si riversavano a chiacchierare agli angoli delle strade e la domenica alcune donne giocavano a tombola sedute sui gradini del butigherì, il negozio del signor Angelo Mologni in via Cesare Battisti.
Raccontava inoltre che per sfamarsi dovevano rubare dalle pattumiere le bucce delle patate, scartate come avanzi.
Diceva che se era ancora vivo doveva tutto al sig. Giuseppe Mutti: mio padre era ammalato e non mangiava più e lui, con tanta pazienza, lo imboccava con quel poco che c'era.
A differenza mia molte mie amiche non hanno potuto riabbracciare il loro padre partito per il fronte.
Tornata dal collegio, ho continuato a dare una mano alla mamma in famiglia, in quanto lei era impegnata al lavoro come bagnina alle terme di Trescore.
Nel 1952 ho iniziato a lavorare come infermiera presso l'Istituto Palazzolo in via Aldini a Milano, gestito dalle Suore delle Poverelle.
Prima di lavorare come infermiera mi ricordo che i pochi divertimenti a Zandobbio erano giocare alla lippa, con le biglie, saltare la corda o a nascondino.
La domenica, qualche volta, andavamo al cinema a Trescore Balneario, al cinema Nuovo poiché al cinema Verdi non sempre potevamo entrare, perché qualche volta era proibito per la nostra età.
Il nostro rientro a casa era comunque entro le ore diciotto. Una domenica sono rientrata alle ore 19 perché avevamo voluto vedere due volte lo stesso film. La mamma mi chiese conto del ritardo, le risposi Sono stata dalla zia Lina. Non mi ero accorta che zia Lina era seduta in un angolo di casa nostra: altra grossa sgridata dalla mamma!
Quando oggi vedo alla fermata degli autobus tanti immigrati mi tornano alla mente subito i tanti ricordi, anche tristi, di quando dovevo recarmi al lavoro a Milano, da cui tornavo a casa ogni sei mesi. Mi sembrava di essere all'estero, fortunatamente nei primi periodi vi era anche una ragazza di Zandobbio, Carolina Barcella, che mi faceva un po' da mamma.
Quando, dopo le ferie, dovevo tornare a Milano, sulla corriera piangevo, mentre il bigliettaio mi timbrava il biglietto, non diceva nulla ma ti guardava con tanta compassione. Chissà quante come me ne avrà viste: ecco perché mi fanno compassione questi immigrati, hanno dovuto abbandonare la famiglia per cercare un posto di lavoro.
Oggi le automobili sono praticamente indispensabili, ma allora, subito dopo la guerra, sulle strade non vi era altro che bambini e qualche carretto, si vedeva un'automobile ogni morte di vescovo.
I bambini giocavano per strada, gli adulti si riversavano a chiacchierare agli angoli delle strade e la domenica alcune donne giocavano a tombola sedute sui gradini del butigherì, il negozio del signor Angelo Mologni in via Cesare Battisti.
Il mio primo ballo, altro che discoteca o in Calvarola, è avvenuto nella sala della Gianna Mologni: eravamo tante ragazze, quanta gioia e quanta felicità. Eravamo poveri, ma ci si divertiva con poco ed eravamo più felici e sereni di oggi.
Oggi la via Cesare Battisti alta è sempre deserta, sarà la televisione che ha cambiato le abitudini o la vita frenetica di oggi, forse perché in centro storico o forse perché abitato da anziani. Sicuramente le abitudini di allora sono di un altro tempo.
Angela Plebani
classe 1936
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