FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" maggio 2024.
Articolo: "Fantasie pastorali" di GIANCARLO BREGANTINI Arcivescovo emerito di Campobasso-Bojano.
La mancanza di sacerdoti fa soffrire le comunità. L'esperienza della Pasqua in Val di Non ha, però, dimostrato come un limite può diventare una risorsa.
E' stata una Pasqua molto piovosa, quella di quest'anno, vissuta tra le montagne del Trentino.
Ora, infatti, in pensione da vescovo emerito, posso godermi certe sensazioni, mai vissute prima.
Come quella di celebrare la Pasqua nel mio paese natale, Denno, per stare un po' in famiglia.
Proprio tra le montagne della Val di Non, cariche del fascino dei colori rosacei delle Dolomiti al mattino, nell'incanto della fioritura degli alberi di mele e ciliegie.
Ma la cosa che maggiormente mi ha colpito è stata quella di assistere a un piccolo miracolo di primavera: l'unità di una comunità, fatta di ben tredici parrocchie, affidate a un solo parroco, giovane e sorridente: don Daniele.
Anche se nelle piccole parrocchie trentine può sembrare più semplice, in realtà il cammino verso l'unità è sempre esigente e faticoso, specie quando si toccano consolidate tradizioni.
Per questo la diocesi di Trento si è incamminata verso mete unitarie, con passi progressivi ma tenaci.
Come fare, allora, se preti non ce ne sono e se il seminario ha pochi ingressi?
La risposta non è stata far correre il povero parroco di comunità in comunità, ma radunare le comunità in un unico luogo per il Triduo pasquale, scegliendo una chiesa capiente, che si è riempita di fedeli.
Tremava la Chiesa tutta, al canto della sequenza pasquale, "Victimae pascali laudes...".
Mai si erano levate al cielo armonie così dense di gioia unitaria, capaci di dare pienezza persino al rombo dei trattori della valle. E' stato un grande segno di profezia ecclesiale, di vera sinodalità "per l'unità Pastorale, Cristo Salvatore", gustata da tutti, anche da chi era scettico.
Nel presiedere (ho lasciato a don Daniele l'omelia, per la sua capacità di dialogare con i ragazzi) non ho avuto nessun rimpianto di cattedrali.
C'è stato invece un segno innovativo: la celebrazione della Prima comunione per una quarantina di ragazzi, nella Messa del giovedì santo, per poi dare loro una piccola croce durante la liturgia del venerdì santo e la vestina bianca, nella notte del sabato santo.
Tre segni così ben coordinati, da far rivivere le omelie dei Padri della Chiesa antica, per la loro valenza ermeneutica.
E' stato un ulteriore passo in avanti sulla vita dell'ecclesialità comunitaria, per trasformare in opportunità anche la sofferta mancanza di sacerdoti, con la valorizzazione dei laici e nuovi segni di fantasia pastorale.
Certo, in queste comunità, che si vedono limitare la presenza dei sacerdoti, resta viva una grande sete di spiritualità, poiché ogni uomo e ogni donna arde dal desiderio di sentire vicino il cuore di Gesù battere sul proprio petto, come fece l'apostolo Giovanni, nell'ultima cena. In un'intimità che si fa consolazione, dono desiderato e invocato.
Riemerge, in questa fase della Chiesa, il grido di Gesù, morente in croce, che invoca: "Ho sete!". Questa sete di Dio è percepibile ovunque; una sete che dovrebbe essere placata dai frati, ma anche loro sono pochi e, purtroppo, in fuga da conventi antichi, rimasti ormai vuoti.
E allora per rispondere a questa esigenza dell'anima è indispensabile, da parte di tutti, puntare sull'essenziale, con innovativa fantasia pastorale, come si è fatto per la celebrazione del Triduo pasquale, tra i meli della Val di Non in fiore.
Lo ripete spesso papa Francesco: "Concentrarsi sull'essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, nello stesso tempo, più necessario.
La proposta, allora, si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità; e così diventa più convincente e radiosa". (Evangelii Gaudium, n. 35).
In tal modo, la luce di Pasqua sarà ancora più radiosa, in comunità che sanno cantare, finalmente insieme, l'exultet pasquale.
Senza inutili nostalgie.
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