GIOVEDI' 20 FEBBRAIO 2007
Corrado guarda fuori dal finestrino dell'aereo e pensa.
Che casino la mia vita, ormai. Fino a pochi mesi fa era tutto tranquillo, adesso non ci capisco più niente.
Il giorno dopo quel maledetto derby Atalanta-Brescia, Corrado era stato chiamato da Patrick nel suo ufficio. L'obiettore era entrato e si era seduto tranquillo. Il coordinatore l'aveva fissato negli occhi.
Il suo sguardo trasmetteva come al solito sicurezza e carisma. Aveva detto:
"Ho appena letto il giornale. Il ragazzo accoltellato ieri è fuori pericolo. Meno male. Io stanotte non sono riuscito a dormire. Non riuscivo a togliermi dalla mente il sangue che usciva dalla sua pancia."
"Ho appena letto il giornale. Il ragazzo accoltellato ieri è fuori pericolo. Meno male. Io stanotte non sono riuscito a dormire. Non riuscivo a togliermi dalla mente il sangue che usciva dalla sua pancia."
Al suono di quelle parole il bresciano si era sentito sollevato.
"Meno male. Io ho dormito, ma ho avuto un sacco di incubi. Volevo dirtelo stamattina, ma poi non ho avuto il coraggio. Nei miei incubi quello a terra sanguinante eri tu, cazzarola! Mi sono svegliato grondante di sudore!"
Patrick si sentì scuotere per tutto il corpo. Cercò di non dare a vedere le sue sensazioni all'obiettore. Ma un leggero tremolio si impossessò delle sue mani.
Potevo essere io. Potevo essere io. Potevo essere io.
Per trenta lunghi secondi non era riuscito a parlare. Poi aveva fatto un respiro profondo e aveva guardato Corrado. Quasi a bassa voce aveva detto:
"Ma ora parliamo di te, ragazzo. A me dispiace vederti sempre così triste. Tu sei un ragazzo buono e non meriti di soffrire così tanto. C'è qualcosa che posso fare per te?"
"Ma ora parliamo di te, ragazzo. A me dispiace vederti sempre così triste. Tu sei un ragazzo buono e non meriti di soffrire così tanto. C'è qualcosa che posso fare per te?"
Corrado aveva alzato gli occhi verso quell'uomo e si era lasciato andare.
"Patrick, va sempre peggio. La mamma di Zoe è in agonia. Ogni giorno sento Zoe e le chiedo, anzi la imploro, di darmi il permesso di raggiungerla in Francia. Ma lei non vuole. Dice che non se la sente di vedermi. Che la situazione è devastante. Che i suoi fratelli piangono in continuazione. Che suo padre è uno straccio che vaga per la casa. Ed è lei che deve farsi vedere forte. Mi ha fatto capire che tra di noi è finita. Lei non tornerà mai più in Italia. Lei dovrà farsi carico della sua famiglia."
Lo disse tutto d'un fiato. Per liberarsi di quell'orribile pensiero.
Poi aveva ripreso a parlare. Voleva dire tutto a Patrick. Di quell'uomo si fidava.
"Ti ricordi la mia passione per i romanzi? Mi è passata anche quella. Non ho più voglia di fare niente. Solo il pensiero di non rivedere più Zoe mi fa venire da vomitare. Ma forse è giusto così. Non dovevo lasciare Francesca. Dopo sette anni belli l'ho abbandonata. Così di punto in bianco me ne sono andato con un'altra. A volte mi sento proprio un bastardo per come ho trattato quella povera ragazza. Io che sono sempre stato buono con tutti, non mi sono fatto problemi ad andare con un'altra ragazza. A distruggere Francesca. Mi sa che è proprio giusto così Patrick. Mi merito tutta la merda che mi sono tirato addosso."
Il coordinatore aveva aspettato un attimo prima di parlare. Ammirava nel profondo quel ragazzo e voleva trovare le parole giuste per tranquillizzarlo.
Poi aveva detto:
"Non dire così. Io ti stimo molto Corrado. Sei il ragazzo più buono che abbia mai conosciuto. Sei sempre così calmo e disponibile con tutti. Quando arrivi tu nelle stanze del Centro è come se arrivasse un bel venticello fresco, che gradiscono tutti. Se hai lasciato Francesca, avrai avuto i tuoi buoni motivi. Non mi sembri proprio il tipo che prende decisioni a cuor leggero. Che lascia una ragazza senza un perché."
Corrado aveva gli occhi bassi verso il tavolo. Per un attimo li aveva rialzati e aveva detto:
"Ma io ci stavo bene con Francesca. E' quando ho conosciuto Zoe che non ho capito più niente!"
Patrick aveva sorriso e aveva replicato:
"Che c'è di male a seguire l'istinto una volta nella vita? Non sei mica un robot, porca vacca! E poi non eri mica sposato con Francesca! Hai stravolto la tua vita, non hai avuto paura di farlo. Quanti ragazzi che ho conosciuto che si sono sposati quasi per forza. Quasi per timore di deludere il patner o i genitori. Quasi per non tradire le aspettative degli altri. Tu hai avuto le palle. Tu hai preso in mano la tua vita e hai deciso. Tutto qua. E non preoccuparti, che Francesca saprà ricostruirsi la sua vita senza di te."
Al suono di quelle parole Corrado si era rianimato. Quell'uomo riccioluto, così poco convenzionale, gli aveva letto nel cuore.
"Non sai quanto mi fanno stare bene le tue parole. Andando insieme a Zoe è stata forse la prima volta che nella mia vita ho pensato solamente a me stesso. Che non ho pensato alle conseguenze di una mia azione. E uscendo con lei ho vissuto emozioni che non avevo mai provato con Francesca. Forse è una cosa brutta da dire, ma è proprio così. Dalla mattina alla sera io penso a Zoe! Non avevo mai provato niente di simile."
La voce dell'altoparlante interrompe i suoi pensieri.
Una voce metallica annuncia l'arrivo dell'aereo a Beauvais, vicino a Parigi. I passeggeri sono pregati di allacciarsi le cinture.
L'annuncio riporta Corrado alla realtà. La mamma di Zoe è morta due giorni fa. Lui aveva detto alla mulatta che sarebbe andata al funerale. Lei era stata gelida. Il capellone prova un brivido ripensando a quelle parole.
"Non venire Corrado. Tra noi è finita. Io non tornerò mai più in Italia."
Poi era scoppiata a piangere. E aveva riattaccato.
Corrado aveva guardato interdetto il cellulare. Non aveva pianto. Nel suo cuore aveva maturato una decisione.
Tra noi non è finita. Io andrò in Francia. Io la voglio rivedere. E basta! Poi andrà come deve andare.
Ormai ci ha preso gusto a seguire il proprio istinto. Con calma si allaccia le cinture. Chiude gli occhi, preparandosi agli scossoni dell'atterraggio.
L'aereo compie un atterraggio dolce. Corrado scende insieme agli altri. L'aria fuori è gelida, molto più che in Italia. L'obiettore si sente solo, come non si è mai sentito nella vita.
Che ci sono venuto a fare qua? Lei non mi vuole.
Gli viene da piangere, ma si fa forza e va avanti. Chiede informazioni in un francese stentato a un signore sui cinquant'anni. Del francese si ricorda qualcosa dalle scuole medie. L'uomo capisce subito e gli spiega quale pullman deve prendere per arrivare al paesino di Zoe. Il capellone acquista il biglietto e sente l'ottimismo tornargli nel sangue.
Io non mollo. Zoe mi rivedrà e tornerà tutto come prima.
Raggiunge la pensilina dei pullman. Il suo è già in attesa. Corrado ci sale e si siede in ultima fila. Sono le undici di mattina. Arriverà dalla sua ragazza prima di mezzogiorno. Il funerale è alle tre.
Il capellone sente un brivido percorrergli la schiena.
Come farò ad affrontare tutti i suoi parenti? Magari Zoe non ha mai detto a nessuno che ha una storia con un ragazzo italiano. E in più saranno distrutti dal dolore. Nessuno parlerà. E io cosa farò?
L'ha sempre temuta l'atmosfera di morte. I parenti riuniti attorno al feretro. Il silenzio gelido. Le facce pallide e sofferenti.
Due anni prima era morto suo nonno Giovanni, il papà di sua madre. Corrado appoggia il muso al finestrino e chiude gli occhi. Suo nonno era morto alla veneranda età di ottantacinque anni. Ma fino al giorno prima di spirare era stato in ottima salute. Poi un infarto se lo era portato via.
Corrado era arrivato a casa sua verso le tre del pomeriggio.
Nonno Giovanni era già stato vestito del suo abito migliore. Adesso giaceva sdraiato nella fredda bara marrone scuro. Quel piccolo salotto, dove Corrado aveva trascorso tanto tempo insieme ai nonni, era pieno di persone. Ma regnava un silenzio da far paura. Si sentiva solo la voce rotta dalle lacrime di sua nonna, che continuava a ripetere un'unica frase.
"Era un bravo uomo. Era un bravo uomo. Era un bravo uomo."
Il capellone si era fatto spazio e aveva raggiunto sua nonna e sua mamma. Le aveva abbracciate entrambe ed era scoppiato a piangere. Senza freni. Singhiozzando forte. Per tutte le volte che suo nonno l'aveva portato con il trattore. Per tutti suoi consigli. Per le partite del Brescia che erano andati a vedere insieme. Per le mucche che aveva munto con lui. Per i cavalli strigliati la sera tardi. Per tutto ciò che aveva condiviso con quell'uomo buono. Così diverso da quella testa di cazzo di suo padre.
Ormai il pullman è pieno. La portiera si chiude e il bisonte meccanico parte.
Corrado riapre gli occhi e lascia svanire i ricordi. Ora è tempo di affrontare la realtà.
Il viaggio dura mezz'ora. Il paese di Zoe è piccolo, immerso nel verde. Forse un migliaio di abitanti. A Corrado torna in mente il suo paese, Iseo. Gli viene la malinconia.
Che cosa ci sono venuto a fare qui? Zoe non mi saluterà neanche.
Poi ripensa al suo viso. Alla sua pelle delicata. Ai suoi occhi scuri e sorridenti. Gli torna la grinta.
Ma che vado a pensare? Lei è la mia ragazza! Lei mi ama! Lei avrà piacere di rivedermi!
Il bisonte meccanico si ferma nella piccola piazza del paese. Corrado scende e si guarda in giro. Tira fuori dal portafoglio un foglietto con scritto l'indirizzo di Zoe. Poi si assesta lo zaino sulle spalle, pronto a partire.
All'improvviso gli esplodono nella mente le parole di Ezio.
Noi saremo eterni studenti. Sempre con lo zaino sulle spalle.
Corrado sorride. Con le mani stringe le cinghie del suo zaino. La vita torna a farsi bella. Inizia a camminare, pervaso dal suo proverbiale ottimismo.
Al primo passante che incontra chiede indicazioni. Il suo è un francese molto rozzo, ma si fa capire. L'uomo sorride e gli dà delle spiegazioni semplici. Corrado annuisce, ringrazia e riprende a camminare. Dopo cinque minuti trova la via giusta. La imbocca e subito vede un capannello di persone. Poi vede la macchina che trasporterà al bara. Le corone di fiori. Gli sguardi bassi della gente. Tutto ciò che c'è in quella piccola via odora di morte.
Corrado ha un attimo di sbandamento.
Che cosa ci faccio qui? Chi potrò consolare? Non conosco nessuno!
Fa un respiro profondo. Stringe i pugni. Ripensa a tutte le volte che con la sua sola presenza ha tirato su di morale molte persone.
Adesso tiro fuori le palle. Io sono Corrado. Non devo aver paura di niente.
Il capellone punta dritto verso la casa di Zoe. Ha una voglia tremenda di abbracciarla. Si butta nel capannello di persone assiepate davanti al cancello di ingresso. Tutti lo guardano un po' strano, ma lui se ne sbatte.
Ora è davanti alla porta di ingresso. Il cuore gli batte impazzito. Sente un nodo allo stomaco. Gli viene quasi da vomitare per l'emozione.
Adesso la rivedrò. Adesso la rivedrò. Adesso la rivedrò!
Entra nella villetta. Dentro l'atmosfera è ancora più cupa. Silenzio e solo silenzio. Corrado sta male.
Che cosa ci faccio qui?
Altro respiro profondo. Da dietro una porta chiusa proviene un pianto angosciato. Un pianto adulto. Come un automa cammina e si introduce nella stanza. C'è un uomo inginocchiato, le braccia tese verso il feretro della donna. L'uomo piange a dirotto. Corrado è quasi ipnotizzato da quell'immagine.
Quello è il padre di Zoe.
Per l'ennesima volta si sente fuori posto. Per quel funerale lui non ha avuto l'invito. Lui non può condividere il dolore con quella gente che non conosce. Si gira, deciso ad andarsene. Vuole solio uscire da quella casa. Correre fino in piazza. Prendere il primo pullman e il primo aereo e tornare in Italia.
Poi sente una voce familiare. Ma leggermente diversa dal solito. Una voce sfinita, forse prosciugata dal dolore.
"Corrado. Sei proprio tu?"
Il capellone gira il volto e la vede. La sua Zoe. Adesso gli sta venendo incontro. Ha il viso più magro. Gli occhi rossi e le occhiaie. Una smorfia di dolore le percorre la bocca. Ma è proprio lei, Zoe. Bella come sempre.
Lui non fa in tempo a dire niente, lei gli è addosso e gli stringe il collo. Scoppia a piangere sulla sua spalla. Se ne stanno lì così per un minuto buono, sotto gli sguardi curiosi della gente.
Corrado non sente più imbarazzo. Ora è qua con la sua mulatta e trova un senso al suo viaggio.
Sono qua per te, Zoe. Sono qua per te.
Lei lo spinge fuori dalla stanza e lo guida su per le scale. Fino a una camera da letto. Entrano e ritornano ad abbracciarsi. E' lei la prima a parlare. Corrado non è ancora riuscito a dire niente.
"Grazie di essere venuto, amore mio. Io lo sapevo che l'avresti fatto. Tu hai solo venticinque anni, ma sei un grande uomo."
Corrado è bloccato dall'emozione. Vorrebbe parlare, ma non ce la fa.
Altro respiro profondo.
Bacio sulla bocca della ragazza. Poi le parole finalmente trovano una via di uscita.
"Io per te farei tutto. Io ti amo Zoe. E anche se sarai costretta a rimanere in Francia, io troverò una soluzione per vederti ancora."
Lei muove la bocca in avanti, lui gli va incontro. E' un bacio lungo e appassionato.
Si sente una voce, che proviene dal piano di sotto.
"Zoe, dove sei? Devono chiudere la bara."
Zoe impallidisce. Si stacca da Corrado e corre giù dalle scale. Il ragazzo la segue. La mulatta entra nelle stanza del feretro. Dentro ci sono suo padre e i suoi due fratelli. Oltre a loro ci sono gli uomini delle pompe funebri, pronti a chiudere la bara con un volgare trapano.
La porta viene chiusa. Corrado, rimasto fuori, ora è di nuovo di nuovo solo con il mondo. Si siede sulla prima sedia che trova, impermeabile agli sguardi curiosi della gente. Da dentro la stanza provengono pianti e urla.
Corrado abbassa lo sguardo.
L'ultimo saluto alla loro madre. L'ultimo saluto alla propria moglie. Che devasto!
Sente il rumore del trapano. Le viti staranno affondando definitivamente nel legno.
Quelli che soffrono sono quelli che rimangono, non quelli che se ne vanno. Loro se ne vanno in un posto bello. Senza preoccupazioni. Senza invidie, né gelosie. Senza desideri morbosi. Un posto magico, dove si è sempre felici. Se tutti lo capissero, sarebbe tutto molto più semplice.
Il padre sta gridando ora. Frasi incomprensibili. A Corrado viene la pelle d'oca.
Non è così facile capirlo. E' facile per me, che oggi sono quasi un estraneo a questa morte. Ma per tutta la gente che c'è qua come la mettiamo? Ma io ci credo, porca miseria! La vita non finisce con la morte. C'è un senso a tutto quello che facciamo. E fanculo a chi mi dà dell'ingenuo. Almeno io credo in qualcosa.
La porta si riapre. Zoe sostiene il padre, che sembra sul punto di svenire. Corrado capisce che lei non tornerà mai più in Italia.
E' lei che dovrà tirare la baracca ora. E' lei la più forte di tutti. Ma io come farò senza di lei?
Adesso, però, non è tempo per pensare a queste cose.
Gli addetti delle pompe funebri si sono caricati la bara sulle spalle e si dirigono verso la lunga macchina che attende in strada. I due fratellini di Zoe piangono. Lei li abbraccia entrambi, li bacia sulla fronte. Poi chiama Corrado e gli sussurra nell'orecchio:
"Ti prego, stammi vicino."
Il capellone la guarda dritto negli occhi. Le prende le mani tra le sue e le dice:
"Sono venuto fin qua per questo, amore mio."
Poi la prende a braccetto e insieme si incamminano vero la chiesa.
SABATO 8 MARZO 2007, ORE 14:00
Ezio corre. Ezio sta bene.
Il periodo brutto è ormai alle spalle. C'è un bel sole oggi, forse anche il freddo se ne è andato definitivamente. Il Rosso si gira e sorride al suo compagno di corsa, don Gianluca. Corrono insieme, come ai vecchi tempi. Come la prima volta che si sono incontrati. I colli di Grena come scenario.
Anche stamattina Ezio si è alzato e come prima cosa ha letto un biglietto che tiene nascosto nel portafoglio.
Ci sono scritte due frasi.
DEVI CAPIRE CHI VUOI ESSERE VERAMENTE.
DEVI ESSERE SEMPRE TE STESSO.
Due frasi che gli sono entrate nel cuore. Due frasi che lo aiutano a tenere lontana la sua maledetta rabbia. Due frasi pronunciate dall'uomo riccioluto che adesso gli sta correndo di fianco.
Gli alberi del bosco lasciano filtrare pochi raggi di sole, ma il tepore si sente lo stesso. Boz arranca dietro di loro, ma non molla. Ezio abbassa la mano e il cane gliela lecca.
Il Rosso sorride e poi dice:
"Si sta bene qua in mezzo alla natura. Mi sento legato a questa strada sterrata, a queste colline. Speriamo che non riescano a rovinare anche tutto questo."
Il Rosso ha un attimo di debolezza.
Qua ci venivo a fare l'amore con Gloriana.
L'angoscia passa veloce. In un soffio di vento.
Don Caparezza risponde, con un sorriso amaro dipinto sul volto:
"Io ci spero Ezio, perché Grena è rimasto uno dei pochi paese della zona con tanto verde. Ma hai visto in giro nella bergamasca? Porco schifo, ormai hanno costruito case e capannoni dappertutto.
Non c'è rimasto quasi più niente dei campi e dei boschi. I paesi sono divisi solo dal cartello. E' impressionante. Fino a vent'anni fa tra un paese e l'altro c'era una bella striscia verde. Adesso sono attaccati l'uno all'altro."
Ezio fa una smorfia. Il don ci ha proprio azzeccato. Anche lui ha notato tutto questo. Quando gira in macchina e vede cemento e solo cemento sta male. Prova un dolore quasi fisico.
"Ma don, dove vogliono arrivare? Non si rendono conto che tra poco lo spazio qua il Lombardia finirà? Vogliono costruire i loro appartamenti, le loro strade, i loro faraonici centri commerciali persino nei parchi protetti? Secondo me, se potessero, costruirebbero persino in cima alle montagne!"
Don Caparezza annuisce e sussurra:
"Hai ragione ragazzo mio. Anche io ho molta paura. Stiamo succhiando la terra fino al midollo. E così non va bene. C'è questa fissa, del progresso che deve andare avanti. Andare avanti fino a dove? Fino a un punto di non ritorno?"
I due amici per un po' non dicono niente. Si godono il bosco e il sudore sulla fronte. E il respiro ansimante di Boz.
Poi il don dice:
"Spero solo che ci si ponga un limite. Così non si può andare avanti. Altrimenti temo che la natura prima o poi si prenderà la sua bella rivincita."
All'improvviso sentono uno strano rumore. Sembra un'automobile in derapata. Poi un lamento di animale. Sembra quello di un cane. Ezio e il don accelerano la corsa, preoccupati. Ormai sono in prossimità di un tornante. Svoltano la curva e capiscono tutto.
C'è un bel pastore tedesco, legato con una corda ad un albero. Di fianco a lui un sacco pieno di crocchette. Nel tornante successivo si sta allontanando sgommando una station-wagon. Il Rosso inizia a rincorrerla.
"Don, quel figlio di puttana ha abbandonato il cane. Ma io lo prendo quel fetente!"
Ezio corre. Si sente una carica incredibile addosso. Lui i cani li adora. Lui a un cane non farebbe mai del male.
Ma come si fa ad abbandonare un cane? Con che coraggio?
Il Rosso aumenta la velocità. Si sente le gambe forti, come durante una gara. L'automobile non può permettersi di andare veloce su una strada sterrata piena di curve. Ezio ormai è a venti metri.
La targa. Devo riuscire a vedere la targa.
Il Rosso guarda verso la targa, ma non riesce a vedere i numeri. Con un gesto automatico si toglie il sudore dagli occhi e riguarda. Niente, non riesce a vedere niente. Poi capisce e la sua rabbia aumenta.
Ha ricoperto la targa con uno straccio. Che bastardo! Se lo prendo lo ammazzo.
L'automobile è a quindici metri. La mente del Rosso si sta annebbiando. L'antica rabbia torna a far capolino nelle sue vene.
Il ragazzo si china e raccoglie un sasso, bello grosso. Alza il braccio e si prepara al lancio.
Che cosa sto facendo? Mio Dio, che cosa sto facendo? Se gli sfondo il vetro, rischio davvero di ammazzarlo.
Ezio ritorna in sé. Butta il sasso per terra. Tenta di aumentare l'andatura, ma il passo non è più quello di prima. L'antica rabbia lo ha sfinito. Concentra lo sguardo sull'auto, che si sta allontanando definitivamente. Le gambe sono molli ora. I riflessi quasi azzerati. C'è un pezzo di legno in mezzo alla strada. Il Rosso non lo vede e non fa in tempo a saltarlo. Cade come un sacco di patate.
Sente le ginocchia cozzare contro i sassi. Sente la pelle lacerarsi. Ezio è a faccia in giù in mezzo alla strada ed è così che lo trovano don Gianluca e Boz.
"Ti sei fatto male, Rosso?"
Il ragazzo solleva la faccia. Boz gliela lecca. Ezio non ha il coraggio di guardare il don negli occhi. La sua voce è molto bassa e rauca:
"Non sono riuscito a fermarlo, don. E non gli ho visto nemmeno la targa. Quel bastardo l'aveva coperta. E in più ho rischiato di compiere un omicidio. Gli stavo lanciando addosso un grosso sasso. La mia rabbia mi stava guidando il braccio. Ma non so come, ma ce l'ho fatta a non fare la cavolata. Non gli ho lanciato un bel niente. Meno male, don."
Don Caparezza lo aiuta a rialzarsi. Lo abbraccia. Il viso del Rosso è sconvolto. Le ginocchia sono ricoperte di sangue. Il don gli accarezza una guancia e sorride. Piano gli dice:
"Adesso andiamo a slegare quel povero cane. Lo porteremo giù con noi. Tu, ragazzo mio, hai fatto il massimo. Sei stato grande lo stesso."
Il viaggio di ritorno passa in un attimo. Il pastore tedesco non ha paura dei due uomini, anzi è molto obbediente. E poi va subito d'accordo con Boz. I due giocano e si leccano. Ezio li guarda divertito.
Non ho ancora trovato un cane che non vada d'accordo con quel ciccione di Boz. E' davvero un grande cane!
Arrivano davanti alla casa del Rosso.
Il ragazzo si fa serio e dice:
"Ehi don, adesso che ne facciamo di questo bel lupo?"
Don Caparezza risponde immediatamente:
"Ho già avuto a che fare con cani abbandonati. Bisogna chiamare i carabinieri, che a loro volta chiameranno l'accalappiacani. Questo verrà a pigliarsi il lupo e lo porterà al canile. Poi controlleranno se il cane ha il tatuaggio o il microchip. Se ce l'ha, si può risalire al proprietario. Ma i cani abbandonati di solito non hanno nessun segno di riconoscimento."
Ezio si abbassa ad accarezzare il lupo. E' proprio un bell'esemplare. Il Rosso gli liscia il pelo e l'animale scodinzola.
"Don, come si fa ad abbandonare un cane? Devi essere un vero bastardo per farlo!"
"Dai, non pensarci ora. Anche io non riesco a spiegarmi certi comportamenti dell'uomo. Proprio come i discorsi che facevamo prima di sentire l'automobile partire via in derapata. Adesso fammi un piacere, fai un colpo di telefono ai carabinieri."
Il Rosso fa il suo dovere. Dopo dieci minuti viene richiamato dall'accalappiacani .
"Sarò lì tra un'ora" dice l'uomo. Ha una voce cordiale e buona.
L'obiettore e il don aspettano. Intanto danno da mangiare e da bere ai due cani. Dopo mezz'ora arriva la mamma di Ezio, osserva il grosso lupo che gioca con Boz e sorride:
"Cosa avete combinato stavolta voi due?"
Ezio le spiega tutta la storia. La donna accarezza prima Boz e poi il pastore tedesco.
"Se al canile non risaliranno al padrone, lo potremo tenere noi, Ezio. Tanto qua di spazio ce n'è. E io ho bisogno di compagnia!"
Il Rosso è felice di ciò che ha appena detto sua madre.
All'improvviso compare un furgone davanti al cancello. L'accalappiacani ha trovato l'indirizzo al primo colpo. Scende un uomo magro, stempiato, con un guinzaglio in mano.
Si presenta e con modi delicati lega il lupo. Poi dice:
"Adesso lo porterò al canile. Probabilmente il cane non avrà né tatuaggio né microchip. Domani penseremo noi a tatuarlo o a mettergli il chip. Poi, se vi interessa, venite a prenderlo."
Ezio guarda quell'uomo gentile e dice:
"Tra due o tre giorni verrò a prenderlo. Questo lupo ha bisogno subito di una casa."
Il Rosso e don Gianluca si abbassano contemporaneamente ad accarezzare il cane. Boz si avvicina ad annusarlo. L'accalappiacani carica il lupo sul furgoncino, saluta tutti e se ne va.
Don Gianluca mette una mano sulla spalla di Ezio. Gli dice piano:
"Bravo che ti terrai il cane. Sei proprio un bravo ragazzo. Prima di andare al canile chiamami, se riesco verro anch'io, ok?"
Il Rosso risponde:
"Certo don, ci andremo insieme. Adesso vado a medicarmi le ferite alle ginocchia. Sto perdendo un sacco di sangue. Grazie di tutto, don."
I due si guardano dritto negli occhi. Si stringono la mano. Infine don Caparezza si gira e saluta la mamma di Ezio. Poi se ne va, la testa riccioluta che ondeggia al ritmo della sua corsa.
Sono le sei e mezza. Dopo una doccia ed essersi fasciato le ferite, il Rosso mangia. Una super porzione di pasta preparata da mamma Luciana. Poi scende in giardino. Si siede nell'erba e arriva Boz che tenta di leccarlo in faccia. Ezio si sente bene. Nel profondo. Gli viene in mente la sua corsa folle dietro la macchina. Il sasso.
E se l'avessi lanciato? Cosa sarebbe successo?
Ezio ha un brivido.
Ma non l'ho lanciato! Ho saputo contenere la mia rabbia. Forse sono guarito.
Si rialza. Saluta il bestione. Sono ormai le nove e sente il bisogno di andare a dormire. Sua madre sta leggendo un romanzo in salotto.
"Mamma, io vado a letto. Sono stanchissimo. Buonanotte."
La donna sorride e risponde:
"Vai, vai, che hai una faccia bella tirata. Buonanotte."
Il coordinatore aveva aspettato un attimo prima di parlare. Ammirava nel profondo quel ragazzo e voleva trovare le parole giuste per tranquillizzarlo.
Poi aveva detto:
"Non dire così. Io ti stimo molto Corrado. Sei il ragazzo più buono che abbia mai conosciuto. Sei sempre così calmo e disponibile con tutti. Quando arrivi tu nelle stanze del Centro è come se arrivasse un bel venticello fresco, che gradiscono tutti. Se hai lasciato Francesca, avrai avuto i tuoi buoni motivi. Non mi sembri proprio il tipo che prende decisioni a cuor leggero. Che lascia una ragazza senza un perché."
Corrado aveva gli occhi bassi verso il tavolo. Per un attimo li aveva rialzati e aveva detto:
"Ma io ci stavo bene con Francesca. E' quando ho conosciuto Zoe che non ho capito più niente!"
Patrick aveva sorriso e aveva replicato:
"Che c'è di male a seguire l'istinto una volta nella vita? Non sei mica un robot, porca vacca! E poi non eri mica sposato con Francesca! Hai stravolto la tua vita, non hai avuto paura di farlo. Quanti ragazzi che ho conosciuto che si sono sposati quasi per forza. Quasi per timore di deludere il patner o i genitori. Quasi per non tradire le aspettative degli altri. Tu hai avuto le palle. Tu hai preso in mano la tua vita e hai deciso. Tutto qua. E non preoccuparti, che Francesca saprà ricostruirsi la sua vita senza di te."
Al suono di quelle parole Corrado si era rianimato. Quell'uomo riccioluto, così poco convenzionale, gli aveva letto nel cuore.
"Non sai quanto mi fanno stare bene le tue parole. Andando insieme a Zoe è stata forse la prima volta che nella mia vita ho pensato solamente a me stesso. Che non ho pensato alle conseguenze di una mia azione. E uscendo con lei ho vissuto emozioni che non avevo mai provato con Francesca. Forse è una cosa brutta da dire, ma è proprio così. Dalla mattina alla sera io penso a Zoe! Non avevo mai provato niente di simile."
La voce dell'altoparlante interrompe i suoi pensieri.
Una voce metallica annuncia l'arrivo dell'aereo a Beauvais, vicino a Parigi. I passeggeri sono pregati di allacciarsi le cinture.
L'annuncio riporta Corrado alla realtà. La mamma di Zoe è morta due giorni fa. Lui aveva detto alla mulatta che sarebbe andata al funerale. Lei era stata gelida. Il capellone prova un brivido ripensando a quelle parole.
"Non venire Corrado. Tra noi è finita. Io non tornerò mai più in Italia."
Poi era scoppiata a piangere. E aveva riattaccato.
Corrado aveva guardato interdetto il cellulare. Non aveva pianto. Nel suo cuore aveva maturato una decisione.
Tra noi non è finita. Io andrò in Francia. Io la voglio rivedere. E basta! Poi andrà come deve andare.
Ormai ci ha preso gusto a seguire il proprio istinto. Con calma si allaccia le cinture. Chiude gli occhi, preparandosi agli scossoni dell'atterraggio.
L'aereo compie un atterraggio dolce. Corrado scende insieme agli altri. L'aria fuori è gelida, molto più che in Italia. L'obiettore si sente solo, come non si è mai sentito nella vita.
Che ci sono venuto a fare qua? Lei non mi vuole.
Gli viene da piangere, ma si fa forza e va avanti. Chiede informazioni in un francese stentato a un signore sui cinquant'anni. Del francese si ricorda qualcosa dalle scuole medie. L'uomo capisce subito e gli spiega quale pullman deve prendere per arrivare al paesino di Zoe. Il capellone acquista il biglietto e sente l'ottimismo tornargli nel sangue.
Io non mollo. Zoe mi rivedrà e tornerà tutto come prima.
Raggiunge la pensilina dei pullman. Il suo è già in attesa. Corrado ci sale e si siede in ultima fila. Sono le undici di mattina. Arriverà dalla sua ragazza prima di mezzogiorno. Il funerale è alle tre.
Il capellone sente un brivido percorrergli la schiena.
Come farò ad affrontare tutti i suoi parenti? Magari Zoe non ha mai detto a nessuno che ha una storia con un ragazzo italiano. E in più saranno distrutti dal dolore. Nessuno parlerà. E io cosa farò?
L'ha sempre temuta l'atmosfera di morte. I parenti riuniti attorno al feretro. Il silenzio gelido. Le facce pallide e sofferenti.
Due anni prima era morto suo nonno Giovanni, il papà di sua madre. Corrado appoggia il muso al finestrino e chiude gli occhi. Suo nonno era morto alla veneranda età di ottantacinque anni. Ma fino al giorno prima di spirare era stato in ottima salute. Poi un infarto se lo era portato via.
Corrado era arrivato a casa sua verso le tre del pomeriggio.
Nonno Giovanni era già stato vestito del suo abito migliore. Adesso giaceva sdraiato nella fredda bara marrone scuro. Quel piccolo salotto, dove Corrado aveva trascorso tanto tempo insieme ai nonni, era pieno di persone. Ma regnava un silenzio da far paura. Si sentiva solo la voce rotta dalle lacrime di sua nonna, che continuava a ripetere un'unica frase.
"Era un bravo uomo. Era un bravo uomo. Era un bravo uomo."
Il capellone si era fatto spazio e aveva raggiunto sua nonna e sua mamma. Le aveva abbracciate entrambe ed era scoppiato a piangere. Senza freni. Singhiozzando forte. Per tutte le volte che suo nonno l'aveva portato con il trattore. Per tutti suoi consigli. Per le partite del Brescia che erano andati a vedere insieme. Per le mucche che aveva munto con lui. Per i cavalli strigliati la sera tardi. Per tutto ciò che aveva condiviso con quell'uomo buono. Così diverso da quella testa di cazzo di suo padre.
Ormai il pullman è pieno. La portiera si chiude e il bisonte meccanico parte.
Corrado riapre gli occhi e lascia svanire i ricordi. Ora è tempo di affrontare la realtà.
Il viaggio dura mezz'ora. Il paese di Zoe è piccolo, immerso nel verde. Forse un migliaio di abitanti. A Corrado torna in mente il suo paese, Iseo. Gli viene la malinconia.
Che cosa ci sono venuto a fare qui? Zoe non mi saluterà neanche.
Poi ripensa al suo viso. Alla sua pelle delicata. Ai suoi occhi scuri e sorridenti. Gli torna la grinta.
Ma che vado a pensare? Lei è la mia ragazza! Lei mi ama! Lei avrà piacere di rivedermi!
Il bisonte meccanico si ferma nella piccola piazza del paese. Corrado scende e si guarda in giro. Tira fuori dal portafoglio un foglietto con scritto l'indirizzo di Zoe. Poi si assesta lo zaino sulle spalle, pronto a partire.
All'improvviso gli esplodono nella mente le parole di Ezio.
Noi saremo eterni studenti. Sempre con lo zaino sulle spalle.
Corrado sorride. Con le mani stringe le cinghie del suo zaino. La vita torna a farsi bella. Inizia a camminare, pervaso dal suo proverbiale ottimismo.
Al primo passante che incontra chiede indicazioni. Il suo è un francese molto rozzo, ma si fa capire. L'uomo sorride e gli dà delle spiegazioni semplici. Corrado annuisce, ringrazia e riprende a camminare. Dopo cinque minuti trova la via giusta. La imbocca e subito vede un capannello di persone. Poi vede la macchina che trasporterà al bara. Le corone di fiori. Gli sguardi bassi della gente. Tutto ciò che c'è in quella piccola via odora di morte.
Corrado ha un attimo di sbandamento.
Che cosa ci faccio qui? Chi potrò consolare? Non conosco nessuno!
Fa un respiro profondo. Stringe i pugni. Ripensa a tutte le volte che con la sua sola presenza ha tirato su di morale molte persone.
Adesso tiro fuori le palle. Io sono Corrado. Non devo aver paura di niente.
Il capellone punta dritto verso la casa di Zoe. Ha una voglia tremenda di abbracciarla. Si butta nel capannello di persone assiepate davanti al cancello di ingresso. Tutti lo guardano un po' strano, ma lui se ne sbatte.
Ora è davanti alla porta di ingresso. Il cuore gli batte impazzito. Sente un nodo allo stomaco. Gli viene quasi da vomitare per l'emozione.
Adesso la rivedrò. Adesso la rivedrò. Adesso la rivedrò!
Entra nella villetta. Dentro l'atmosfera è ancora più cupa. Silenzio e solo silenzio. Corrado sta male.
Che cosa ci faccio qui?
Altro respiro profondo. Da dietro una porta chiusa proviene un pianto angosciato. Un pianto adulto. Come un automa cammina e si introduce nella stanza. C'è un uomo inginocchiato, le braccia tese verso il feretro della donna. L'uomo piange a dirotto. Corrado è quasi ipnotizzato da quell'immagine.
Quello è il padre di Zoe.
Per l'ennesima volta si sente fuori posto. Per quel funerale lui non ha avuto l'invito. Lui non può condividere il dolore con quella gente che non conosce. Si gira, deciso ad andarsene. Vuole solio uscire da quella casa. Correre fino in piazza. Prendere il primo pullman e il primo aereo e tornare in Italia.
Poi sente una voce familiare. Ma leggermente diversa dal solito. Una voce sfinita, forse prosciugata dal dolore.
"Corrado. Sei proprio tu?"
Il capellone gira il volto e la vede. La sua Zoe. Adesso gli sta venendo incontro. Ha il viso più magro. Gli occhi rossi e le occhiaie. Una smorfia di dolore le percorre la bocca. Ma è proprio lei, Zoe. Bella come sempre.
Lui non fa in tempo a dire niente, lei gli è addosso e gli stringe il collo. Scoppia a piangere sulla sua spalla. Se ne stanno lì così per un minuto buono, sotto gli sguardi curiosi della gente.
Corrado non sente più imbarazzo. Ora è qua con la sua mulatta e trova un senso al suo viaggio.
Sono qua per te, Zoe. Sono qua per te.
Lei lo spinge fuori dalla stanza e lo guida su per le scale. Fino a una camera da letto. Entrano e ritornano ad abbracciarsi. E' lei la prima a parlare. Corrado non è ancora riuscito a dire niente.
"Grazie di essere venuto, amore mio. Io lo sapevo che l'avresti fatto. Tu hai solo venticinque anni, ma sei un grande uomo."
Corrado è bloccato dall'emozione. Vorrebbe parlare, ma non ce la fa.
Altro respiro profondo.
Bacio sulla bocca della ragazza. Poi le parole finalmente trovano una via di uscita.
"Io per te farei tutto. Io ti amo Zoe. E anche se sarai costretta a rimanere in Francia, io troverò una soluzione per vederti ancora."
Lei muove la bocca in avanti, lui gli va incontro. E' un bacio lungo e appassionato.
Si sente una voce, che proviene dal piano di sotto.
"Zoe, dove sei? Devono chiudere la bara."
Zoe impallidisce. Si stacca da Corrado e corre giù dalle scale. Il ragazzo la segue. La mulatta entra nelle stanza del feretro. Dentro ci sono suo padre e i suoi due fratelli. Oltre a loro ci sono gli uomini delle pompe funebri, pronti a chiudere la bara con un volgare trapano.
La porta viene chiusa. Corrado, rimasto fuori, ora è di nuovo di nuovo solo con il mondo. Si siede sulla prima sedia che trova, impermeabile agli sguardi curiosi della gente. Da dentro la stanza provengono pianti e urla.
Corrado abbassa lo sguardo.
L'ultimo saluto alla loro madre. L'ultimo saluto alla propria moglie. Che devasto!
Sente il rumore del trapano. Le viti staranno affondando definitivamente nel legno.
Quelli che soffrono sono quelli che rimangono, non quelli che se ne vanno. Loro se ne vanno in un posto bello. Senza preoccupazioni. Senza invidie, né gelosie. Senza desideri morbosi. Un posto magico, dove si è sempre felici. Se tutti lo capissero, sarebbe tutto molto più semplice.
Il padre sta gridando ora. Frasi incomprensibili. A Corrado viene la pelle d'oca.
Non è così facile capirlo. E' facile per me, che oggi sono quasi un estraneo a questa morte. Ma per tutta la gente che c'è qua come la mettiamo? Ma io ci credo, porca miseria! La vita non finisce con la morte. C'è un senso a tutto quello che facciamo. E fanculo a chi mi dà dell'ingenuo. Almeno io credo in qualcosa.
La porta si riapre. Zoe sostiene il padre, che sembra sul punto di svenire. Corrado capisce che lei non tornerà mai più in Italia.
E' lei che dovrà tirare la baracca ora. E' lei la più forte di tutti. Ma io come farò senza di lei?
Adesso, però, non è tempo per pensare a queste cose.
Gli addetti delle pompe funebri si sono caricati la bara sulle spalle e si dirigono verso la lunga macchina che attende in strada. I due fratellini di Zoe piangono. Lei li abbraccia entrambi, li bacia sulla fronte. Poi chiama Corrado e gli sussurra nell'orecchio:
"Ti prego, stammi vicino."
Il capellone la guarda dritto negli occhi. Le prende le mani tra le sue e le dice:
"Sono venuto fin qua per questo, amore mio."
Poi la prende a braccetto e insieme si incamminano vero la chiesa.
SABATO 8 MARZO 2007, ORE 14:00
Ezio corre. Ezio sta bene.
Il periodo brutto è ormai alle spalle. C'è un bel sole oggi, forse anche il freddo se ne è andato definitivamente. Il Rosso si gira e sorride al suo compagno di corsa, don Gianluca. Corrono insieme, come ai vecchi tempi. Come la prima volta che si sono incontrati. I colli di Grena come scenario.
Anche stamattina Ezio si è alzato e come prima cosa ha letto un biglietto che tiene nascosto nel portafoglio.
Ci sono scritte due frasi.
DEVI CAPIRE CHI VUOI ESSERE VERAMENTE.
DEVI ESSERE SEMPRE TE STESSO.
Due frasi che gli sono entrate nel cuore. Due frasi che lo aiutano a tenere lontana la sua maledetta rabbia. Due frasi pronunciate dall'uomo riccioluto che adesso gli sta correndo di fianco.
Gli alberi del bosco lasciano filtrare pochi raggi di sole, ma il tepore si sente lo stesso. Boz arranca dietro di loro, ma non molla. Ezio abbassa la mano e il cane gliela lecca.
Il Rosso sorride e poi dice:
"Si sta bene qua in mezzo alla natura. Mi sento legato a questa strada sterrata, a queste colline. Speriamo che non riescano a rovinare anche tutto questo."
Il Rosso ha un attimo di debolezza.
Qua ci venivo a fare l'amore con Gloriana.
L'angoscia passa veloce. In un soffio di vento.
Don Caparezza risponde, con un sorriso amaro dipinto sul volto:
"Io ci spero Ezio, perché Grena è rimasto uno dei pochi paese della zona con tanto verde. Ma hai visto in giro nella bergamasca? Porco schifo, ormai hanno costruito case e capannoni dappertutto.
Non c'è rimasto quasi più niente dei campi e dei boschi. I paesi sono divisi solo dal cartello. E' impressionante. Fino a vent'anni fa tra un paese e l'altro c'era una bella striscia verde. Adesso sono attaccati l'uno all'altro."
Ezio fa una smorfia. Il don ci ha proprio azzeccato. Anche lui ha notato tutto questo. Quando gira in macchina e vede cemento e solo cemento sta male. Prova un dolore quasi fisico.
"Ma don, dove vogliono arrivare? Non si rendono conto che tra poco lo spazio qua il Lombardia finirà? Vogliono costruire i loro appartamenti, le loro strade, i loro faraonici centri commerciali persino nei parchi protetti? Secondo me, se potessero, costruirebbero persino in cima alle montagne!"
Don Caparezza annuisce e sussurra:
"Hai ragione ragazzo mio. Anche io ho molta paura. Stiamo succhiando la terra fino al midollo. E così non va bene. C'è questa fissa, del progresso che deve andare avanti. Andare avanti fino a dove? Fino a un punto di non ritorno?"
I due amici per un po' non dicono niente. Si godono il bosco e il sudore sulla fronte. E il respiro ansimante di Boz.
Poi il don dice:
"Spero solo che ci si ponga un limite. Così non si può andare avanti. Altrimenti temo che la natura prima o poi si prenderà la sua bella rivincita."
All'improvviso sentono uno strano rumore. Sembra un'automobile in derapata. Poi un lamento di animale. Sembra quello di un cane. Ezio e il don accelerano la corsa, preoccupati. Ormai sono in prossimità di un tornante. Svoltano la curva e capiscono tutto.
C'è un bel pastore tedesco, legato con una corda ad un albero. Di fianco a lui un sacco pieno di crocchette. Nel tornante successivo si sta allontanando sgommando una station-wagon. Il Rosso inizia a rincorrerla.
"Don, quel figlio di puttana ha abbandonato il cane. Ma io lo prendo quel fetente!"
Ezio corre. Si sente una carica incredibile addosso. Lui i cani li adora. Lui a un cane non farebbe mai del male.
Ma come si fa ad abbandonare un cane? Con che coraggio?
Il Rosso aumenta la velocità. Si sente le gambe forti, come durante una gara. L'automobile non può permettersi di andare veloce su una strada sterrata piena di curve. Ezio ormai è a venti metri.
La targa. Devo riuscire a vedere la targa.
Il Rosso guarda verso la targa, ma non riesce a vedere i numeri. Con un gesto automatico si toglie il sudore dagli occhi e riguarda. Niente, non riesce a vedere niente. Poi capisce e la sua rabbia aumenta.
Ha ricoperto la targa con uno straccio. Che bastardo! Se lo prendo lo ammazzo.
L'automobile è a quindici metri. La mente del Rosso si sta annebbiando. L'antica rabbia torna a far capolino nelle sue vene.
Il ragazzo si china e raccoglie un sasso, bello grosso. Alza il braccio e si prepara al lancio.
Che cosa sto facendo? Mio Dio, che cosa sto facendo? Se gli sfondo il vetro, rischio davvero di ammazzarlo.
Ezio ritorna in sé. Butta il sasso per terra. Tenta di aumentare l'andatura, ma il passo non è più quello di prima. L'antica rabbia lo ha sfinito. Concentra lo sguardo sull'auto, che si sta allontanando definitivamente. Le gambe sono molli ora. I riflessi quasi azzerati. C'è un pezzo di legno in mezzo alla strada. Il Rosso non lo vede e non fa in tempo a saltarlo. Cade come un sacco di patate.
Sente le ginocchia cozzare contro i sassi. Sente la pelle lacerarsi. Ezio è a faccia in giù in mezzo alla strada ed è così che lo trovano don Gianluca e Boz.
"Ti sei fatto male, Rosso?"
Il ragazzo solleva la faccia. Boz gliela lecca. Ezio non ha il coraggio di guardare il don negli occhi. La sua voce è molto bassa e rauca:
"Non sono riuscito a fermarlo, don. E non gli ho visto nemmeno la targa. Quel bastardo l'aveva coperta. E in più ho rischiato di compiere un omicidio. Gli stavo lanciando addosso un grosso sasso. La mia rabbia mi stava guidando il braccio. Ma non so come, ma ce l'ho fatta a non fare la cavolata. Non gli ho lanciato un bel niente. Meno male, don."
Don Caparezza lo aiuta a rialzarsi. Lo abbraccia. Il viso del Rosso è sconvolto. Le ginocchia sono ricoperte di sangue. Il don gli accarezza una guancia e sorride. Piano gli dice:
"Adesso andiamo a slegare quel povero cane. Lo porteremo giù con noi. Tu, ragazzo mio, hai fatto il massimo. Sei stato grande lo stesso."
Il viaggio di ritorno passa in un attimo. Il pastore tedesco non ha paura dei due uomini, anzi è molto obbediente. E poi va subito d'accordo con Boz. I due giocano e si leccano. Ezio li guarda divertito.
Non ho ancora trovato un cane che non vada d'accordo con quel ciccione di Boz. E' davvero un grande cane!
Arrivano davanti alla casa del Rosso.
Il ragazzo si fa serio e dice:
"Ehi don, adesso che ne facciamo di questo bel lupo?"
Don Caparezza risponde immediatamente:
"Ho già avuto a che fare con cani abbandonati. Bisogna chiamare i carabinieri, che a loro volta chiameranno l'accalappiacani. Questo verrà a pigliarsi il lupo e lo porterà al canile. Poi controlleranno se il cane ha il tatuaggio o il microchip. Se ce l'ha, si può risalire al proprietario. Ma i cani abbandonati di solito non hanno nessun segno di riconoscimento."
Ezio si abbassa ad accarezzare il lupo. E' proprio un bell'esemplare. Il Rosso gli liscia il pelo e l'animale scodinzola.
"Don, come si fa ad abbandonare un cane? Devi essere un vero bastardo per farlo!"
"Dai, non pensarci ora. Anche io non riesco a spiegarmi certi comportamenti dell'uomo. Proprio come i discorsi che facevamo prima di sentire l'automobile partire via in derapata. Adesso fammi un piacere, fai un colpo di telefono ai carabinieri."
Il Rosso fa il suo dovere. Dopo dieci minuti viene richiamato dall'accalappiacani .
"Sarò lì tra un'ora" dice l'uomo. Ha una voce cordiale e buona.
L'obiettore e il don aspettano. Intanto danno da mangiare e da bere ai due cani. Dopo mezz'ora arriva la mamma di Ezio, osserva il grosso lupo che gioca con Boz e sorride:
"Cosa avete combinato stavolta voi due?"
Ezio le spiega tutta la storia. La donna accarezza prima Boz e poi il pastore tedesco.
"Se al canile non risaliranno al padrone, lo potremo tenere noi, Ezio. Tanto qua di spazio ce n'è. E io ho bisogno di compagnia!"
Il Rosso è felice di ciò che ha appena detto sua madre.
All'improvviso compare un furgone davanti al cancello. L'accalappiacani ha trovato l'indirizzo al primo colpo. Scende un uomo magro, stempiato, con un guinzaglio in mano.
Si presenta e con modi delicati lega il lupo. Poi dice:
"Adesso lo porterò al canile. Probabilmente il cane non avrà né tatuaggio né microchip. Domani penseremo noi a tatuarlo o a mettergli il chip. Poi, se vi interessa, venite a prenderlo."
Ezio guarda quell'uomo gentile e dice:
"Tra due o tre giorni verrò a prenderlo. Questo lupo ha bisogno subito di una casa."
Il Rosso e don Gianluca si abbassano contemporaneamente ad accarezzare il cane. Boz si avvicina ad annusarlo. L'accalappiacani carica il lupo sul furgoncino, saluta tutti e se ne va.
Don Gianluca mette una mano sulla spalla di Ezio. Gli dice piano:
"Bravo che ti terrai il cane. Sei proprio un bravo ragazzo. Prima di andare al canile chiamami, se riesco verro anch'io, ok?"
Il Rosso risponde:
"Certo don, ci andremo insieme. Adesso vado a medicarmi le ferite alle ginocchia. Sto perdendo un sacco di sangue. Grazie di tutto, don."
I due si guardano dritto negli occhi. Si stringono la mano. Infine don Caparezza si gira e saluta la mamma di Ezio. Poi se ne va, la testa riccioluta che ondeggia al ritmo della sua corsa.
Sono le sei e mezza. Dopo una doccia ed essersi fasciato le ferite, il Rosso mangia. Una super porzione di pasta preparata da mamma Luciana. Poi scende in giardino. Si siede nell'erba e arriva Boz che tenta di leccarlo in faccia. Ezio si sente bene. Nel profondo. Gli viene in mente la sua corsa folle dietro la macchina. Il sasso.
E se l'avessi lanciato? Cosa sarebbe successo?
Ezio ha un brivido.
Ma non l'ho lanciato! Ho saputo contenere la mia rabbia. Forse sono guarito.
Si rialza. Saluta il bestione. Sono ormai le nove e sente il bisogno di andare a dormire. Sua madre sta leggendo un romanzo in salotto.
"Mamma, io vado a letto. Sono stanchissimo. Buonanotte."
La donna sorride e risponde:
"Vai, vai, che hai una faccia bella tirata. Buonanotte."
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