venerdì 21 agosto 2020

DON CAMILLO. Pellegrinaggio Alta via delle Grazie

 



FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

LO SPIRITO DEL PELLEGRINO

Il Pellegrinaggio, da sempre e per tutte le culture, è un'esperienza che nasce da un profondo desiderio di rinnovamento. Per questo si decide di interrompere per un periodo di tempo il ritmo della vita quotidiana e di lasciare da parte le normali sicurezze e abitudini, per entrare in una realtà nuova all'insegna dell'essenziale.
In questo modo si crea la condizione per ritrovare se stessi, per riflettere sul senso di tutto, e per valorizzare le cose che si vedono e gli incontri che si fanno.
Il Pellegrino è chi va a piedi, impegnando le sue energie personali, e adeguandosi a tutte le situazioni che si creano.
Anche per chi non è credente il pellegrinaggio assume una valenza religiosa in quanto lo impegna in una ricerca di senso.
A maggior ragione il pellegrinaggio assume un significato religioso per chi è credente, perché diventa occasione preziosa di preghiera e simbolo del cammino verso Dio.
Perché tutto questo sia possibile, è necessario che il pellegrinaggio non sia trasformato in una gara podistica segnata dalla preoccupazione della media oraria e dall'orgoglio sportivo di essere in grado di percorrere tanti chilometri in tempi sempre più ristretti.
Il Pellegrino butta via l'orologio e si regola con il percorso del sole, e soprattutto si lascia guidare dal quel Sole che è Cristo Gesù che diventa anche il Pane che nutre e la Sorgente d'acqua viva che disseta.
Per questo durante il pellegrinaggio dell'Alta via delle Grazie, avremo momenti di preghiera di gruppo con la recita del S. Rosario cammin facendo, e la celebrazione della S. Messa alla fine di ogni giornata.
Il pellegrinaggio non è solo questione di muscoli allenati, ma anche e soprattuto di motivazioni che hanno le loro radici nel profondo dell'anima. Sono proprio queste motivazioni che il Signore alimenta grazie alla preghiera e all'Eucarestia. Più sono forti queste motivazioni, più i muscoli si adeguano e diventano capaci di reagire (naturalmente  è necessario un minimo di preparazione fisica...).
E' con questo spirito che in 11 "convenuti dal monte e dal piano...cittadini di 20 città..." iniziamo il 17 agosto prossimo il percorso dell'Alta via delle Grazie, per concluderlo, a Dio piacendo, il 28/8 alle ore 20,30 con la celebrazione della S. Messa di ringraziamento nella nostra chiesa parrocchiale.

                                         don Camillo

Il pellegrino

Porto sulle spalle uno zaino pesante:
è tutta la mia casa e il mio patrimonio.
Il cammino per strada è il mio impegno costante;
non temo nemici, nemmeno il demonio.

Lungo il percorso osservo e ascolto,
entro nel cuore d'ogni incontro che faccio:
se sono persone le guardo nel volto,
se son cose o eventi le rispetto e li abbraccio.

In tutto io cerco un senso e un valore:
nel cielo che piange una pioggia a dirotto,
nel sol del meriggio che emana calore,
ma anche in ciò che non sarà mai tradotto.

Mi appoggio al bastone che ho per compagno,
cerco un po' d'ombra e la fontanella;
mi basta anche l'acqua di un piccolo stagno, 
la panchina del parco mi fa da sorella.

Per chi non mi conosce io son vagabondo,
uno che sfugge gli impegni e il lavoro, 
mentre io voglio solo vivere il mondo,
sentirmi una nota in quell'immenso bel coro.

Ogni giorno riprendo, pellegrino, il mio viaggio
accettando d'entrare in un'incognita Storia
che richiede ad ognuno prudenza e coraggio
che sanno zittir la superbia e la boria.

                                       don Camillo


mercoledì 19 agosto 2020

RIFLESSIONI. La vecchiaia di papa Giovanni XXIII

 

Diceva di sé papa Giovanni XXIII: "Comincio a sentire nel mio corpo qualche disturbo che è più che naturale in un vecchio. Lo sopporto in pace, anche se mi è un  po' penoso e anche se mi fa temere che si aggravi. Non è piacevole pensarvi troppo; ma, ancora una volta, mi sento pronto a tutto. La mia tranquillità personale, che fa tanto impressione al mondo, sta tutta qui: restare nell'obbedienza, come ho sempre fatto e non desiderare o domandare di vivere neppure un giorno oltre quello in cui la morte deve venire a chiamarmi, a prendermi per condurmi in Paradiso, come confido. Tutti i giorni sono buoni per nascere, tutti i giorni sono buoni per morire".

DON CAMILLO. Educare più che costruire recinti

 


FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

Educare più che costruire recinti

C'é una tendenza specialmente in questi tempi, a creare o inasprire leggi a protezione di volta in volta o della donna dai soprusi dell'uomo, o delle persone di colore a protezione da chi è bianco (che pure è un colore, per cui non capisco perché si definiscono "di colore" gli altri), o degli omosessuali a protezione dagli eterosessuali...
Faccio fatica a capire  il pullulare di leggi, quando ne basterebbe una sola, fatta osservare con rigore e determinazione: quella di rispettare la persona umana nella sua diversità fisiologica, psicologica, sessuale, politica, economica, culturale... Il rispetto della persona in tutte quelle sue manifestazioni che non siano a danno degli altri.
Su questa base, poi, si può aprire il confronto, non per sradicare la diversità dell'altro, ma per ricercare insieme quella verità che è valida per tutti e qualifica la vita di tutti, chiedendo a ognuno di riconoscere i suoi limiti e di rispettarli, e di godere delle sue possibilità.
Uno stato che moltiplica a dismisura le sue leggi, rivela di non essere in grado di educare, ne di promuovere e di incoraggiare processi di educazione, per cui moltiplica i recinti dentro i quali rinchiudere le persone, arrivando così, paradossalmente, a fossilizzare la discriminazione, e a correre il rischio di censurare quella libertà di pensiero e di dissenso che non ha niente a che fare con l'incitamento all'odio e alla violenza.
                                   
                                            don Camillo


Il giardino più bello

Non mi piace il giardino ben squadrato
tipo quello di fattura stile inglese
dove il prato è sempre tutto ben tagliato
e dove l'erba non riserva mai sorprese.

A me piace solo il prato variopinto
dove l'erba è da molteplici sementi
e i fiori d'ogni specie hanno vinto
il rigore degli schemi inclementi.

E' il giardino che rispecchia la natura
pura, semplice e di ricca fantasia,
che accoglie e non rifiuta per paura,
ma riserva per ognuno cortesia.

E' l'insieme dei diversi a render bello
il paese in cui vive tanta gente,
dove i saggio parla e ride col monello
e dove l'uomo dalla donna non dissente.

A me piace il giardino dove il nero
non è visto come razza da salvare,
ma soltanto come donna e uomo vero
insieme al bianco, al giallo e al rosso da amare.

C'è chi vuole fabbricare dei recinti
per ognuna delle specie disprezzare
perché pensano così, e son convinti,
che in tal modo sian ben valorizzate.

C'è di meglio dentro l'animo umano
se dall'inizio con saggezza è stimolato:
siam capaci di tenerci per la mano
e trasformare in fioriera ogni staccato.

                                     don Camillo

mercoledì 12 agosto 2020

RES PUBLICA. Immaginare l'Italia del futuro

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" luglio-agosto 2020.

Articolo: "Immaginare l'Italia del futuro" di RITANNA ARMENI.


I soldi ci sono. Non tanti quanti ne occorrebbero per il rilancio di un'economia dissestata. Non tutti nei tempi necessari per intervenire tempestivamente. Sottoposti a regole precise e probabilmente non del tutto adeguate ai nostri desiderata. Ma ci sono. 
Al governo, alla classe politica ora il compito di spenderli bene. Di usarli davvero per il rilancio del Paese, per uscire dalla crisi, per rendere più sicura la vita di tanti e di tante.
I dati sul Pil e le previsioni della Banca centrale sono davvero allarmanti. Il Prodotto interno lordo si ridurrà nel 2020 di un 9 per cento che potrebbe diventare il 13 nel caso di una ripresa della pandemia in autunno. Il debito pubblico sul Pil potrebbe salire al 160 per cento. E qui comincia il probema.
Come si spendono questi soldi faticosamente trattati e raggiunti? Con quali priorità? A quale fine? Quali degli antichi errori è bene evitare? Quali nuovi comportamenti devono essere praticati? E' necessario fare alcune premesse.
Il denaro che l'Europa elargirà non è un regalo. In parte (cospicua) sono risorse che ogni Paese, quindi anche l'Italia, ha versato e che ci vengono restituiti. Soldi che i cittadini italiani hanno versato attraverso le tasse e che dovranno, in buona parte, essere a loro volta restituiti. Si tratta di un debito che contraiamo e che va onorato. Se questo non accadesse, al di là delle regole e dei dettami europei, per l'Italia sarebbe davvero la catastrofe, significherebbe l'assoggettamento a economie più forti e probabilmente spietate. In poche parole sul modo in cui si spendono i miliardi si giocano le sorti del Paese, quel che saprà o potrà essere nei prossimi anni. Con un rischio che non è esagerato definire mortale.
Il dibattito appena avviato non è di buon auspicio. I partiti sembrano più intenzionati a seguire i propri interessi elettorali che quelli più generali, le ricette appaiono sempre le stesse: assistenzialismo ai redditi più deboli, riduzione delle tasse non meglio specificata, incentivi e sostegno alle imprese, economia green.
Soluzioni che prima che essere sbagliate (alcune possono anche essere giuste) sono parziali ed eludono il problema centrale. Non si possono disperdere i fondi raggiunti con una faticosa trattativa in  mille rivoli. Il Paese ha bisogno di un progetto generale d'investimenti, di una visione d'insieme, di un rilancio che riguarda tutti, proprio tutti, i settori economici e sociali, che risponda alla domanda cruciale: quale lavoro, quale futuro per i giovani? Non si tratta di agevolare questa o quella parte sociale, né di incentivare questo settore o quell'altro.
Si tratta di approfittare della possibilità che l'Europa offre per ricostruire un Paese la cui economia è in gran parte distrutta o poco concorrenziale. Di riparare alle ingiustizie e alle diseguaglianze già profonde e che la pandemia ha acuito. Si tratta, in poche parole, di immaginare l'Italia del futuro. E il ruolo e la responsabilità che lo Stato deve assumersi nella sua costruzione. Non è poco ma è ineludibile.

I RACCONTI DI QUADRIFOGLIO. Riflessioni durante il coronavirus

Avevo promesso che ogni mese provavo a scrivere qualcosa che nel corso della mia vita mi aveva emozionato o insegnato qualcosa che ne valesse la pena raccontare. Ma  è da gennaio  che mi ha rallentato e tolto la voglia di pensare e di ricordare cose che mi invogliassero a scrivere e anche adesso che vorrei esprimere tutte le emozioni che in questi mesi ho vissuto faccio fatica a dissiparle.
Entro il mio cuore c'è ancora troppo dolore, ho negli occhi ancora la fila dei camion militari con tutte le bare dei cari defunti e continuo a pensare al dolore dei famigliari per come è successo il distacco da loro senza poterli nemmeno salutare un'ultima volta.
Ora non voglio scrivere cosa è successo perché penso che ognuno di noi ne sappia abbastanza, tanto che tutti i giorni ci danno informazioni perché non è ancora finita e purtroppo dovremo convivere  con questa realtà.
Forse per cambiare le cose è un tantino tardi?
Forse prima di voler cambiare le cose dovremmo cambiare ognuno di noi. Ogni tanto provare a riflettere di quante cose abbiamo ma ne vorremmo ancora di più senza nemmeno sapere bene cosa davvero abbiamo bisogno.
Usiamo le risorse della natura con leggerezza e poco rispetto, perché a noi uomini è dovuto e vogliamo tutto e subito senza mai pensare quanti doni la natura ci fa senza chiedere nulla.
Secondo me, dato che noi facciamo parte di lei e stiamo perdendo il rispetto di noi stessi, forse ci sta dicendo "fermatevi e cambiate rotta perché è l'unico modo per aiutarci a vivere bene a vicenda".
Io so che tanti di noi lo stanno capendo anche per non dimenticare tutte quelle persone, non perché ci hanno lasciato, ma come hanno dovuto lasciarci.
Ai tanti medici e infermieri che hanno dato tutte le loro energie e tanti anche la vita  tutto questo non si può proprio dimenticare.
Riflettiamo e impariamo a rispettare noi e in automatico si rispetta tutto il resto che fa parte sempre di noi, imparando anche a dirci ogni tanto "ti voglio bene".

                                         Quadrifoglio

martedì 4 agosto 2020

DON CAMILLO. Di che prete sei?




FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

DI CHE PRETE SEI?

C'è l'usanza nelle nostre parrocchie di giudicare i sacerdoti definendoli all'antica o moderni a seconda di come si vestono, di come celebrano, predicano, parlano...
A mio riguardo ne ho sentite di tutte: che sono all'antica, per alcuni; per altri un po' troppo moderno; mi è anche stato detto che non sono un parroco, ma un curato; altri mi hanno detto che sono più un pastore di pecore e di capre che non di anime...
A dire la verità, nessuna di queste definizioni mi dispiace. Nella loro motivazione originaria volevano essere offensive o denigratorie, ma a me sembrano simpatiche.
Comunque, aldilà di come sono visto e giudicato, io ho fatto la scelta di impegnare la mia vita per servire la Chiesa.
Verifico la mia Fede con quella che la Chiesa custodisce da sempre, e non con le teorie dei teologi.
Amo la Chiesa che mi ha generato alla Fede e me l'ha nutrita; per questo la considero mia madre. E anche se nel tempo è stata prostituita, continuo ad amarla, anche se la rimprovero, perché è mia madre e so che anche lei mi offre la misericordia per le mie miserie.
La amo e la ammiro anche perché madre di tanti figli della Luce che si sono nutriti al suo seno e hanno goduto delle sue carezze.
Quando parlo, trasmetto volentieri quello che ho imparato sulle sue ginocchia, e continuerò a parlarne nella certezza di dire cose vere perché una mamma che ama i suoi figli non insegna mai cose cattive o false a loro.
Se per questo sono ritenuto un prete all'antica, ne sono orgoglioso, perché vuol dire che non ho tradito mia madre, quella stessa che Dio ama e che Cristo ha scelto come sposa alla quale resta fedele da sempre, perché la ama.
Se poi sembro un po' troppo spinto perché quando lavoro indosso la tuta; quando faccio il podista i pantaloncini e la canottiera o quando vado in piscina il costume da bagno, ne sono orgoglioso perché non mi sento ingessato riguardo alla veste talare o alla divisa da prete, anche se, quando è necessario, la indosso con piacere.
E se sembro più un pastore di pecore o di capre che non di anime, mi si risveglia in animo una passione che ho da sempre: l'allevamento e la cura degli animali che ho potuto assecondare altrove perché avevo la spazio adatto, ma che non mi ha mai rubato tempo alla cura delle anime perché dedicavo  agli animali le ore  nelle quali le anime non erano disponibili (e all'elenco degli animali aggiungo i pony, gli asini, le galline, le oche e a volte anche i conigli): questi ultimi animali di taglio più piccolo utili anche per la cucina.
E se per qualcuno son sembrato più un curato che un parroco vuol dire che sono appassionato alla pastorale dei ragazzi e dei giovani, che non mi ha mai distolto dalla pastorale degli anziani.
Aldilà di come ognuno mi vuol vedere, ci tengo a restare quello che sono con l'impegno di testimoniare e di annunciare (per quanto la mia pochezza permette) la Fede della Chiesa così come la Chiesa me la trasmette.
E' questo il mio impegno più importante al quale non voglio rinunciare e il mio solo orgoglio del quale non mi voglio pentire.

                                             don Camillo

VITE INTRECCIATE

E' cominciato il caldo
finalmente.
Di mattino presto
nel silenzio dell'alba
rimarcato da brezza
leggera e fresca
bagno i fiori
e le piante aromatiche
attorno alla Chiesa.
A modo suo 
ognuna ringrazia
per l'acqua versata, 
liberando un profumo
d'arcaica schiettezza
bramata.
Altri amici aspettano
sotto.
Nelle stallette
appena svegliati
dal canto di uccelli,
cavalli e caprette
mi corrono incontro
nitrendo e belando
con voci d'infanzia.
A modo suo
ognuno ringrazia
per il fieno fornito,
con odore di stalla
memoria d'un tempo
passato.
                                   
                                     don Camillo