mercoledì 21 luglio 2021

VIVERE INSIEME. Samaritani dei nostri giorni


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" aprile 2021.
Articolo: "Samaritani dei nostri giorni" di MICHELA MURGIA.




Oggi la solidarietà è più perseguita dell'apologia di fascismo.

Sono Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, 84 e 65 anni, che da anni accolgono in casa loro, a Trieste, migranti in fuga da violenze e povertà. Ma per l'Occidente ricco, la povertà e chi accoglie sono molto più spaventosi dell'eversione.

Immagina di sentire il campanello della porta di casa tua suonare alle cinque del mattino, di aprire stralunato in pigiama e trovarti davanti una squadra della Digos e della divisione antiterrorismo che ti sbatte in faccia un mandato del giudice per perquisirti l'abitazione. 
Immagina di avere 84 anni, una vita di lavoro pubblico alle spalle e una moglie di 65 anni attonita in vestaglia accanto a te che osserva quella squadra frugarle la casa stanza per stanza mentre il sole non è ancora sorto, come si fa con i mafiosi latitanti o i trafficanti di droga.
Come ti sentiresti? Probabilmente in modo non molto diverso da come si sono sentiti i pensionati triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, professore di filosofia lui e psicoterapeuta lei, quando all'inizio dell'anno, si sono visti trattare come criminali perché - questa era l'accusa - sospettati di aver favorito l'immigrazione clandestina.
La ragione di quell'irruzione stava anch'essa in pigiama nella camera degli ospiti, dove quella notte avevano dormito quattro persone: una mamma, un papà e due bambini di 9 e 11 anni, un'intera famiglia iraniana in fuga dalla povertà e dalle restrizioni del regime teocratico dell'ayatollah Khamenei.
Trieste di famiglie come questa ne vede molte perché sul confine italiano rappresenta l'ultimo avamposto della cosidetta rotta balcanica, la terribile via di terra usata dai migranti mediorientali per cercare di arrivare in Europa nella speranza di trovare condizioni di vita sicure.
I fortunati che non vengono uccisi dalla fame, dal freddo e dalle mine anti-uomo o quelli che non sono catturati dalla polizia di qualche Stato intermedio riescono ad arrivare fino alla stazione giuliana e non è raro che in quel piazzale trovino proprio Gian Andrea e Lorena con il loro carrellino verde, imbaccucati fino agli occhi nell'inverno del Nord-Est, che servono tè caldo e offrono farmaci, vestiti e cibo a chi arriva.
Li chiamano samaritani, lui per molti è "nonno Andrea", ma negli occhi di quell'anziano ex professore di filosofia  non c'è solo la luce della solidarietà più umana.
Sul tema del diritto a migrare i due coniugi si considerano attivisti politici e lui è convinto che sia proprio per questo che i poliziotti gli sono entrati in casa nella notte, come se lui e Lorena stessero progettando un attentato, anziché dare un tetto a due bimbi e ai loro genitori.
"Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno con i migranti. Un impegno umanitario si limita a lenire la sofferenza senza tentar d'intervenire sulle cause che la producono. Un impegno politico, nell'attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di un'organizzazione della vita sociale basata sulli sfruttamento degli uomini e della natura, portato al limite della devastazione, come la pndemia ci mostra".
Il dissenso di Gian Andrea e Lorena è organizzato e sistematico. La loro  casa è un'abitazione privata, ma è anche la sede dell'associazione Linea d'ombra, che coinvolge molti volontari e si occupa pacificamente di dare tutto il sostegno possibile ai sopravvissuti alla traversata dei boschi balcanici. The game, così lo chiamano il percorso ad ostacoli di quella rotta, e non è facile farlo restando dentro i confini della legge, perché tutti gli Stati europei in un modo o nell'altro si sono ingegnati in questi anni per rendere i profughi illegali e poterli così rispedire alle rispettive zone di provenienza come clandestini.
Lo sanno bene le organizzazioni Ong che presidiano, nei limiti del possibile, l'altra grande rotta, quella del Mediterraneo, che una delle strade seguite dai governi europei in questi anni è stata proprio quella di includere nella criminalizzazione non solo i migranti, ma anche chi li aiuta salvando loro la vita o offrendo riparo.
Per questa ragione l'associazione fondata da Gian Andrea e Lorena già in altre occasioni è stata oggetto delle indagini  degli inquirenti, tutte risolte in un nulla di fatto, perché le leggi internazionali del diritto umanitario hanno sempre avuto la meglio sui tentativi nazionali di rendere la migrazione un reato.
Nel frattempo, però, nulla vieta alle forze dell'ordine di svegliare  nel cuore della notte chi ospita una famiglia disperata, di sequestrare computer e cellulari e di violare l'intimità della casa alla ricerca delle prove di collusione con i cosidetti passeur, i trafficanti di persone, che speculano sulla disperazione dei migranti chiedendo denaro per la loro traversata.
C'è sicuramente chi guadagna in modo illegale dal bisogno dei profughi di arrivare in un posto sicuro, ma questo è possibile solo per una ragione: i governi del vecchio continente hanno reso impossibile arrivare in Europa in modo legale, chiudendo tutti i corridoi umanitari e costringendo le persone a cercare per disperazione ogni mezzo per mettersi in salvo.
Con ogni probabilità anche questa volta le accuse cadranno e domani si ricomincerà da capo, ma il sito dell'associazione di Gian Andrea e Lorena riporta con amarezza una considerazione che resta lì come monito: "Oggi la solidarietà è perseguita più dell'apologia di fascismo".
Non è facile smentire questa affermazione, perché in quella casa triestina alle cinque di mattino è andata in scena la dimostrazione che per l'Occidente ricco, la povertà e chi l'accoglie sono molto più spaventosi dell'eversione.

martedì 20 luglio 2021

SCUOLA. Perché studiare la matematica

 

FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 02/07/21.
Articolo: "La matematica migliora il cervello degli adolescenti" di MARTINA SAPORITI.

Anche chi non ama la matematica dovrebbe sforzarsi di studiarla il più a lungo possibile. In Gran Bretagna, invece, a sedici anni gli studenti possono scegliere se proseguire o meno lo studio della materia.
Ora uno studio pubblicato su Pnas dice che questa scelta ha un effetto sullo sviluppo del cervello. Ricercatori dell'Università di Oxford, coordinati dal professore di neuroscienze cognitive Roi Cohen Kadosh, hanno studiato il cervello di 133 studenti inglesi di 14-18 anni. Chi aveva abbandonato la matematica a sedici anni, anche se continuava a studiare altre materie scientifiche come chimica, fisica o biologia, aveva meno neurotrasmettitore Gaba (acido gamma-amminobutirrico) nella circonvoluzione frontale media, una parte del lobo frontale. E' la regione del cervello che memorizza, apprende, risolve i problemi, possiede le competenze matematiche.
Pare che quando da adolescenti c'è poco Gaba in quest'area cerebrale, potrebbero addirittura insorgere problemi cognitivi; inoltre, è noto che questo neurotrasmettitore è necessario alla riorganizzazione delle sinapsi, un processo molto vivace in adolescenza, quando i circuiti del cervello cominciano a prendere la forma adulta sollecitati dallo studio e altri stimoli ambientali.
Importante, sottolineano i ricercatori, è che i livelli di Gaba prima dei sedici anni erano simili in tutti gli studenti esaminati, segno che la diminuzione sembra proprio dovuta alla decisione di chiudere i libri di matematica. Abbandonati i numeri, come ci si aspettava, anche la capacità di ragionamento matematico peggioravano.
Un peccato: il pensiero ipotetico deduttivo, sul quale si basa la matematica, torna utile nella vita di tutti i giorni, perché aumenta le nostre abilità di problem-solving.


lunedì 12 luglio 2021

RIFLESSIONI. Chi non sarà mai un grande uomo

 

FONTE: libro "Il passo del vento" di MAURO CORONA e MATTEO RIGHETTO edito da Mondadori.

"Da piccolo andai con mio padre da un vecchio montanaro che intagliava oggetti in legno d'abete e cirmolo.
Mentre mio padre osservava l'uomo intento a lavorare, io guardavo la lunga barba bianca di quell'artigiano mite e straordinariamente abile. Da quella volta nacque in me la convinzione che la barba, specialmente se lunga e bianca, fosse un segno distintivo di saggezza e che potessero portarla solo i veri uomini. Con tempo dubitai che le cose stessero davvero così.
Ma allora, mi chiedevo, come si riconosce un grande uomo? Io non lo so, tuttavia ho delle idee su come si riconosce un uomo che grande non è.
Chi non sa chiedere scusa non è un grande uomo.
Nemmeno chi non sa dire grazie vale qualcosa.
Non ha alcun valore  un uomo che non sa ascoltare, che non sa compatire, che non sa piangere e rimpiangere, che non sa donare né condividere.
Non è un vero uomo chi tradisce un figlio, o chi non ha rispetto della natura, o chi non riconosce i propri errori.
Neanche chi è incapace di rinunciare a qualcosa è un grande uomo.
E neppure chi non si commuove, chi non sa perdonare e chi non si assume mai delle responsabilità.
Nessuno fra questi sarà mai un grande uomo.
Nemmeno se la loro barba sarà più lunga e la più candida del mondo."


martedì 6 luglio 2021

DON CAMILLO. Violenza in famiglia

 


FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

VIOLENZA IN FAMIGLIA

Tempo fa un'adolescente mi ha confidato un suo dramma. Ne sono rimasto scosso e ho sofferto con lei.
A distanza di tempo ho pensato che poteva essere utile far conoscere questa triste realtà, non per prurito di cronaca, ma per fornire spunti di riflessione a tutti coloro che provocano situazioni simili.
Ho chiamato quell'adolescente che ora è diventata mamma e le ho chiesto l'autorizzazione a parlare della sua esperienza, naturalmente senza fare riferimento a persone e a luoghi.
"Se quanto ho provato lo può servire a qualcuno - mi disse - parlane pure liberamente".
Era abituata a sentire papà e mamma discutere tra di loro. Lo facevano frequentemente e quasi su tutto. Per lei era una tortura ogni volta, e, per cercare di aggirarla usciva di casa e andava a gironzolare senza una meta precisa, soltanto per passare il tempo e aspettare che in casa le acque si calmassero.
Quel giorno, però, non fece in tempo ad andarsene, perché la discussione degenerò subito e vide papà picchiare la mamma e lei che cercava di proteggersi la testa con le mani.
La ragazza rimase talmente scioccata da non sentirsi capace di esprimere  una qualsiasi reazione. Si sentiva come fuori dal tempo e dallo spazio, come se quello che aveva visto non fosse realtà.
A mano a mano  che si rendeva conto che purtroppo quella era la realtà, si faceva sempre più spazio dentro di lei una voglia di ritorsione per colpire i suoi genitori, non con una aggressione diretta, ma facendo del male a se stessa, perché solo così li avrebbe fatti soffrire di più. Fuga da casa; autolesionismo; suicidio... erano pensieri che si accavallavano dentro di lei in forma puramente istintiva, sotto l'impeto di una crudele delusione. Tormentata da questi avvoltoi, si chiuse pian piano in un silenzio sempre più cupo, infastidita da tutto, soprattutto dalle parole mielose del papà e da quelle provocatorie della mamma.
Quando la ragazza mi confidò questo suo tormento, provammo a cercare insieme il perché di questa reazione così estrema davanti a quella scena di violenza.
Arrivammo alla conclusione che la causa scatenante era l'amore  che aveva sia per il papà che per la mamma: lei li portava tutte e due uniti nel suo DNA e nel profondo delle sue emozioni. La violenza alla quale aveva assistito, l'aveva lacerata dentro, come se fosse stata ripudiata o, peggio ancora, uccisa lei stessa. Tanto basta a due genitori per distruggere la vita che essi stessi hanno generato.

VIOLENZA IN FAMIGLIA

Ho visto il papà picchiare la mamma
e lei con le mani a proteggersi il volto.
Una vampa mi ha scosso come di fiamma,
e dentro pensieri che non voglio ne ascolto.

Però mi tormenta questa violenza
che piomba improvvisa nell'anima mia;
riduce a brandelli la mia appartenenza,
cancella ogni spunto di dolce poesia.

Mi chiudo in un triste e cupo silenzio;
mi crea disagio la luce del giorno,
ma pure aborrisco come amaro d'assenzio
la notte, le feste e gli amici che ho intorno.

"Perché non mi parli mio amato tesoro?"
Mi chiede papà vedendomi triste.
"Mi sembri una nota scappata dal coro"
mi rimbrotta la mamma che mi guarda e insiste.

Mi manca il coraggio del parlarvi sincero;
mi sento in me stessa divisa e straziata;
per questo divento per voi un mistero;
s'è inquinata la fonte che mi ha generata.

Non cerco e non voglio abbracci divisi,
un sole che illumina ma non mi riscalda.
Amo gli opposti che son condivisi:
attingo soltanto da quest'acqua di falda.

Scende il silenzio su questo mio dramma;
mi sento una foglia in balia del vento:
Non guardo al futuro ne penso a un programma;
Il colore del fiore lo trovo ormai spento.

                                       don Camillo


 



lunedì 5 luglio 2021

FAMIGLIA. La paura del buio dei bambini

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" marzo 2021.
Articolo: "I bambini e la paura del buio" di DANIELE NOVARA.

Il timore del buio rappresenta una normale fase della vita infantile, nella quale i bambini prendono coscienza di essere al mondo da soli, separati dalla mamma.

La paura del buio appartiene a un'epoca in cui l'oscurità rappresentava un pericolo per la stessa sopravvivenza. I bambini e le bambine sono particolarmente sensibili alle emozioni ancestrali, tra cui vi è, appunto, anche questo timore. E la notte rappresenta il suo  momento apicale. Specialmente a partire dai 2-3 anni, quando è finita la fase simbiotica con la madre, questo stato d'animo può esprimersi con intensità.
Mi racconta Katia, mamma di una bambina di 4 anni: "Giulia ha sempre avuto un po' di difficoltà ad addormentarsi, ma da qualche tempo fa fatica, dice che ha paura e trova ogni scusa per non andare a letto. Deve bere, deve mangiare ancora qualcosa, deve dire l'ultima parola al papà, vuole telefonare ai nonni... Anche di notte si sveglia improvvisamente e arriva al lettone dicendo che ha brutti sogni, che ci sono i mostri e gli animali feroci. Cerco di rassicurarla, ma non è semplice".
Quella della paura del buio, in realtà, è una normale fase della vita infantile, quando i piccoli prendono coscienza che sono al mondo da soli, separati dalla mamma e quindi devono incominciare ad affrontare le fatiche che si presentano. Si tratta di un passaggio importante che i genitori devono accompagnare con naturalezza, senza enfatizzarlo troppo. Usare il lettone a fronte di una possibile paura del bambino risulta eccessivo, in quanto imparare a dormire da soli è importante per la sua autonomia e autostima. Pertanto, occorre costruire bene il passaggio dal giorno alla notte prima di dormire, accompagnare il bimbo nel suo letto leggendo - specialmente la mamma - una storia e, dopo la storia, un po' di coccole (tenere la mano, fare qualche carezza ma restando sempre seduti su una seggiola a fianco del letto).
Diamo importanza anche all'arredamento della camera: meglio prevedere una lucina proprio per la notte. Sono disponibili anche adesivi fosforescenti a forma di stellina: assieme al bambino si possono attaccare al muro o all'armadio e vedere poi che magicamente si illuminano al buio. 
Il bambino può portare a letto una  bambola o un peluche che lo faccia sentire più sicuro.
Dopo i 7 anni, i bambini possono leggere la storia da soli, allora può bastare un momento di tenerezza prima  che essi si avviino verso la propria camera.
Inutile, invece, insistere che non ci sono mostri o addirittura prenderli in giro per le loro paure.
La vita infantile è diversa  da quella adulta ed è popolata dal pensiero magico e da figure che progressivamente scompaiono. Occorre, quindi, accettare i passaggi con serenità e sicurezza, dando fiducia ai figli e mantenendo sempre un atteggiamento positivo verso di loro.