mercoledì 22 agosto 2018

SCUOLA. Maleducazione tra i banchi


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" giugno 2018.
Articolo: "Meleducazione tra i banchi" di FULVIO SCAPARRO.

Premetto che, nello scorso aprile, l'episodio del ragazzo dell'Istituto tecnico di Lucca che umilia il professore davanti alla classe ha avuto tanto risalto da far pensare che in fondo si tratta soltanto di un caso eccezionale, da prendere di certo seriamente, ma comunque isolato e del tutto raro nella scuola italiana.
E' strano che non si sia dato altrettanto risalto ai numerosi episodi riportati dalla stampa di altri insegnanti derisi e umiliati dagli studenti, di genitori che insultano, minacciano e picchiano i professori rei di aver dato brutti voti ai figli, alle non poche scuole nelle quali non c'è traccia di disciplina e di rispetto delle regole minime dell'educazione.
L'episodio di Lucca ha avuto vasta eco non soltanto per l'invito dello studente al professore di sottomettersi e riconoscere la sua "autorità", ma per il fatto che il tutto è avvenuto con la partecipazione compiaciuta del resto della classe che ha pensato bene di videoregistrare il memorabile evento.
Tra i tanti aspetti che più mi inquietano di questa vicenda c'è proprio la convivenza degli altri studenti che hanno assistito da spettatori a un episodio che avrebbe dovuto invece riguardarli da vicino: un professore impaurito e impotente di fronte al loro compagno che si autoesaltava nell'aggressione, a beneficio dei compagni felici di quel divertente imprevisto che rompeva la noia della lezione.
Nessuno di loro ha avuto il coraggio di alzarsi per far cessare lo spettacolo del fallimento e in questo, spero che qualcuno glielo faccia capire, non sono meno responsabili del loro compagno protagonista della brutta storia.
Ma nemmeno l'insegnante, i suoi colleghi, i dirigenti della scuola escono bene dalla vicenda, perché non credo proprio che la totale mancanza di rispetto di quello studente sia stato un fulmine a ciel sereno.
Come bene ha scritto Chiara Saraceno ne "la Repubblica" del 19 aprile, siamo in presenza di un esempio di "quella zona di guerra che troppo spesso sembrano diventati la scuola e il rapporto tra insegnanti, alunni e genitori, dove gli insegnanti appaiono sempre più delegittimati, privati di qualsiasi autorevolezza".
E, invece di chiederci come siamo arrivati a questa situazione e come cercare di uscirne al più presto, arrivano soluzioni che hanno il solo scopo di tranquillizzare l'opinione pubblica: forze dell'ordine nella scuola.
Con il dovuto rispetto per queste forze, l'ordine va cercato e trovato, o ritrovato, prima di tutto nel corpo insegnante e nelle famiglie, attraverso una severa autocritica e un progetto pratico e realizzabile di rieducazione alla convivenza. Anche se è ovviamente meglio che il rispetto non sia soltanto legato ope legis (cioè per norma di legge) al ruolo, ma sia invece guadagnato sul campo, dobbiamo riconoscere che dove non c'è rispetto ci sono scontro, prove di forza, vincenti e perdenti, insomma tutto salvo la collaborazione e la partecipazione a un'impresa comune di insegnanti, famiglie e studenti.
Due parole su ciò che intendo per "rispetto". Non mi riferisco soltanto alle accezioni più comuni, ai sentimenti di stima o di considerazione, né alla buona educazione o significati simili. L'accezione che ho in mente è la giusta distanza di convivenza. La preferisco perché si riferisce a un obiettivo importante: mantenere una relazione tra diversi senza reciproche invasioni.


LIBRI. "La treccia" di Laetitia Colombani


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" giugno 2018.
Articolo: "Incroci del destino" di RITANNA ARMENI.

Smita è un'intoccabile, una dalit, vive in un villaggio dell'Uttar Pradesh, in India, e ogni giorno raccoglie in una cesta gli escrementi di chi appartiene a caste più alte. Ultima tra gli ultimi, vive della carità che qualcuno le fa e mangia i topi che il marito cattura. Ha una figlia, Lalita, e per lei sogna una vita diversa.

Giulia ha 20 anni e vive a Palermo. Lavora nel laboratorio del padre, dove si raccoglie la "cascatura" - i capelli tagliati o caduti delle donne siciliane - e si fanno parrocche e toupet. Una vita modesta e tranquilla insieme alla famiglia e alle operaie del laboratorio, in attesa di qualcosa che - è sicura - un giorno verrà.

Sarah è una donna di successo. Abita a Montreal, in Canada, è divorziata, ha tre figli e un lavoro prestigioso. Avvocato in uno dei più grandi studi della città, è al culmine della sua carriera.

Che cosa unisce queste tre donne che non si conoscono, che sono diverse e abitano in tre luoghi della Terra così lontani tra loro?

La treccia (editrice Nord), romanzo di esordio di Laetitia Colomabi, già venduto in ventisei Paesi e per oltre un anno ai vertici delle classifiche francesi, racconta come la vita e il destino delle tre donne si colleghino e si intreccino in una trama imprevista e avvincente.

Smita decide che sua figlia non dovrà subire  la sua sorte e contro la volontà del marito, sceglie di fuggire in terre lontane dove Lalita potrà andare a scuola e abbandonare un destino che sembra già segnato.

Giulia scopre che il laboratorio del padre è vicino al fallimento, che il suo lavoro e quello delle sue operaie sono in pericolo. E' smarrita, non sa cosa fare, eppure in qualche modo dovrà affrontare la sorte avversa che all'improvviso è entrata nella sua vita. E che altrettanto improvvisamente appare  anche nella vita faticosa, ma brillante e dorata, di Sarah che vede crollare equilibri, ambizioni e speranze di fronte a un cancro che distrugge il suo corpo e annienta il suo spirito.

Le tre donne rimangono lontane, ognuna deve decidere della propria strada. Eppure qualcosa le unisce nel momento più duro, quando tutto sembra perduto, quando di fronte ai pericoli del viaggio a Smita rimane che rivolgersi al suo Dio, Giulia alla speranza che le viene da un nuovo imprevisto amore e Sarah, che perde  in un attimo tutto, si accorge che può contare  solo sulla sua forza interiore e sull'affetto dei figli.

Caso? Destino? Miracolo? Intervento della Provvidenza?
Oppure  semplicemente una forza femminile che proprio nei momenti difficili riesce ad esprimersi?
Probabilmente tutto questo insieme e altro ancora.
Perché succede qualcosa  che noi non racconteremo, perché anche i lettori e le lettrici provino, come chi scrive, emozione e consolazione.
Smita, Giulia e Sarah non lo sanno, e non lo sapranno mai, ma sono diventate più forti e troveranno una nuova esistenza e forse una diversa felicità ciascuna grazie all'altra che non conosce. I loro destini a un certo punto s'incontrano. E s'incrociano proprio come i capelli di una bella e forte treccia.





giovedì 16 agosto 2018

GIOVANI E RAGAZZI. La buona educazione



FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" giugno 2018.
Articolo: "Solo la buona educazione" di LUCETTA SCARAFFIA.

In questi ultimi anni la questione  all'ordine del giorno per gli insegnanti, di qualsiasi ordine e grado, è il bullismo, che ormai dilaga - nella realtà e nel timore apprensivo  di genitori e docenti - in tutte le classi, spesso sotto forma di blog.
Ormai molti insegnanti seguono corsi di aggiornamento tenuti da esperti di bullismo, per imparare ad affrontare  il problema in modo equilibrato e, si spera, definitivo, almeno per quel singolo caso.
Il bullismo ha fatto la sua apparizione qualche anno fa. All'inizio vedeva quali protagonisti ragazzi un po' discoli e come vittime alunni fragili, spesso portatori di handicap, e manteneva ancora forme concrete, minacce rivolte personalmente, prese in giro cattive ma lanciate a volto scoperto. E gli autori erano maschi, i più violenti e ribelli dell'età adolescenziale. Poi, rapidamente, il fenomeno si è allargato, coinvolgendo anche le ragazze - che sempre più spesso adottano un  modello di comportamento maschile, anche se negativo - trasferendosi quasi completamente su internet, dove può esercitarsi anche in forma anonima.
Su internet basta la malignità, non è necessaria la forza fisica o la prepotenza; l'anonimato, inoltre, permette di lanciare anche accuse false senza doverne rendere conto.
Non ci si deve stupire, quindi, se il fenomeno dilaga, se quasi in ogni classe c'è qualcuno o qualcuna che, in forma anonima, indica un capro espiatorio tra i compagni e lo propone, spesso con successo, al dileggio della classe.
Il bullismo è un comportamento nuovo, nato in questi anni? Chi ricorda il libro Cuore di Edmondo de Amicis, grande educatore laico dell'Italia subito dopo l'Unità, sa che anche allora la crocaca scolastica faceva emergere episodi che oggi chiameremmo di bullismo, e che allora si chiamavano malvagità. Ma interveniva a sanzionarli la mano ferma degli educatori - maestri e genitori - che non solo rimproveravano acerbamente i colpevoli, ma spiegavano loro le cause per cui quel bambino era "diverso dagli altri" e li educavano ad accettare e rispettare tale diversità. 
La loro autorevolezza era forte e indiscussa e si fondava non solo su un'accettazione generalmente condivisa  dell'autorità, ma anche sull'alleanza tra scuola e famiglia che sul piano educativo facevano sempre fronte comune, grazie anche al grande rispetto che incuteva la figura del maestro.
Oggi gli insegnanti non sono più così rispettati, ma anzi vengono continuamente giudicati dalle famiglie davanti agli occhi dei figli e spesso accusati davanti al preside di non svolgere bene il proprio lavoro, di non saper tenere la disciplina e così via.
Le famiglie, che sempre più spesso non vogliono più fare la fatica poco gratificante di educare i propri figli, vorrebbero infatti che la scuola risolvesse tutti i loro problemi e, se non li risolve, sono spesso pronti alla denucia.
E' impossibile educare dei ragazzi se non c'è un fronte comune tra scuola e famiglia, se i genitori non dimostrano rispetto e solidarietà nei confronti degli insegnanti, ma li trattano come se fossero loro dipendenti.
Il bullismo trae origine da questo vuoto di educazione, dall'idea che i ragazzi siano buoni di natura e che, se li si lascia fare tutto quello che vogliono, cresceranno bene nella spontaneità e nella libera creatività, idee che purtroppo hanno circolato con successo nelle nostre scuole per decenni, cancellando l'ovvia realtà che solo una buona educazione prepara alla vita responsabile e attenta agli altri, che solo l'abitudine alla fatica quotidiana  dello studio e dell'impegno consente di imparare qualcosa.
Finché non affrontiamo questo problema di fondo, non riusciremo a riemergere dall'emergenza bullismo, e il prezzo sarà pagato dalle nuove generazioni.



mercoledì 8 agosto 2018

DON CAMILLO. Ribelle per gusto





FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

RIBELLE PER GUSTO

Nel virulento tripudio delle pulsioni
Ti ergi a sovrano e assoluto padrone;
trasformi in bestemmie le più forti emozioni
sol per ferir chi per te ha passione.

Con sprezzante arroganza per chi ti ha creato
Dichiari con gusto di non esser credente
Lasciando impotente chi tanto ti ha amato
Privando te stesso di un futuro avvincente.

Ritorna nel selco di quel campo arato
Che sa custodire il seme che cade
E lo sa trasformare in quel frutto dorato
Che nutre chiunque: chi resta e chi evade.

                                    don Camillo

RES PUBLICA. Giocare in strada


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 29/06/18.
Articolo: "Qui si gioca in strada. Ecco i Comuni che vietano i divieti" di ANDREA GAIARDONI.

Divieti ovunque: nelle piazze, nei parchi, nei cortili dei condomini. 
Vietato far rimbalzare palloni, lanciare bocce, perfino correre in alcuni casi, o andare in bicicletta, pattinare, saltare la corda. Insomma, vietato qualsiasi gioco all'aria aperta. Perché i bambini disturbano, fanno chiasso, dove chiasso magari è solo una risata.
Ed è così nella stragrande maggioranza dei Comuni italiani, con regolamenti di polizia urbana (spesso reperti antichi) che dettano regole severe. Ma c'è chi dice no. E ritiene il gioco un diritto.
Per primi sono arrivati i grandi Comuni: Roma, Milano, Genova, Torino.
Hanno adeguato i regolamenti che oggi consentono di giocare sulle pubbliche vie, compresi portici e marciapiedi, salvo "quando arrecano intralcio o disturbo ovvero costituiscono pericolo per sé o per gli altri".
Poi sono arrivati i paesi più piccoli: Comuni di poche migliaia di abitanti che hanno trasformato in vanto la dichiarazione di "gioco libero". Tanto da esporre, all'ingresso del centro abitato, un cartello, con su scritto "Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini giocano ancora per strada".
Da Roccavignale (provincia di Savona) a Sfruz (Trento), da Cazzago (Varese) a Mamoiada (Nuoro), da Vione (Brescia) a Rignano Garganico (Bari), da Tagliacozzo (L'Aquila) a Monterosso Almo (Ragusa). Piccole isole a misura di bambino.
"Nel 1991 l'Italia ha ratificato la Convenzione dell'Onu sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza"ricorda Luca La Spisa, coordinatore nazionale di Arciragazzi. ""Ed è una legge che ha prevalenza su quasiasi regolamento locale. Invece i divieti spingono i bimbi a giocare in casa, spesso in solitudine. E i genitori li sovraccaricano di impegni, senza lasciare loro il tempo libero per inventare. Un errore culturale e pedagogico".
Alcune proibizioni scivolano nel grottesco. 
A Palermo, oltre al divieto di qualunque gioco sul suolo pubblico, è proibito "lanciare sassi e sdrucciolare con pattini sul pavimento stradale". Vietate anche le serenate. E, incredibile ma vero, pettinarsi in pubblico.
A Terni è proibito giocare "alla fionda e alla trottola"-
A Venezia è consentito il gioco, in alcuni luoghi e in alcune fasce orarie, ma solo "ai minori di anni 12".
A Ponzano Veneto il regolamento (redatto nel 1932 e aggiornato nel '53) vieta "il lancio di palle di neve e il giuoco dei carrettini a pattino sulle trottatoie".
Se invece avete intenzione di andare ad Amalfi con i trampoli, sappiate che è vietato, con multe fino a 20 mila lire  (norma del 1974).
Ma il ripristino del gioco libero a volte non basta. Perché i ragazzini non sanno più cosa voglia dire divertirsi in una piazza. 
Come accade a Genova. Rimossi i divieti nel 2013, restano comunque a giocare dentro casa.
"Ma quella di uscire è un'esigenza che tornerà" conclude La Spisa. "Il gioco è parte indispensabile allo sviluppo educativo". Se fatto all'aperto è ancora meglio.


mercoledì 1 agosto 2018

SPORT. Lo sport nell'invecchiamento


FONTE: //www.issalute.it/ sito sviluppato e gestito dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Fare movimento alla mia età? Sono troppo vecchio per mettermi in tuta!         FALSO  

Una costante attività fisica aiuta a rallentare il processo di invecchiamento e migliora la qualità di vita dell'anziano perché riduce i sintomi e le conseguenze di eventuali patologie presenti, migliora le funzioni cognitive, aumenta la forza e la massa muscolare ed evita situazioni di isolamento e solitudine.

Molti anziani pensano che l'attività fisica (/indx.php/la-salute-dalla-a-alla-zeta-menu/a/attività-fisica) vada praticata da giovani e che alla loro età non se ne tragga alcun beneficio, anzi che possa rappresentare un pericolo.
Iniziare l'attività fisica in età giovanile sicuramente aiuta a prevenire diverse malattie, ma si possono avere benefici anche se la pratica regolare comincia in una fase più avanzata della vita.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda, alle persone con più di 65 anni, di fare attività fisica almeno 3 volte a settimana e di adottare uno stile di vita attivo adeguato alle proprie condizioni e abilità. 
Importanti sono anche le attività volte al miglioramento dell'equilibrio per prevenire le cadute. Non serve necessariamente andare in palestra, ma anche fare regolari passeggiate, occuparsi del giardino o giocare con i nipoti, sono attività che favoriscono un "invecchiamento attivo", fondamentale per mantenere la propria indipendenza e autonomia.
Gli anziani regolarmente attivi hanno minor frequenza di patologie cardiovascolari e osteoarticolari, diabete (/index.php/saluteaz-saz/d/504-diabete-generalita), depressione e limitazioni funzionali, rispetto a quelli che conducono una vita sedentaria.
In Italia, il 30% della popolazione si dichiara sedentaria, percentuale che aumenta all'avanzare dell'età, e il 60% degli over 65 anni è in sovrappeso/obeso (/index.php/saluteaz-saz/o/441-obesita).

FILM. Tre manifesti a Ebbing, Missouri


FONTE: MYmovies.it Marzia Gandolfi

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017)
Una commedia profonda che cerca e trova l'anima dell'America sotto l'intolleranza acuta e la mentalità settaria.

Un film di Martin McDonagh con Caleb Landry Jones, Abbie Cornish, Woody Harrelson, Kathryn Newton, Peter Dinklage, Sam Rockwell, Lucas Hedges, Frances McDormand, Kerry Condon, John Hawkes.
Genere thriller.

Mildred Hayes non si dà pace. Madre di Angela, una ragazzina violentata e uccisa nella provincia profonda del Missouri, Mildred ha deciso di sollecitare la polizia locale a indagare sul delitto e a consegnarle il colpevole.
Dando fondo ai risparmi, commissiona tre manifesti con tre messaggi precisi diretti a Bill Willoughby, sceriffo di Ebbing.
Affissi in bella mostra alle porte del paese, provocheranno reazioni disparate e disperate, "riaprendo" il caso e rivelando il meglio e il peggio della comunità.



OGGETTI. Cinghiale inoffensivo