martedì 31 agosto 2021

SALUTE. Il rovescio delle medaglie

 

FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 20/08/21.
Articolo: "Il rovescio delle medaglie" di CURZIO MALTESE.

Momenti di gloria per i nostri atleti nella felice spedizione a Tokyo.
L'abbraccio di Mattarella per i 10 ori, i 10 argenti e i 20 bronzi: le 40 medaglie più ricche della storia. Abbiamo ancora  negli occhi i 100 metri di Marcell Jacobs, i 4 per 100 di Lorenzo Patta, Fausto Desalu, Filippo Tortu e ancora Jacobs. Il salto in alto di Gianmario Tamberi, Caterina Banti e Ruggero Tita per la vela, Vito Dell'Aquila per il taekwondo, Luigi Busà nel karate, Valentina Rodini e Federica Cesarini per il canottaggio, le marce di Antonella Palmisano e Massimo Stano, il ciclismo su pista di Simone Consonni, Filippo Ganna, Francesco Lamon e Jonathan Milan. E poi tutti gli argenti e i bronzi. Mettiamoci anche gli Europei di calcio: un'estate incredibile per il Paese. Tifare e gioire per una volta tutti insieme senza differenze politiche e razziali.
Sappiamo bene che dietro a queste vittorie gloriose si nascondono anni di sacrifici in completa e ignorata solitudine. Le ore passate in palestra, le migliaia di chilometri sulle biciclette, nelle piscine, le ripetizioni infinite di esercizi sui tappetini, senza nessuno che ti guarda, a parte l'allenatore. E solo una piccolissima parte di atleti vedrà il mondo che applaude.
L'emozione di un successo è tanto più forte quanto più pesante è stato lo sforzo per arrivarci. E gli sguardi di questi ragazzi non hanno bisogno di commenti.
Esiste un esercito di persone che si sveglia la mattina per fare sport, per molte ragioni diverse. Per divertirsi, per dimagrire, per stare in compagnia o all'aria aperta, per liberare endorfine e serotonina, per allontanare la vecchiaia. O perché si è subito un incidente o una malattia.
La riabilitazione è una battaglia durissima che si affronta per mesi o per anni, altre volte per la vita e spesso senza nemmeno una garanzia che alla fine le cose andranno bene. Ne ho conosciuti tanti. Un'Italia eroica che fatica nel silenzio. Bambini, adulti, anziani che sgobbano come muli nelle palestre, negli studi dei logopedisti e, proprio come gli atleti, anche dagli psicologi, con la speranza di migliorare ogni giorno un poco.
In questa lunga battaglia spesso la depressione fa da padrona perché ci vuole tanto tempo, molto di più  di quanto  te ne eri immaginato, e infinita pazienza  e a volte la cima della montagna sembra così lontana da far rinunciare all'impresa.
Le 40 medaglie italiane delle Olimpiadi di Tokyo ci hanno regalato una carica potente per sconfiggere i demoni della tristezza e ci hanno fatto sentire tutti un po' campioni. Grazie, ragazzi.

mercoledì 25 agosto 2021

VIVERE INSIEME. Normalità o desiderio di novità?

 

FONTE:  "MISSIONARI SAVERIANI" giugno-luglio/2021.
Articolo: "Normalità o desiderio di novità?" di p. GIANNI BRENTEGANI, sx.

L'irruzione del virus nella nostra vita ci ha destabilizzato e ha messo in crisi le nostre sicurezze personali. Ora, un po' alla volta ne stiamo uscendo. La vita riprende. Certo, bisogna tener conto  delle ripercussioni psicologiche, delle incognite, delle conseguenze economiche e sociali, dell'aumento della stanchezza fisica e mentale, delle depressioni, delle violenze...

Ma cosa desideriamo? Tornare alla  normalità del pre-pandemia oppure, in questo periodo sofferto, abbiamo sentito anche il desiderio di novità, di andare oltre? Ritornare alla normalità di prima significa non aver imparato la lezione che la storia ci ha impartito. Come ha detto Papa Francesco il 27 marzo 2020, non era possibile pensare di restare sani in un mondo malato. La pandemia ha messo a nudo tutte le lacune della nostra società e la saggezza vorrebbe che queste fossero riparate, affrontate, gestite, curate. Se poi allarghiamo il nostro sguardo sul mondo, ci rendiamo conto di situazioni ancora più tragiche dove, anche prima della pandemia, non c'è nessuna sicurezza, nemmeno quella  di ... arrivare a sera.

Sarà che nella società in cui  viviamo ci siamo sentiti troppo garantiti, al punto di prevedere tutto o quasi, mentre altrove, sotto altri cieli, c'è più allenamento alle mancanze , alle privazioni, alle incognite. Ma, soprattutto, c'è più allenamento alla reazione. Infatti, è  quotidianamente che si cerca di reagire per far vincere la vita e sconfiggere la morte sotto le sue varie forme. L'incertezza  dell'esistenza ha sviluppato di più  la creatività nello sbrogliarsi, nel darsi da fare.
Papa Francesco ce lo ricorda nella sua enciclica Fratelli tutti: "Il dolore,  l'incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l'appello  a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l'organizzazione della nostra società e soprattutto il senso della nostra esistenza" (33).

Il Papa richiama uno dei suoi principi enunciati nell'enciclica precedente, la Laudato si: "Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porsi rispetto  alla realtà" (34) per cui si impone "un salto verso un nuovo modo di vivere" (35). Ecco, allora, che il sospirato ritorno alla normalità non dovrebbe coincidere con il modo di vivere che avevamo prima del Covid-19. Sarebbe più utile cambiare abitudini, incamminarci verso uno stile di vita più sostenibile, interessarci delle situazioni altrui, porre più attenzione al grido dei poveri. Sono coloro che portano il peso maggiore dei cambiamenti in corso.

Ma le ineguaglianze  non sono tutte qui. Anche all'interno della nostra società stanno emergendo profonde differenze fra chi ha un reddito e un posto di lavoro garantito e chi è stato molto più colpito perché aveva un lavoro precario o è impegnato nei settori più colpiti dal lockdown.
Essere missionari, oggi, nel nostro mondo, dovrebbe motivarci nell'allenamento a gestire ciò che è sconosciuto, imprevisto, improvviso e a farlo insieme agli altri, per essere più forti, resistenti e solidali con tutti. Per chi poi ha il dono della fede, questo potrebbe diventare un compito  per aiutare altri ad entrare in questa visione delle cose.

Possiamo testimoniare la nostra fede imparando a gestire l'ansietà, il timore, la paura, gli imprevisti, gli inconvenienti, condividendo di più con chi ha bisogno e grida aiuto. Avere anche questa capacità di "reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale (FT6), far crescere "una sincera e cordiale apertura universale (...) lasciandoci arricchire dagli altri (...)  solidarizzando con i drammi degli altri popoli" (FT 146). Questa reazione oggi prende il nome di resilienza!






FAMIGLIA. La casa sull'albero

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" luglio-agosto/2021.
Articolo: "La casa sull'albero" di DANIELE NOVARA.

I bambini conservano tendenze innate che richiamano il lato selvaggio dell'essere umano. Tra queste, una delle più ignorate è quella del salire. I bambini hanno una propensione naturale a farlo. A volte sfruttano ciò che hanno a disposizione e il genitore esterefatto li trova nei posti più impensabili della casa: dai divani ai mobili, dai tavoli alle sedie, più o meno ovunque insomma. Nulla è inespugnabile. Non è scientificamente chiara l'origine di questa attitudine. Di certo, hanno più libertà nel fare come i nostri compagni animali senza le tante remore della civiltà.
Negli ultimi anni questo tipo di attività è stata quasi  completamente proibita in nome della sicurezza. Per contro, fino agli anni Sessanta-Settanta, tutti i bambini passavano del tempo ad arrampicarsi sugli alberi. Ricordo le scorpacciate di ciliegie, amarene e more di gelso che aprivano l'estate. Con i compagni di scorribande si prendeva la bici, si andava fuori porta e ci si buttava sulle piante per raccoglierne i frutti. Spesso si rischiava anche di incappare nell'arrivo del proprietario, non sempre simpatizzante della causa infantile.
Intorno agli anni Settanta-Ottanta, quando ci si accorse che salire sugli alberi "in libertà" stava diventando un problema, in tutta Europa vennero realizzati i "parchi natura", conosciuti come Parchi Robinson, strutture ludiche che hanno lo scopo di sviluppare nei bambini queste competenze tradizionali, tra cui quella dell'arrampicata.
Ricordo, in particolar modo, una visita ai parchi gioco della  città di Zurigo. Nel 1998 erano già 500 e, tra questi, ve ne era uno molto bello fatto di liane, corde e scale che permettevano ai bambini di passare da un albero all'altro, di salire e discendere. Una vera goduria senza dover finire  a Gardaland o a Disneyland.
I bambini potranno tornare a vivere in totale naturalezza questa importante dimensione della loro infanzia? Dire di sì e oserei addirittura dire "a km 0". Se la casa ha un giardino, i genitori possono costruire con i figli una casa sull'albero: una struttura assolutamente sicura, raggiungibile tramite una scala che permette al bambino di inerpicarsi e vivere questo spazio come uno scoiattolo o un ghiro, sentendosi in una tana. E' bellissimo da realizzare insieme ed è anche un'attività di bricolage molto simpatica. Gli alberi più predisposti sono il fico e pochi altri come aceri e faggi, alberi che abbiano tronchi forti e robusti, rami pesanti e radici saldamente ancorate a terra.
Torniamo, quindi, a restituire la salita sugli alberi all'infanzia anche come momento psico-motorio e di sviluppo delle loro enormi capacità motorie.
 

mercoledì 18 agosto 2021

LIBRI. Fedor Dostoevskij


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" luglio-agosto 2021.
Articolo: "Il cantore della fragilità" di ALICE FARINA.

Fëdor Dostoevskij, di cui ricorrono quest'anno i due secoli dalla nascita, è uno degli autori più letti al mondo e di cui ciclicamente si indagano le ragioni del successo. Che probabilmente sta in quel suo dare voce all'umano nella sua totalità, dal sottosuolo dell'animo ai picchi dell'assoluto.

Lo scrittore e regista austriaco Peter Handke, sostiene che "una narrazione che non passa attraverso l'io dell'autore non è letteratura ma solo un semplice prodotto". Un'affermazione che non potrebbe essere più vera nel caso di Fëdor Dostoevskij, uno degli autori  più letti al mondo (se lo sapesse, dopo anni di stenti e di debiti...) - e del quale ricorrono quest'anno i due secoli dalla nascita -, che fin dalla più giovane età fu ossessionato dall'osservazione e comprensione dell'umano.
Potenti  risuonano le sue parole in una lettera del 1849 al fratello Michail, una volta scoperto, a un passo dalla pena di morte, che il suo castigo è stato tramutato in quattro anni di lavori forzati: "La vita è vita ovunque, la vita è dentro di noi, non al di fuori. Intorno a me ci saranno altri uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, qualunque disgrazia capiti, senza lamentarsi, non perdersi d'animo: ecco in che cosa consiste la vita, qual è il suo scopo. Me ne sono reso conto. Quest'idea si è fatta di carne e sangue. E' la verità!"
Carne e sangue: l'umano. Una vera ossessione per Dostoevskij, se è vero che le sue opere si pongono nient'altro che questo obiettivo audace, che fu anche di certa letteratura antica: l'indagine dell'essere umano.
Laddove la narrativa del tempo si immergeva nella descrizione del mondo circostante, della borghesia, della guerra, della storia, in Dostoevskij le parole narrano il profondo dell'animo umano, indipendentemente dalla narrazione di una trama, spesso solo superficialmente legata al nucleo reale del romanzo. E così, magicamente e senza che ce ne accorgiamo, diventiamo tutti Raskol'nikov di Delitto e castigo: non abbiamo mai ucciso per soldi ma condividiamo i suoi pensieri e la sua pena. Oppure il principe Myškin dell'Idiota: siamo meno ingenui, ma comprendiamo nel profondo il suo dolore e contempliamo la sua saggezza. I personaggi di Dostoevskij sono tutti noi, siamo noi: ecco un frammento di umanità che non sapevamo di avere. Eccolo che esplode in noi.

Amore per l'umano
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Ma in questa costante esplorazione dell'animo umano dove si trova l'autore?
"Vi ho descritto tutto questo e vedo che della cosa principale, cioè della mia vita spirituale, del cuore, non ho detto nulla e non ve ne ho nemmeno dato un'idea. Sarà così  sempre, fino a che ci scriveremo. Non so scrivere le lettere e riguardo a me stesso non so scrivere con misura". 
Era il 1865 e Fëdor Dostoevskij scriveva queste parole. Ma com'è possibile che un uomo che ha dedicato la vita alla scrittura e che ha prodotto in vita centinaia e centinaia di lettere affermi di non saper scrivere?
Così come molti altri autori, Fëdor Dostoevskij non si trova a suo agio nello scrivere lettere. Per uno scrittore che fa dell'animo umano il centro della sua indagine non c'è altro modo di raccontare se non andando in profondità, scandagliando il mondo interiore con tutta la precisione di cui si è capaci; ma farlo con un personaggio che si ha nella mente e che quindi in qualche modo si ha in pugno è un'attività che l'autore compie con disinvoltura.
Ben diverso è farlo con se stessi, doversi aprire al prossimo, fotografare un frammento di sé, che per sua natura, molecola dopo molecola, ingiallirà presto, deperirà. 
Se ogni essere umano è in costante divenire, fotografare il proprio pensiero è, in qualche modo, per Dostoevskij, un atto innaturale. Solo l'Opera è eterna. Solo l'Opera è imperatura. E' con la sua opera che è possibile interrogarsi su tutto: sui misteri dell'universo, sulla fede. La scrittura per lui è un mezzo di costante ricerca di fede.
 
 


MISSIONI. La storia incredibile dell'albero mamma

 



FONTE: "MISSIONARI SAVERIANI" agosto/settembre 1021.
Articolo: "La storia incredibile dell'albero mamma" di p. ANGELO PANSA, sx.

Padre Angelo Pansa , ancora una volta, ci racconta un fatto straordinario accaduto in Brasile  a fine anni '80.


La prima volta che incontrai Mütinò mi sembrò strano che non ci fosse sua moglie. Mi disse che era deceduta nel dare la luce il terzo figlio e che era stata sepolta poco fuori dal villaggio. Il neonato che avrebbe dovuto essere sepolto con la madre secondo la Tradizione, fu preso in consegna dallo Sciamano e allevato dalla sua famiglia. Ma scopriamo come.

Quando una mamma muore di parto e il neonato sopravvive, La Tradizione voleva che il bimbo venisse sepolto con la mamma... Purtroppo, il neonato era considerato colpevole, ma non poteva essere ucciso e nessuna donna l'avrebbe allattato. Meglio ridarlo alla mamma e seppellirlo insieme a lei.
Lo Sciamano mi disse che, una volta, di fronte a un caso simile, prima di far seppellire vivo il neonato, uno Sciamano come lui chiese di aspettare perché voleva chiedere allo Spirito (Grande Respiro) come salvare il neonato. Presi gli strumenti per i suoi riti, si recò in foresta, dove individuò un grande albero che non aveva mai visto prima.

Tronco ben fatto, scorza grossa, alto, con fogliame denso ma senza frutti. Si domandò come mai fosse vivo dato che non aveva frutti e non poteva perpetuarsi. Osservò  tutto attorno e vide piccole pianticelle della stessa specie, alcune vive, altre morte. Significava che, in determinati momenti, l'albero avrebbe prodotto frutti con la semente. Allora si avvicinò e, battendo con il suo bastone sul tronco, rivolse la domanda: "Perché sei vivo? Come fai?". Percosse nuovamente l'albero la cui scorza era grossa e, dal punto battuto, uscì un rivolo di linfa biancastra e densa, simile a quella dell'albero della gomma. Incuriosito, lo Sciamano volle provare se avesse odore e sapore. L'odore era quello dell'albero, il sapore quello del latte di castagno.

Con certezza, lo Sciamano capì che era la risposta dell'albero. Ritornò immediatamente al villaggio, chiamò la moglie, le consegnò il neonato e assieme andarono all'albero. La donna prese una foglia di "buriti", ne fece un tubicino, chiese al marito di fare un'incisione sulla scorza dell'albero in modo che il latte uscisse in abbondanza. Inserì il tubicino nella incisione e mise l'altra punta nella bocca del neonato. Meraviglia! Il bambino cominciò a succhiare e, dopo un po', si addormentò.
Tornati al villaggio, raccontarono ciò che era successo. Tutte le donne del villaggio raggiunsero l'albero e fecero una danza di ringraziamento. Promisero, nel caso di altri neonati condannati a morire, che li avrebbero mantenuti in vita utilizzando il dono dell'albero che chiamarono "Albero Mamma".
Da allora, tutti i villaggi cercarono nei dintorni un albero simile a quello.

Ho chiesto allo Sciamano: "Ti è mai capitato un fatto come quello che mi hai raccontato?". Mi rispose: "Hai conosciuto il figlio di Mütinò, Bep-Kôkre-Mti? E' lui che abbiamo aiutato a crescere, facendogli succhiare il latte del nostro Albero Mamma".









giovedì 12 agosto 2021

RES PUBLICA. Con quei due si può sperare

 

FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 06/08/21.
Articolo: "Con quei due si può sperare" di CURZIO MALTESE.

Una strana idea serpeggia nel panorama politico.
Già da anni assistiamo alla gara tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni a chi le spara più grosse sugli immigrati per alzare l'asticella dei sondaggi e strapparsi a vicenda più voti possibili.
Sembrano far roteare a oltranza  la sedia della scrivania per regolarla ogni volta un po' più in alto. Bisogna vedere se poi non si cade di sotto.
Le loro idee contro i derelitti africani che scappano da situazioni devastanti sono pensieri aberranti dal punto di vista umanitario, oltretutto inutili, visto che è impossibile frenare l'orda di disperati che tentano di entrare nel vecchio continente a scapito delle loro vite.
Sappiamo bene che non sarà mai possibile fermarli e l'unica soluzione è coordinarsi con l'Europa. Purtroppo Salvini e Meloni sono anche contro l'Unione.
Queste battaglie a suon di elettori (teorici) dureranno per altri due anni, ce ne dovremo fare una ragione, visto che i due leader sono in perenne campagna. 
Ora è stata lanciata sul mercato politico la moda di esaltare i No vax, idea quantomeno stralunata, come a dire che la scienza non serve, tanto vale far circolare di nuovo tubercolosi, difteriti, tetano e poliomielite. Un po' come cantava Lucio Battisti grazie all'ispirato paroliere Mogol: "Guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire".
Abbiamo capito che in effetti ti schianti, come ha spiegato con grande chiarezza il premier Mario Draghi. "Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure non ti vaccini, contagi, lui o lei muore".
A questo punto non ci rimane che tentare una toto-scommessa su cosa si inventeranno i due leader di destra per raccimolare nuovi consensi.
Un decreto per aprirsi una piscina sul pavimento del salotto? O portarsi al ristorante un coccodrillo? Tutto naturalmente all'insegna della libertà e chi se ne importa se il coccodrillo si mangia i vicini di tavolo. Di qualcosa si deve pur morire.
Abbiamo già visto all'opera per un paio di decenni Silvio Berlusconi e si sperava di essersi liberati dal becero populismo e invece pare non ci sarà mai fine. Il Cavaliere poi aveva un suo tornaconto personale, orrendo, ma preciso. Usava le promesse lunari sparate ai quattro venti per manovrare nel silenzio sulle varie riforme della giustizia.
E' un Paese puerile il nostro, però alla fine capisce. Vedere Salvini e Meloni in queste settimane, ha per la prima volta aperto un varco alla speranza che la sinistra possa pure farcela. Chissà, con l'aiuto della destra, Pd, M5S e i sette nanetti della sinistra potrebbero perfino stupirci.

mercoledì 11 agosto 2021

RES PUBLICA. Diritto di cittadinanza

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" maggio 2021.
Articolo: "Diritto di cittadinanza" di ANTONELLA DURSI.

DEFINIZIONE
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Ius soli, il "diritto del suolo" è un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della cittadinanza  di un dato Paese come conseguenza del fatto di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Lo ius soli si contrappone allo ius sanguinis , per il quale il diritto di cittadinanza è conseguente all'essere nato da genitori cittadini di quello Stato, eccenzion fatta per chi nasce sul territorio italiano da genitori apolidi (senza patria) o da genitori ignoti, oppure da genitori che non possono trasmettere, ex legge dello Stato di provenienza, la propria cittadinanza.

CHE COSA IMPLICA AVERE LA CITTADINANZA?

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Implica il riconoscimento di tutti i diritti e i doveri previsti, quindi i diritti civili, che attengono alla personalità dell'individuo, quali la libertà personale, di riunione, di religione e ancora la libertà economica; i diritti politici, che attengono alla formazione dello Stato democratico e comportano una partecipazione dei cittadini nel determinare l'indirizzo politico dello Stato, i diritti sociali, quali il diritto al lavoro, allo studio, alla tutela della salute.

IN ITALIA COME SI ACQUISISCE LA CITTADINANZA?
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A oggi, per diventare cittadini si fa riferimento alla Legge 91 del 1992, che disciplina tanto i modi di acquisto (in capo agli individui) che di richiesta (da parte degli stranieri) della cittadinanza. L'acquisizione si basa principalmente sullo ius sanguinis: un bambino è italiano se  almeno uno dei genitori è italiano, mentre un bambino nato da genitori stranieri diventa italiano al compimento dei 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente, a seguito di sua richiesta.

PERCHE' VIENE PROPOSTO DI RICONOSCERE LO "IUS SOLI"?
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La questione riguarda i figli degli immigrati presenti nel nostro territorio, i quali, anche se nati e cresciuti in Italia, sono legati alla cittadinanza dei genitori, pertanto non possono godere di una serie di "trattamenti" che stridono con il concetto espresso nella nostra Costituzione di offrire attività essenziali per un corretto sviluppo dell'individuo e della sua personalità. 
Qualche esempio: essendo legati al permesso di soggiorno dei genitori, se il permesso scade o i genitori perdono il lavoro, i figli diventano irregolari. Nello sport i ragazzi che non hanno la cittadinanza non possono essere inseriti nelle selezioni nazionali. I viaggi all'estero, anche quelli culturali, devono essere preceduti dalla verifica della necessità di avere o meno il passaporto italiano o un visto. Se volessero andare all'estero con una borsa di studio per un'esperienza formativa più lunga di dodici mesi, perderebbero automaticamente la carta di soggiorno e dovrebbero intraprendere una lunga e complessa trafila per richiederla.

QUALCOSA STA CAMBIANDO?
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In commissione parlamentare sono state  presentate tre proposte, che vanno dal riconoscimento dello ius solial più "moderato" diritto allo ius culturae per i bimbi stranieri che abbiano concluso un ciclo di scuole primarie. Così il testo: "Lo straniero, nato in Italia e che abbia completato il corso di istruzione primaria secondo la disciplina vigente risiedendovi legalmente fino a tale data, diviene cittadino mediante dichiarazione resa in qualunque momento a uno ius soli "temperato", ovvero l'estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza per nascita per i bimbi nati nel nostro Paese da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda legalmente senza interruzioni da non meno di cinque anni o sia in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo".

E NEL MONDO?
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Stati Uniti, Canada e quasi tutta l'America applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizioni.
Alcuni Paesi europei (Francia, Germania, Irlanda e Regno Unito) concedono la cittadinanza ius soli, sebbene con alcune condizioni. 
Se da un lato dare a chiunque arrivi in Italia e lo chieda la cittadinanza è perlomeno fantasioso, è pur vero che, per sanare alcune situazioni discriminatorie nei confronti di ragazzi stranieri che vivono da anni e studiano nella nostra scuola, qualche nuova previsione normativa sarà improcrastinabile.

SPORT. La Nazionale globalizzata

 

FONTE: "La Gazzetta Sportiva" del 08/08/21.
Articolo: "E' una Nazionale globalizzata: 46 nati all'estero" di VALERIO PICCIONI".

L'Italia di Tokyo supera la prova. E l'Italia "mappamondo" lo fa con lei.
Ma non è una questione soltanto di risultati e di prestazioni, c'è qualcosa, c'è molto di più.
C'è che in realtà non esistono due Italie alle Olimpiadi, ne esiste solo una. L'Italia è l'Italia "mappamondo", nel senso che i 46 azzurri (su 384 della spedizione: il 12%) che sono nati all'estero non sono una squadra nella squadra, sono la squadra.
E fa pure un po' ridere stare a osservare che sul podio del New National Stadium, Marcell Jacobs e Faustino Desalu, che peraltro è pure nato in Italia, a Casalmaggiore (provincia di Cremona), cantano l'inno di Mameli che a momenti spaccano la mascherina.
La verità è che ci si fa sempre meno caso, l'Italia multietnica è un'identità ormai del tutto naturale.

Naturale  E' naturale che sia Paola Egonu, con i suoi genitori nigeriani, a portare la bandiera a cinque cerchi del Cio e a rappresentare in quel momento non soltanto l'Italia ma anche l'Europa.
E' naturale soffrire con la delusione di Frank Chamizo. E' naturale far festa con Abraham Conyedo, l'altro lottatore venuto da Cuba che è diventato italiano per "meriti speciali" con un provvedimento del ministero dell'Interno.
E poi che dire di Santo Condorelli e del suo argento nella 4 x 100 stile libero, lui più mappamondo di tutti: nato a Hiroshima, cresciuto negli Stati Uniti, la precente Olimpiade disputata con i colori del Canada.
Ed è stato molto bello trovarsi di fronte ai due record di Daisy Osakue, quello italiano del disco e quello della felicità che scatena.

Invidia Usa L'Italia multietnica di Tokyo non è una novità, la viviamo nel mondo dello sport ormai da parecchi anni, ma qui, forse la prima volta, si è provata una sensazione nuova: come se l'argomento avesse smesso di fare notizia. Salvo quando qualcuno non ce lo ricorda.
Per esempio, gli americani, che quella sera dei 100 metri proprio non riuscivano a capire perché con un padre a Dallas, Marcell Jacobs si ritenga a tutti gli effetti italianissimo. In realtà, quei 46 sono molto di più perché questa nuova Italia molto spesso è pure nata nel nostro Paese.
E allora tutte queste differenze, queste acrobazie per "classificare" le differenti origini della squadra, questo misurare le percentuali di "italianità" hanno ancora un senso nel 2021? La risposta è fin troppo facile: no. Tokyo, lo spirito di Tokyo, ce lo ha insegnato giorno per giorno a tutti noi.

Ius Soli Naturalmente, una squadra olimpica rappresenta un Paese ma non lo è fino in fondo. Anzi, c'è una contraddizione fra quest'Italia "mappamondo" e certe forme di chiusura e di discriminazione, certe barriere culturali che si difendono anche a colpi di burocrazia. E qui, la domanda è: ma quest'Italia di Tokyo, talmente multietnica da non fare più notizia, può indicare una strada?
La domanda questa volta non ha una risposta scontata. E' la famosa storia dello ius soli "sportivo" che il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha rilanciato in questi giorni e che probabilmente tratterà anche nei suoi bilanci olimpici.
In Italia esiste una legge che si è fermata a metà. Ha concesso - concesso, ma non è un diritto? - alle ragazze e ai ragazzi che sono in Italia almeno dal decimo anno di età la possibilità di affiliarsi alle società sportive e quindi di prendere parte ai campionati nazionali.

Nodi irrisolti Non ha però risolto il tema della convocazione per le squadre nazionali che invece segue percorsi spesso individuali, pieni di rinvii, sofferenza e carte bollate. E' il caso di riproporre il problema anche se, lo si è visto proprio nel dibattito di questi giorni, ci si chiede pure se sia giusto dare agli sportivi ciò che invece non vale per gli altri.
Ecco che allora da Tokyo a Roma, lo scenario cambia. Perché l'Italia "mappamondo" qui non ha fatto più notizia, ma inevitabilmente suscita riflessioni, provoca domande, ci impegna a trovare delle risposte. In fondo, lo sport e le Olimpiadi servono anche a questo. 



mercoledì 4 agosto 2021

DON CAMILLO. Vita da giocattolo

 



FONTE: avvisi settimanali parrocchia di Albegno.

VITA DA GIOCATTOLO

Quanti capricci fanno i bambini.
Loro non hanno il senso del limite. Per loro tutto è dovuto; vogliono tutto.
Spetta ai genitori insegnare che ci sono dei confini da rispettare; e lo possono fare solo con la saggezza e il coraggio dei NO, accettando che continuino a piangere; che arrivino anche a manifestazioni di isterismo, anche a costo di fare una brutta figura con i vicini o con gli estranei...... Se si cede all'inizio su questo punto, può succedere tutta una reazione a catena con una progressiva accelerazione della negatività e della gravità delle pretese.
L'istituto primordiale è quello di ricevere soddisfazione in tutto e subito. Il compito educativo è quello di insegnare che ci sono cose che si ha il diritto di avere; ce ne sono altre da conquistare, e altre ancora da escludere dalla propria vita.
I no dei genitori devono essere decisi, coerenti, concordi e motivati. I bambini più piccoli non sono in grado di capire le motivazioni, ma queste devono comunque esserci, e diventano sempre più necessarie a mano a mano che i bambini crescono. Potrà succedere che non  le accettino e le contestino, ma, se sono motivazioni logiche, rimangono nel loro bagaglio interiore e finiscono per incidere nella loro formazione. Diversamente c'è il forte rischio che tutto venga considerato un giocattolo che si vuole avere a tutti i costi per usarlo, fino a quando si esaurisce l'interesse nei suoi confronti o si rompe. E allora lo si abbandona per inseguire un altro interesse.
Può succedere nel rapporto con le cose, ma può succedere anche nel rapporto con le persone, cosa molto più grave.

Vita da giocattolo

Mi impressionano gli strilli di una bambino
che vuole quella cosa a tutti i costi.
Il papà se lo culla un pochino
ma poi cede a quei comandi così imposti.

Fa la spola il ragazzino con lo sguardo
tra la mamma e il papà indaffarati;
vuol raggiungere, ostinato, il suo traguardo
addolcendoli a turno, separati.

Interessa al quindicenne divertirsi:
vuole sempre il diversivo più aggiornato;
non ci tiene a ragionare e a convertirsi;
è un perenne insoddisfatto e arrabbiato.

Nel rapporto della coppia, prepotente,
chiede tutto e pretende sia subito;
dell'Amore non sa nulla, è incompetente,
segue solo quell'istinto in lui recondito.

E' un percorso che inizia da lontano
e si aggrava coi passaggi della vita.
Se si inceppa dell'istinto il volano,
ogni forma d'amicizia è impedita.

Tutto dura solo il tempo di uno sfogo
per lasciare, poi, il posto all'amarezza.
Il rapporto resta un finto e freddo logo
fino a quando il giocattolo si spezza.

                                        don Camillo





martedì 3 agosto 2021

COLLETTIVO CONFUSIONE. 24 ore di calcio a 5 AGGIORNAMENTO

 


Nonostante non siamo ancora usciti dalla pandemia, si è potuto svolgere la 24 ore di calcio a 5 .
Dopo parecchi mesi si è così potuto ancora vedere l'oratorio frequentato da tante persone.
Ha vinto la gara la squadra KDE di Entratico.

Ecco i risultati delle due finali:

1° posto     KDE - PIZZA LAB   7 - 0
3° posto     VITS IMPIANTI - C'est la vie 5 - 4 dcr

Ecco le foto che ho scattato: