FONTE: "La Gazzetta Sportiva" del 08/08/21.
Articolo: "E' una Nazionale globalizzata: 46 nati all'estero" di VALERIO PICCIONI".
L'Italia di Tokyo supera la prova. E l'Italia "mappamondo" lo fa con lei.
Ma non è una questione soltanto di risultati e di prestazioni, c'è qualcosa, c'è molto di più.
C'è che in realtà non esistono due Italie alle Olimpiadi, ne esiste solo una. L'Italia è l'Italia "mappamondo", nel senso che i 46 azzurri (su 384 della spedizione: il 12%) che sono nati all'estero non sono una squadra nella squadra, sono la squadra.
E fa pure un po' ridere stare a osservare che sul podio del New National Stadium, Marcell Jacobs e Faustino Desalu, che peraltro è pure nato in Italia, a Casalmaggiore (provincia di Cremona), cantano l'inno di Mameli che a momenti spaccano la mascherina.
La verità è che ci si fa sempre meno caso, l'Italia multietnica è un'identità ormai del tutto naturale.
Naturale E' naturale che sia Paola Egonu, con i suoi genitori nigeriani, a portare la bandiera a cinque cerchi del Cio e a rappresentare in quel momento non soltanto l'Italia ma anche l'Europa.
E' naturale soffrire con la delusione di Frank Chamizo. E' naturale far festa con Abraham Conyedo, l'altro lottatore venuto da Cuba che è diventato italiano per "meriti speciali" con un provvedimento del ministero dell'Interno.
E poi che dire di Santo Condorelli e del suo argento nella 4 x 100 stile libero, lui più mappamondo di tutti: nato a Hiroshima, cresciuto negli Stati Uniti, la precente Olimpiade disputata con i colori del Canada.
Ed è stato molto bello trovarsi di fronte ai due record di Daisy Osakue, quello italiano del disco e quello della felicità che scatena.
Invidia Usa L'Italia multietnica di Tokyo non è una novità, la viviamo nel mondo dello sport ormai da parecchi anni, ma qui, forse la prima volta, si è provata una sensazione nuova: come se l'argomento avesse smesso di fare notizia. Salvo quando qualcuno non ce lo ricorda.
Per esempio, gli americani, che quella sera dei 100 metri proprio non riuscivano a capire perché con un padre a Dallas, Marcell Jacobs si ritenga a tutti gli effetti italianissimo. In realtà, quei 46 sono molto di più perché questa nuova Italia molto spesso è pure nata nel nostro Paese.
E allora tutte queste differenze, queste acrobazie per "classificare" le differenti origini della squadra, questo misurare le percentuali di "italianità" hanno ancora un senso nel 2021? La risposta è fin troppo facile: no. Tokyo, lo spirito di Tokyo, ce lo ha insegnato giorno per giorno a tutti noi.
Ius Soli Naturalmente, una squadra olimpica rappresenta un Paese ma non lo è fino in fondo. Anzi, c'è una contraddizione fra quest'Italia "mappamondo" e certe forme di chiusura e di discriminazione, certe barriere culturali che si difendono anche a colpi di burocrazia. E qui, la domanda è: ma quest'Italia di Tokyo, talmente multietnica da non fare più notizia, può indicare una strada?
La domanda questa volta non ha una risposta scontata. E' la famosa storia dello ius soli "sportivo" che il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha rilanciato in questi giorni e che probabilmente tratterà anche nei suoi bilanci olimpici.
In Italia esiste una legge che si è fermata a metà. Ha concesso - concesso, ma non è un diritto? - alle ragazze e ai ragazzi che sono in Italia almeno dal decimo anno di età la possibilità di affiliarsi alle società sportive e quindi di prendere parte ai campionati nazionali.
Nodi irrisolti Non ha però risolto il tema della convocazione per le squadre nazionali che invece segue percorsi spesso individuali, pieni di rinvii, sofferenza e carte bollate. E' il caso di riproporre il problema anche se, lo si è visto proprio nel dibattito di questi giorni, ci si chiede pure se sia giusto dare agli sportivi ciò che invece non vale per gli altri.
Ecco che allora da Tokyo a Roma, lo scenario cambia. Perché l'Italia "mappamondo" qui non ha fatto più notizia, ma inevitabilmente suscita riflessioni, provoca domande, ci impegna a trovare delle risposte. In fondo, lo sport e le Olimpiadi servono anche a questo.
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