FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" luglio-agosto 2021.
Articolo: "Il cantore della fragilità" di ALICE FARINA.
Fëdor Dostoevskij, di cui ricorrono quest'anno i due secoli dalla nascita, è uno degli autori più letti al mondo e di cui ciclicamente si indagano le ragioni del successo. Che probabilmente sta in quel suo dare voce all'umano nella sua totalità, dal sottosuolo dell'animo ai picchi dell'assoluto.
Lo scrittore e regista austriaco Peter Handke, sostiene che "una narrazione che non passa attraverso l'io dell'autore non è letteratura ma solo un semplice prodotto". Un'affermazione che non potrebbe essere più vera nel caso di Fëdor Dostoevskij, uno degli autori più letti al mondo (se lo sapesse, dopo anni di stenti e di debiti...) - e del quale ricorrono quest'anno i due secoli dalla nascita -, che fin dalla più giovane età fu ossessionato dall'osservazione e comprensione dell'umano.
Potenti risuonano le sue parole in una lettera del 1849 al fratello Michail, una volta scoperto, a un passo dalla pena di morte, che il suo castigo è stato tramutato in quattro anni di lavori forzati: "La vita è vita ovunque, la vita è dentro di noi, non al di fuori. Intorno a me ci saranno altri uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, qualunque disgrazia capiti, senza lamentarsi, non perdersi d'animo: ecco in che cosa consiste la vita, qual è il suo scopo. Me ne sono reso conto. Quest'idea si è fatta di carne e sangue. E' la verità!"
Carne e sangue: l'umano. Una vera ossessione per Dostoevskij, se è vero che le sue opere si pongono nient'altro che questo obiettivo audace, che fu anche di certa letteratura antica: l'indagine dell'essere umano.
Laddove la narrativa del tempo si immergeva nella descrizione del mondo circostante, della borghesia, della guerra, della storia, in Dostoevskij le parole narrano il profondo dell'animo umano, indipendentemente dalla narrazione di una trama, spesso solo superficialmente legata al nucleo reale del romanzo. E così, magicamente e senza che ce ne accorgiamo, diventiamo tutti Raskol'nikov di Delitto e castigo: non abbiamo mai ucciso per soldi ma condividiamo i suoi pensieri e la sua pena. Oppure il principe Myškin dell'Idiota: siamo meno ingenui, ma comprendiamo nel profondo il suo dolore e contempliamo la sua saggezza. I personaggi di Dostoevskij sono tutti noi, siamo noi: ecco un frammento di umanità che non sapevamo di avere. Eccolo che esplode in noi.
Amore per l'umano
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Ma in questa costante esplorazione dell'animo umano dove si trova l'autore?
"Vi ho descritto tutto questo e vedo che della cosa principale, cioè della mia vita spirituale, del cuore, non ho detto nulla e non ve ne ho nemmeno dato un'idea. Sarà così sempre, fino a che ci scriveremo. Non so scrivere le lettere e riguardo a me stesso non so scrivere con misura".
Era il 1865 e Fëdor Dostoevskij scriveva queste parole. Ma com'è possibile che un uomo che ha dedicato la vita alla scrittura e che ha prodotto in vita centinaia e centinaia di lettere affermi di non saper scrivere?
Così come molti altri autori, Fëdor Dostoevskij non si trova a suo agio nello scrivere lettere. Per uno scrittore che fa dell'animo umano il centro della sua indagine non c'è altro modo di raccontare se non andando in profondità, scandagliando il mondo interiore con tutta la precisione di cui si è capaci; ma farlo con un personaggio che si ha nella mente e che quindi in qualche modo si ha in pugno è un'attività che l'autore compie con disinvoltura.
Ben diverso è farlo con se stessi, doversi aprire al prossimo, fotografare un frammento di sé, che per sua natura, molecola dopo molecola, ingiallirà presto, deperirà.
Se ogni essere umano è in costante divenire, fotografare il proprio pensiero è, in qualche modo, per Dostoevskij, un atto innaturale. Solo l'Opera è eterna. Solo l'Opera è imperatura. E' con la sua opera che è possibile interrogarsi su tutto: sui misteri dell'universo, sulla fede. La scrittura per lui è un mezzo di costante ricerca di fede.
mercoledì 18 agosto 2021
LIBRI. Fedor Dostoevskij
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