venerdì 29 settembre 2023

DON CAMILLO. Il piacere non è peccato

 



FONTE: Notiziario parrocchiale settimanale di Albegno e dintorni.

IL PIACERE NON E' PECCATO

In passato la morale cristiana ha insistito tanto sui peccati sessuali tanto da identificare la sessualità stessa come fonte di peccato e perciò come dimensione negativa della vita, da mortificare costantemente.
Seguendo questa logica, anche il corpo, identificato con la sessualità, era visto in modo negativo, come un nemico del cammino spirituale; una specie di zavorra che impediva l'esperienza ascetica.
Allo stesso modo i piaceri della tavola erano considerati come peccati di gola da contrastare in cambio di una tavola sobria.
Il cibo era considerato solo  come necessità di nutrirsi e l'esercizio della sessualità solo per la procreazione.
Il piacere del mangiare e della vita sessuale erano considerati una tentazione del diavolo da contrastare assolutamente.
Qualcosa di vero c'era in tutto questo, solo che veniva portato all'esasperazione, e soprattutto non teneva in considerazione il ministero di un Dio che, volendo entrare nella nostra Storia, ha assunto un corpo identico al nostro, capolavoro della sua Creazione che Egli stesso ha qualificato come "molto buono", più ancora di tutte le altre opere create.
Oggi la Chiesa ha riscoperto il valore della corporeità e di tutte quelle caratteristiche che fanno del corpo umano una componente  inscindibile dell'Uomo e della Donna fatti a immagine di Dio stesso.
Anche il piacere, lontano dall'essere peccato, fa parte di questa meraviglia che siamo noi.
Il Creatore lo ha ideato perché sia di stimolo e di aiuto a vivere con gioia quelle funzioni vitali come il mangiare, la comunicazione di vita e il procreare, che sono fondamentali per la natura umana.
Naturalmente il piacere va governato e orientato dalla coscienza.
Potremmo paragonarlo ad una Ferrari: nessuno oserebbe dire che è uno strumento di morte; riconosciamo tutti che è un capolavoro della meccanica; però chi la possiede deve saperla guidare con grande saggezza e prudenza perché, diversamente, può diventare veramente uno strumento di morte per sé e per gli altri.
Il Signore, insieme ai grandi Doni, ci offre anche le indicazioni necessarie di come gestirli e, conoscendo la nostra tendenza a trasgredire, ci offre anche l'opportunità di rifarci qualora veniamo sommersi dalla nostra incoscienza.
Lui è un po' come la fontana d'acqua fresca e pura che, nel momento dell'aridità e dell'arsura, è pronta a darci ristoro e a rilanciarci nella giusta direzione.

                               don Camillo







lunedì 25 settembre 2023

RIFLESSIONI. Le persone semplici

 



FONTE: Don Chino Pezzoli # Comunità Promozione Umana su Facebook.

Le persone semplici educano con i loro gesti: osservano l'albero che mette le gemme, un fiore con i suoi colori, uno spaccato di mare, una montagna immersa nella magia del silenzio. Sostano volentieri in luoghi dove empatia e cordialità affascinano e l'accoglienza premurosa attira.
Fanno ancora esistere qualcosa di bello e armonioso nella tastiera degli affetti familiari, amicali, sentimentali. Dispensano gesti in grado di restituirci il piacere, l'emozione, il batticuore e ci trasmettano una ventata d'amore.

giovedì 21 settembre 2023

STORIE DI VITA DI ZANDOBBIO. Masseroli Giovanni

 



FONTE: libro "Sul filo dei ricordi 2" ideato e stampato  dal GRUPPO PARROCCHIALE PER LA TERZA ETA' di Zandobbio.

IL   DISPERSO

Mi chiamo Irma Masseroli e sono nata a Trescore Balneario il 18 agosto 1930.
Racconto anche a nome delle sorelle e dei miei fratelli in ricordo dello zio Giovanni Masseroli, caporalmaggiore, disperso a Cercovo in Russia, con fatti che mi sono stati raccontati dalla mamma e dalla zia Armelina.
Egli è partito militare nel 1940 a vent'anni nel battaglione alpini. Dopo un anno è tornato a casa in licenza per due giorni: alla mamma sembrava di vedere il Signore.
Dopo qualche tempo scrisse una lettera nella quale diceva di trovarsi al fronte in mezzo agli attacchi del nemico. Scriveva  di essere stato protetto dal Signore, in quanto tutti i suoi amici li ha visti cadere uno ad uno al suo fianco.
Aggiungeva di aver sempre tenuto in mano la corona del rosario, che la mamma gli aveva dato e nell'altra il fucile mitragliatore.
Il suo capitano lo incitava a buttarsi a terra, ma lui continuava a compiere il suo dovere di soldato.
Proseguiva raccontando di essere stato decorato dal suo capitano al termine di un'azione particolarmente  pericolosa e ci ha inviato la fotografia.
Concludeva la lettera con l'affermazione che la guerra è brutta.
Dopo questa lettera non abbiamo più saputo nulla malgrado la nonna, la mamma e la zia Armelina siano andate persino a Roma al Ministero della Difesa, ma di Giovanni nessuna notizia.
A guerra finita, nel 1945, sono tornati a casa i più fortunati. Abbiamo chiesto al signor Ferdinando Acerbis, medaglia d'argento al valor militare, se avesse avuto notizie dello zio essendo anch'egli stato in Russia.
Ci rispose, con profondo dolore, di averlo visto, durante  la ritirata, accovacciato in terra, mezzo congelato nella tormenta di neve e vento e che gli aveva chiesto una sigaretta, ma neanche loro l'avevano, non hanno potuto fermarsi a soccorrerlo perché anche loro erano mezzo congelati e, se si fossero fermati, non sarebbero, probabilmente, più riusciti a ripartire. 
Concludeva il signor Acerbis: Noi almeno ci siamo salvati, lui penso... e non finì la frase.
Dopo questo racconto la mamma e la zia si sono rassegnate, anche se risulta ancora tra i dispersi.

                                            Irma Masseroli
                                                Classe 1930





Giovanni Masseroli, il quarto in ginocchio da destra, col suo plotone (1942)

mercoledì 20 settembre 2023

SERGIO E IL CALCIO. L'allenatore. Ricordi



Loris è ben accetto dai nuovi compagni, non perché è figlio dell'allenatore, ma per la sua naturale predisposizione a far gruppo.
Io lo tratto come un giocatore qualsiasi e, se necessario, lo richiamo. In partita poi  lo sostituisco  senza tanti ripensamenti, se non segue le mie direttive.
Alcune volte si lamenta con Rosaria: "Poiché sono il figlio dell'allenatore, mi sostituisce più frequentemente degli altri".
"Non vuole essere accusato di nepotismo" gli risponde.
L'ambiente calcistico di Trescore  è molto diverso da quello cenatese.
La società calcistica  è figlia  del complesso oratoriale e lo sport è considerato come una  importante componente educativa e ricreativa. Al parroco e al curato non interessa allenare dei futuri campioni, ma preme loro che i ragazzi frequentino l'oratorio.
Il campo di allenamento fa parte della struttura  dell'oratorio e i vecchi spogliatoi si riempiono tutti i giorni di giocatori, grandi e piccoli, che  si preparano per le partite di campionato.
Sul vetusto terreno di gioco, dove solo la gramigna resiste alle centinaia di scarpe bullonate, si disputano  anche le gare di campionato delle categorie pulcini, esordienti e veterani, squadre che non hanno bisogno di giocare sul perfetto Campo Comunale, le cui dimensioni sono maggiori.
Le sere in cui i ragazzi fanno la doccia tranquilli, mi siedo sui gradini fuori degli spogliatoi ed aspetto Loris. E i ricordi mi affollano la mente.
A quattordici anni ho disputato  il mio primo campionato ufficiale del CSI  proprio a Trescore, il cui unico campo di gioco era questo dell'oratorio.
Ero un giocatore di una squadra forte, guidata da un giovanotto di nome Emilio. Avevamo vinto il titolo provinciale, guadagnandoci il diritto di rappresentare Bergamo nelle finali regionali, che si erano svolte a Milano. Non avevamo avuto fortuna, eliminati dalla squadra di Cremona, ma il ricordo di quella partecipazione è indelebile.
Faceva parte della squadra Tiziano, roccioso mediano, che negli anni successivi entrò nel vivaio dell'Inter, facendo poi carriera tra i professionisti.
E come non ricordare il torneo estivo a 7 giocatori, che si svolgeva in quegli anni il pomeriggio della domenica con la partecipazione  di numerose squadre di tutti i paesi vicini?
Quasi sempre la finale si giocava tra le squadre di Zandobbio e di Trescore. L'attesa era enorme, data la forte rivalità tra le due tifoserie.
Io giocavo nello Zandobbio, il mio paese: ero il più giovane della squadra e giostravo da centravanti.
Ero molto veloce ed avevo un tiro di destro al fulmicotone. Ero anche "acrobatico" segnando gol di testa in tuffo e in rovesciate volanti. Ma avevo un "caratterino" che divideva la tifoseria: o mi si stimava incondizionatamente o mi si detestava, non essendoci mezze misure nei miei confronti. Ero un centravanti di sfondamento, come si diceva una volta. Ora qualche volta incontro al mercato di Trescore un signore che, sorridendo, mi dice sempre: "Ecco Finazzi, il centravanti di sfondamento".
Ho divagato un po', ma ritorniamo al torneo estivo.
Mi ricordo una finale, che è rimasta  nella memoria dei tifosi zandobbiesi.
Era il  tardo pomeriggio dell'ultima domenica di luglio. 
Il paese di Zandobbio si era quasi spopolato, essendo molti i tifosi zandobbiesi ai bordi del campo di gioco trescorese. Nei duemila spettatori l'attesa era palpitante ed entrambe le tifoserie erano sicure della vittoria dei propri beniamini.
In passato i zandobbiesi avevano subito dei torti arbitrali, ma questa volta non avrebbero sopportato altre ingiustizie.
Urla di incitamento accolsero le squadre sul terreno di gioco. I giocatori erano concentrati e sereni, gustando fino in fondo la loro popolarità.
Io ero pieno di adrenalina e pronto ad esplodere tiri potenti nella porta trescorese.  Il cielo era di un azzurro sfumato e la calura era mitigata dal venticello. Anche Eolo non aveva voluto mancare alla grande sfida. Il gioco fu molto intenso fin dall'inizio e i contrasti duri, al limite del regolamento.
Il primo tempo fu equilibrato e a me i difensori trescoresi misero la "museruola", anche con un paio di interventi scorretti che l'arbitro non fischiò, suscitando le ire tifosi zandobbiesi.
"Quel cane di un arbitro sta favorendo il Trescore" commentò un tifoso nell'intervallo.
"Come al solito" replicò un altro.
"Questa volta non la passerà liscia, se dovesse combinarne una grossa" intervenne Gigi, un giovane gigantesco, che non poteva soffrire le giacchette nere.
Iniziò il secondo tempo e il pathos era alle stelle. Le due tifoserie aspettavano il gol dei propri beniamini da un  momento all'altro.
Ancora una volta venni sgambettato dal mio diretto avversario e l'arbitro. non fischiando la punizione, suscitò ancora una volta le proteste di giocatori e tifosi zandobbiesi.
L'incontro era inchiodato sullo 0-0, quando a cinque minuti dalla fine, rubai la palla al mio controllore e mi involai velocissimo verso la porta avversaria. Appena entrato in area, venni sgambettato dal libero trescorese rovinando a terra. Questa volta il fischio dell'arbitro lacerò l'aria.
"E' rigore! E' rigore! " esultarono gli scatenati tifosi zandobbiesi.
Gevane, il mitico capitano, avanzò a passi misurati e sicuri verso l'area avversaria per prendere il pallone e posizionarlo sul dischetto del rigore.
L'impassibile arbitro gli indicò invece di mettere la  sfera fuori dell'area, a pochi centimetri dalla riga. Il capitano lo guardò incredulo.
"Il fallo è iniziato fuori dell'area" sentenziò la giacchetta nera.
"Lei ha bisogno di mettere gli occhiali" replicò l'inviperito Gevane.
"E lei se ne va dal campo, perché è espulso" concluse l'altro con risolutezza.
Apriti cielo! I tifosi zandobbiesi, che avevano ascoltato ai bordi del campo, si scatenarono e Gigi irruppe sul terreno di gioco, seguito da altri giovani. Si avvicinò minaccioso all'arbitro, lo prese per il collo con una mano, lo sollevò da terra e gli assestò due sonori ceffoni con l'altra. Poi, soddisfatto, mollò la presa, permettendo al terrorizzato uomo di fuggire negli spogliatoi, protetto nella fulminea ritirata dagli organizzatori del torneo.
Nel frattempo le due tifoserie avevano occupato il campo, accendendo  vivaci discussioni. Intervennero prontamente parroco e curato e i due riuscirono, seppure a fatica,  a placare gli animi.
Conclusione della vicenda: "Partita persa per la Zandobbiese" sentenziarono gli organizzatori.
Il ritorno a casa dei tifosi zandobbiesi fu pieno di rabbia e la frase che si sentiva con insistenza  era una sola: "Ci hanno fregato ancora una volta!"
"Andiamo a casa?" è la voce di Loris, apparso sulla porta con la borsa a tracolla, che mi riporta alla realtà.



 

 

martedì 19 settembre 2023

MOTO. Orrido della Val Taleggio

 

Questo giro l'ho fatto anche altre volte, ma in questa occasione mi sono fermato ad ammirare e a fotografare l' ORRIDO DELLA VAL TALEGGIO, chiamato anche ORRIDO DEI SERRATI  oppure ORRIDO DI SAN GIOVANNI BIANCO
E' una gola scavata dal torrente Enna, lunga circa 3 km ed ha inizio in frazione Roncaglia Entro (S. Giovanni Bianco) e termina  nella frazione Sottochiesa (Taleggio).
L'orrido è percorribile con l'auto, ma è particolarmente suggestivo se percorso a piedi nel tratto di strada dismessa, che si trova  a sinistra della galleria provenendo da S. Giovanni Bianco.

ZANDOBBIO-CURNO-VILLA D'ALME'-BREMBILLA-VAL BREMBILLA-SOTTOCHIESA-S.GIOVANNI BIANCO-S.PELLEGRINO-CURNO-ZANDOBBIO

KM  125

Ecco alcune foto che ho scattato:



























lunedì 18 settembre 2023

VIVERE INSIEME. Preghiera del sacerdote la domenica sera

Ho avuto dei dubbi in quale rubrica pubblicare questa preghiera.
Mi veniva spontaneo postarla sulla rubrica "PREGHIERE" , ma poi, leggendo la presentazione, ho pensato che è più adatta alla rubrica VIVERE INSIEME.

FONTE: Libro "Preghiere" di Michel Quoist edito da Marietti.

I militanti sono esigenti verso il loro prete. Hanno ragione. Ma devono sapere che è duro essere prete.
Chi  si è donato nella piena generosità della sua giovinezza rimane un uomo, ed ogni giorno in lui l'uomo cerca di riprendere  quel che ha donato. E' una lotta continua per restare totalmente disponibile al Cristo e agli altri.
Il prete non ha bisogno di complimenti o di regali imbarazzanti; ha bisogno che i cristiani, di cui ha in modo speciale la cura, amando sempre  più i loro fratelli, gli provino che non ha dato invano la sua vita. E poiché rimane un uomo, può aver bisogno una volta d'un gesto delicato di amicizia disinteressata... una domenica sera in cui è solo.


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Seguitemi ed  io vi farò pescatori di uomini (Marco 1,17).
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho destinati ad andare a portar frutto, un frutto che rimanga (Giov. 15,16).

Dimentico del cammino percorso, mi protendo in avanti, corro verso la meta, per conseguire lassù il premio della vocazione di Dio nel Cristo Gesù (Filipp. 3,13-14).

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Signore, stasera, sono solo.
A poco a poco, i rumori si sono spenti nella chiesa,
le persone se ne sono andate,
ed io sono rientrato in casa,
solo.

Ho incontrato la gente che tornava da passeggio.
Sono passato davanti al cinema che sfornava la sua porzione di folla.
Ho costeggiato le terrazze dei caffè, 
in cui i passanti, stanchi,
cercavano di prolungare la gioia di vivere 
una domenica di festa.
Ho urtato i bambini che giocavano sul marciapiede,
i bambini, o Signore,
i bambini degli altri, che non saranno mai i miei.

Eccomi, Signore,
solo.
Il silenzio mi incomoda,
la solitudine mi opprime.
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Signore, ho 35 anni,
un corpo fatto come gli altri,
braccia nuove per il lavoro, 
un cuore riservato all'amore,
ma ti ho donato tutto.
E' vero, Tu ne avevi bisogno.
Io Ti ho dato tutto, ma è duro, o Signore.
E' duro dare il proprio corpo: vorrebbe darsi ad altri.
E' duro amare tutti e non serbare alcuno.
E' duro stringere una mano senza volerla trattenere.
E' duro far nascere un affetto, ma per donarlo a Te.
E' duro non essere niente per sé per essere tutto per loro.
E' duro essere come gli altri, fra gli altri, ed essere un altro.
E' duro dare sempre senza cercare di ricevere.
E' duro andare incontro agli altri, senza mai alcuno ci venga incontro.
E' duro soffrire per i peccati degli altri, senza poter rifiutare di accoglierli e di portarli.
E' duro ricevere i segreti, senza poterli condividere.
E' duro sempre trascinare gli altri e non mai potere, anche solo un istante, farsi trascinare.
E' duro sostenere i deboli senza potersi appoggiare ad un forte.
E' duro essere solo,
solo davanti a tutti,
solo davanti al Mondo, 
solo davanti alla sofferenza,
alla morte,
al peccato.

Figliuolo, non sei solo,
io sono con te,
sono te.
Perché avevo bisogno di un'umanità in sovrappiù per continuare la Mia Incarnazione e la Mia Redenzione.
Dall'eternità Io ti ho scelto,
ho bisogno di te.

Ho bisogno delle tue mani per continuare a benedire,
ho bisogno delle tue labbra per continuare a parlare,
ho bisogno del tuo corpo per continuare a soffrire,
ho bisogno del tuo cuore  per continuare ad amare,
ho bisogno di te per continuare a salvare,
resta con Me, figlio mio.

Eccomi, Signore;
ecco il mio corpo,
ecco il mio cuore,
ecco la mia anima.
Concedimi d'essere tanto grande da raggiungere il Mondo,
tanto forte da poterlo portare,
tanto puro da abbracciarlo senza volerlo tenere.
Concedimi d'essere terreno d'incontro, ma terreno di passaggio,
strada che non ferma a sé, perché non vi è nulla di umano da cogliervi che non conduca a Te.
Signore, stasera, 
mentre tutto tace e nel mio cuore sento duramente questo morso della solitudine,
mentre il mio corpo urla a lungo la sua fame di piacere,
mentre gli uomini mi divorano l'anima ed io mi sento incapace di saziarli,
mentre sulle mie spalle il Mondo intero pesa con tutto il suo peso di miseria e di peccato,
io Ti ripeto il mio sì, non in una risata, ma lentamente, lucidamente, umilmente,
solo, o Signore, davanti a Te,
nella pace della sera.




venerdì 15 settembre 2023

LIBRI. "Il matrimonio di mio fratello" di Enrico Brizzi

 




   LIBRI  CONSIGLIATI  DA  LORIS  FINAZZI  
   GRANDE  DIVORATORE  DI  VOLUMI   




"IL MATRIMONIO DI MIO FRATELLO" di Enrico Brizzi edito da Mondadori.

Teo ha trentanove anni, un lavoro sicuro, una macchina aziendale e una  ragazza diversa ogni weekend.
Sta bene, per il momento la vita gli piace abbastanza. Non come suo fratello Max , più grande di tre anni, che è sempre stato radicale in ogni cosa: nella ribellione ai genitori come nella passione per l'alpinismo che lo ha condotto a imprese estreme, nel costruire una famiglia e fare figli, come è giusto, passati i trenta e anche nel divorziare rovinosamente subito dopo i quaranta...
Si sono sempre amati, questi due fratelli, e al tempo stesso non hanno potuto evitare di compiere scelte opposte, quasi speculari, sotto gli occhi spalancati e impotenti della sorella e dei genitori, che nella Bologna dei gloriosi anni Settanta e dei dorati Ottanta erano certi di aver offerto loro tutto ciò che serve per essere felici.
Teo sta rientrando in città per immergersi in uno dei suoi weekend di delizie da single quando i genitori lo chiamano. Max è scomparso, insieme ai suoi bambini. 
Così Teo  resta alla guida e punta sulle Dolomiti per andare a cercarlo. E, lanciato lungo l'autostrada tra angoscia e speranza, ci racconta tutta la loro vita: dalle gesta di papà Giorgio - dirigente della ditta di motociclette Vortex - e di mamma Adriana - un po' femminista e un po' signora italiana vecchio stile all'epica di un'infanzia felice, dagli anni del liceo all'improvviso momento delle scelte, che per i ragazzi di questa generazione significa trovarsi di fronte un mondo completamente diverso da quello dei padri.