lunedì 4 settembre 2023

SERGIO E IL CALCIO. L'allenatore. Trescore

 



Siamo a luglio. Sto passando davanti al negozio di Guglielmo in piazza Cavour a Trescore, quando questo esce e mi ferma per parlare.
Guglielmo, mio coetaneo, lo conosco da sempre, lo considero un amico ed è il segretario dell'Aurora Trescore, la società di calcio del paese.
Da alcuni mesi Guglielmo mi sta offrendo la panchina della squadra dei giovanissimi  eccellenza. Ora mi rinnova la proposta.
Dopo la finale al torneo di Albino persa contro l'Atalanta non ho più avuto contatti con la società di Cenate Sotto e, avendo deciso di non allenare più in questo paese, rispondo a Guglielmo affermativamente.
Accetto con entusiasmo, perché per me è essenziale rimanere tra i ragazzi, non ha importanza di quale paese sono. Sono adolescenti ai quali posso insegnare qualcosa ed è questo il vero scopo della mia attività calcistica.
Lo sport deve essere una componente fondamentale nell'educazione degli adolescenti, al pari della religione  e della scuola. Sono solito dire ai genitori: "Finché i ragazzi sono al campo sportivo, non si trovano al bar a bere o a giocare a carte oppure in un luogo isolato a farsi una canna o peggio".
Cerco di inculcare nei miei allievi la passione per il calcio, che possa consentire loro di frequentare gli allenamenti senza sentirsi sacrificati.
Purtroppo  non sempre sono aiutato dai genitori, che in gran parte disertano le tribune quando si giocano le partite.
Nei due anni che ho allenato Mirchino, non ho mai conosciuto i suoi genitori. Eppure molte volte sono andato a prenderlo o a riportarlo a casa. Ho tanto sperato che la madre apparisse almeno una volta sulla porta di casa per dire una semplice parola: grazie.
Anzi, alcune mamme osteggiano l'attività sportiva dei figli, perché le costringono a lavare  panni impregnati di sudore e a volte di fango. Non capiscono che è  un sacrificio necessario per togliere i ragazzi  dalle tentazioni della strada.
Io sono fortunato, perché Rosaria ama il calcio e lava montagne  di indumenti sportivi senza lamentarsi. Inoltre quasi sempre assiste alle partite di Gabriele e Loris. Di solito al sabato prepara il pranzo per il giorno successivo per poter assistere  alla partita della domenica mattina.
Così a settembre inizio questa nuova esperienza allenando i giovanissimi eccellenza di Trescore, di cui fa parte ora anche Loris, l'unico giocatore forestiero.
Alleno gli stessi ragazzi anche nel successivo campionato nella categoria allievi eccellenza, mentre nel secondo anno di questa categoria c'è l'uscita per limiti di età di alcuni ragazzi tra i più bravi, con entrata invece nella rosa di alcuni giocatori più giovani e meno dotati tecnicamente. I tre campionati disputati nei gironi eccellenza si rivelano molto duri, perché  giocati contro avversari superiori nella tecnica.
Mi sento Cochise a guidare i miei nuovi ragazzi armati con archi e frecce contro le canne tonanti  di Virescit, Ponte S. Pietro, Alzano, Albino. Tuttavia il primo anno nei giovanissimi eccellenza la classifica finale  ci vede al quinto posto, un ottimo piazzamento, considerando che ci sono le retrocessioni per le ultime tre squadre classificate.
I successivi due campionati negli allievi eccellenza, soprattutto il secondosi rivelano troppo impegnativi per le capacità calcistiche dei miei ragazzi e la squadra subisce  molte cocenti sconfitte.
E' un duro tirocinio per me, ma imparo molto nelle difficoltà che incontro.
Devo spremermi le meningi per disporre sul campo di gioco nel modo migliore la formazione e per motivare  i giocatori negli allenamenti. Inoltre i ragazzi sono in fase di sviluppo fisico e psicologico, tipico dell'età, e devo prenderli con le pinze, come si suol dire, tanto sono irritabili. Mi sento impreparato per il delicato compito di educatore e alcune volte al colmo della disperazione sospiro: "Buon Dio, chi me lo fa fare?".
Eppure ci sono anche episodi piacevoli ed appaganti che mi danno la forza di continuare.
Come non ricordare quella sera di novembre? Diluviava e impazzava la tramontana, ma i ragazzi vollero ugualmente  scendere sul campo di allenamento per giocare la partitella.
Io arbitravo con ombrello, key-way e stivali. Dopo venti minuti di gioco il terreno non assorbiva più la pioggia e si allagò.
Il divertimento dei ragazzi, bagnati fino alle midolla, era al massimo. I contrasti in scivolata sollevavano spruzzi d'acqua e fango alti un metro. I colpi di testa in tuffo sembravano degli esercizi  acrobatici sul trampolino  della piscina. Dopo un'ora di gioco fischiai la fine della  partita e i giocatori, stremati,   rientrarono negli spogliatoi soddisfatti e felici.
Fu un impresa tenerli a bada sotto le docce: lanci di bottigliette di shampoo e secchi d'acqua fredda si sprecarono.

                              continua





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