MERCOLEDI' 4 AGOSTO 2006, ORE 20:00
Il Rosso si sta preparando. Deve andare da Mara. Avranno la casa tutta per loro, Zoe e Corrado vanno al cinema. Ezio è bello carico.
Questa è la volta buona che combino qualcosa con Mara. Non faccio più l'amore dai tempi di Gloriana e sarebbe anche ora di fare qualcosa.
Il pensiero di Gloriana lo trafigge e lo ferisce. Come sempre. Ma lui ha imparato a cacciarlo via.
Certo Mara è meno bella della sua ex. Non è una bomba sexy, questo è sicuro.
Ma mi piace per come è. E' timida , e dolce, e buona, e ha questa vena artistica che mi fa impazzire. E non si nutre degli sguardi degli uomini, proprio come faceva quella stronza di Gloriana. Sento che con lei potrei costruire qualcosa di buono. Speriamo. Stasera è fondamentale che vada tutto bene.
C'è un caldo bestiale. Il Rosso decide di mettere i sandali. Li cerca, ma non li trova nel solito posto. E' abituato a non trovare le cose. Lui e Corrado sono dei disordinati cronici. Nel loro piccolo appartamento regna il caos.
I sandali infatti non saltano fuori. Il bergamino inizia a innervosirsi. Mancano dieci minuti all'appuntamento. Cerca un paio di scarpe. Non trova neanche quelle.
Ma dove sono finite le mie cose?
C'è un'atmosfera strana nella casa. Non sa spiegarsi cosa sia, ma sente che c'è. Lui vorrebbe muoversi più velocemente, ma non ce la fa. Anzi più passa il tempo e più sente di avere le gambe pesanti.
Tenta di darsi una calmata. Ma percepisce un senso di inquietudine dentro di sé. Non sa cosa fare per combatterlo.
Trova i sandali. Chissà come erano finiti in bagno, di fianco alla tazza del water.
Il Rosso sorride, ma è un sorriso spento. E' pronto per uscire. Esce dall'appartamento. Sono le otto e mezza. Se non ci saranno altri intoppi tra due minuti sarà da Mara. Infila la chiave nella porta. Porco schifo non gira. E' bloccata.
E adesso come faccio a chiudere? Che serata di merda!
Fa un altro tentativo. Niente da fare. Decide di non chiudere a chiave. Pace, amen.
Tanto non c'è niente da rubare nel nostro appartamento.
Si gira e si dirige verso il cancello di uscita. L'inquietudine non se ne va, anzi aumenta. Si sente osservato da qualcuno.
Qualcuno di malevolo.
E' ormai con un piede fuori dal cancello. Sente una risata. E' una risata familiare, ma non la riconosce subito. Si volta e vede Aristide. Alla vista del ciccione in carrozzina Ezio si sente sollevato.
Ma persino Aristide ha qualcosa di strano.
Sorride, come sempre, ma non è un sorriso buono. E' un ghigno.
Gli dice: "Vieni qua!", come al solito, ma il suo tono non è scherzoso. Suona come un ordine.
Ezio inizia ad avere paura.
Ma che cosa sta succedendo? Qua c'è qualcosa che non quadra.
Si avvicina ad Aristide. Da vicino si accorge che i suoi occhi sono cattivi. Fa finta di non accorgersene. Si abbassa e lo guarda in faccia.
"Ciao bello. Cosa ci fai in giro a quest'ora?"
Mentre gli parla gli accarezza la guancia.
Aristide con un movimento veloce gli afferra la mano e smette di ridere. La sua stretta è forte.
"Ehi bello, lasciami andare che devo andare da una ragazza. Sono già in ritardo."
La stretta aumenta. Il Rosso inizia a sentire un dolore acuto. Tenta di liberarsi, ma non ce la fa. Si sente stanco, senza forze.
"Ti prego Aristide, lasciami andare. Non è il momento di scherzare."
Aristide lo guarda dritto negli occhi e inizia a ridere. E' una risata malefica, che gli gela il sangue nelle vene.
Il Rosso non sa cosa fare. La mano non la sente più dal dolore. Le gambe se le sente insensibili. Tenta di parlare, ma la voce non esce dalla sua gola. E sente ancora quella presenza malevola in giro. Che lo guarda. Di nascosto. Forse dal secondo piano del Centro. Nascosta dietro una tenda.
E' la fine. Forse sto morendo. Dio ti prego aiutami a scappare via di qua.
Con la mano libera si tocca il crocefisso che porta al collo.
Una scossa percorre la mano imprigionata. Poi le braccia. Ed anche le gambe.
Le forze gli stanno tornando.
Dà uno strattone ad Aristide e si libera dalla morsa. Inizia a correre, più veloce che può. Pensa di essere nei suoi amati boschi di Grena. Pensa alla strada sterrata circondata dagli alberi. Pensa a Boz, che gli corre di fianco e scodinzola felice. Pensa al silenzio di quelle colline.
Ma quel fottuto senso di malessere non se ne va.
E le gambe gli tornano molli.
Una macchina lo pressa da dietro. Lui si sposta e la lascia passare. E' un macchinone. Dentro c'è un tipo tutto ingellato e lampadato. E al suo fianco una bionda da paura.
Ma è Gloriana. Che cosa ci fa qui?
Lei lo vede. Si porta una mano alla bocca e gli manda un bacio. Poi scoppia in una risata di scherno. Il lampadato dà un colpo di gas e sgomma via.
Ezio è distrutto. Quei due lo hanno umiliato, e lui non ha neanche la forza di reagire. Le sue gambe sono sempre più deboli. E si sente trafitto da uno sguardo maligno, che gli fa paura. Alza lo sguardo, magari riesce a beccarlo. Ma non vede niente.
Non si ricorda neanche dove abita Mara. Ha un vago ricordo che l'appartamento è di fianco all'università.
Ma dove si trova l'università? Come faccio a non ricordarmelo?
Si sente svuotato. Senza energie. E non c'è neanche in giro nessuno a cui chiedere.
Dove sono finiti tutti? E' impossibile che a quest'ora le strade siano deserte!
Poi sente della musica. E vede un gruppo di giovani assiepati fuori da una porta. E' un pub. Il Rosso si mette a correre. E' una corsa scoordinata e lentissima, ma con uno sforzo estremo ce la fa.
I ragazzi appena lo vedono arrivare si spostano. Poi lo indicano e ridono. Ezio chiede disperato dove si trova l'università. Nessuno risponde. Anzi tutti si voltano a guardare verso l'interno del locale. Anche il bergamino guarda.
C'è una rissa. Un tizio con i capelli rossi sta trascinando per i capelli un giovane. E intanto gli dà dei pugni in faccia. Una ragazza sta piangendo e tenta di fermare quella furia rossa. A terra c'è un uomo, che si sta toccando il naso sanguinante. Un bambino lo sta soccorrendo. Sta piangendo anche lui. Nessuno cerca di intervenire per fermare il giovane rosso.
Ezio entra barcollante nel locale. Urla al tipo violento di smetterla. Quello si gira, senza mollare i capelli di quello sventurato.
Ora c'è un silenzio di tomba nel locale.
Ezio non può credere ai suoi occhi. Il tipo con i capelli rossi gli somiglia in maniera impressionante.
Sembra il suo gemello. Identico.
Il Rosso ha paura. Stanno succedendo cose strane. Molto strane. E poi in fondo al locale c'è una stanza buia. Ezio è certo che la presenza malevola che lo sta perseguitando è nascosta lì.
Si gira verso l'uscita e tenta di scappare. Tutti i giovani ricominciano a ridere. Ma sono risate cattive. Ezio non ci fa caso.
E' in strada adesso.
Corre. Corre. Corre. Ma le forze lo stanno abbandonando del tutto. Le gambe quasi non le sente più. Non ha il coraggio di girarsi. Sa che la figura maligna è proprio lì, dietro di lui.
E' la fine per me. Ora saprò cosa vuol dire morire.
C'è una buca nell'asfalto. Ezio la vede, ma è troppo tardi. Cade, come un sacco di patate.
E' a pancia in giù, con il naso schiacciato sul marciapiede. Ormai si prepara a essere preso da quell'essere inquietante.
Si tocca il crocefisso. E poi chiude gli occhi.
Li riapre quasi subito.
Non è sul marciapiede.
E' sdraiato sul divano dell'appartamento degli obiettori. Guarda la sveglia sul muro. Sono le otto di sera.
In un flash si ricorda tutto. Con i disabili aveva finito alle sei e si era buttato sul divano sfinito.
Ancora uno di quei maledetti incubi. Quando la smetteranno di tormentarmi?
Si rialza subito. Si butta sotto la doccia. L'acqua fa scivolare via tutte le scorie della paura.
Adesso non sente più nessuno sguardo che lo tortura. Si veste in un battibaleno. I suoi vestiti li trova subito, senza nessun intoppo.
Esce nell'aria serale di Verona. C'è ancora chiaro e c'è una brezza piacevole. Le strade sono piene di giovani che hanno voglia di divertirsi.
In un minuto raggiunge la casa di Mara.
Mara gli apre la porta. Lui la abbraccia e la bacia. Lei lo trascina su per le scale del soppalco. Non si sono ancora detti una parola. Non ne sentono il bisogno.
Lentamente si spogliano a vicenda e con passione si gettano nelle braccia uno dell'altra.
Per la loro prima notte d'amore.
DOMENICA 29 AGOSTO 2006, ORE 16:30
Corrado è felice. Sta camminando mano nella mano con Zoe in centro a Verona e si sente leggero.
Mai sentito meglio in vita sua.
Zoe è semplicemente fantastica. E' solare. E' bella. E' molto intelligente. Quando sorride Corrado si sente mancare.
Anche di Francesca ero innamorato. Ma le sensazioni che mi dà questa mulatta non le ho mai vissute.
Non si era mai alzato la mattina con la voglia pazza di vederla. Di prendere subito in mano il cellulare e chiamarla per darle il buongiorno. Di arrivare in anticipo agli appuntamenti. Di pensare continuamente, quasi ossessivamente a lei. Di sentire la sua mancanza appena se ne andava. Porca vacca, avvertiva come un senso di vuoto quando non stava con lei. Con Francesca questo non era mai accaduto. Con Zoe sempre.
C'è un bordello di gente in piazza Bra. Ci sono un sacco di belle ragazze. Corrado le guarda, con un freddo distacco. Lui ha lei, Zoe. E potrebbe trovarsi davanti anche la più bella creatura del mondo, ma lui ha lei, Zoe. E non gli importa più niente di niente.
Si accorge degli sguardi dei ragazzi. Alcuni la fissano. Altri danno di gomito ai propri amici. Altri ancora si voltano a guardarla.
E chi non la guarda? Con questi mini pantaloncini di jeans è super arrapante. Sembra spuntata da un altro pianeta, tanto è bella!
Ma non tutti gli sguardi sono dovuti alla prorompente bellezza della francese. Corrado lo sa. Sono osservati speciali anche perché sono una coppia mista. Lui bianco, lei di colore.
Li aveva visti attaccati ai muri di Verona certi cartelloni. Da far paura. Striscioni spudoratamente razzisti, di quel partito di estrema destra. Ci rimaneva sempre male quando li leggeva.
Corrado ripensa a suo padre. La rabbia lo assale. Guarda Zoe e torna calmo. Ma poi quel pensiero ritorna inesorabile. Per tormentarlo. Per l'ennesima volta.
Suo padre.
Nella sua mente prendono forma i momenti che aveva vissuto.
Era seduto a mangiare insieme ai suoi genitori. Da quando aveva lasciato Francesca suo padre non gli parlava più. Persino sua madre ne stava facendo una tragedia. Volevano bene a Francesca. Era una brava ragazza e in più faceva parte di una famiglia benestante. Anche per questo motivo i suoi stravedevano per lei.
Erano sempre stati preoccupati per la scelta universitaria del loro unico figlio. Suo padre aveva rotto le palle sin dall'inizio.
"Farai la fame a fare l'insegnante. Farai tutta la vita supplenze! Ma chi te l'ha fatto fare?" Questo era il suo ritornello preferito.
Corrado non ne poteva più di sentire tutte queste cazzate. Aveva fatto quella scelta perché il suo sogno era insegnare italiano. Gli sarebbe piaciuto prendere un posto alle scuole superiori. Con gli adolescenti. Per cercare di trasmettere loro la sua voglia di leggere. La sua voglia di scrivere. E non gliene fregava niente della precarietà del suo lavoro. In qualche modo si sarebbe arrangiato. La cosa importante è che avrebbe fatto il lavoro che più gli piaceva. E tutto il resto passava in secondo piano.
Col tempo aveva imparato a non dare peso a quello che gli diceva suo padre. Aveva sempre da brontolare. Da criticare. Da sottovalutare quello che lui faceva.
Da bambino, invece, i suoi giudizi pesavano come macigni. Magari Corrado arrivava a casa da scuola con un bel voto e lo diceva contento ai suoi. Sua mamma era felice. Quell'imbecille di suo padre invece diceva:
"Con tutto il tempo che hai per studiare sarebbe il colmo se tu prendessi brutti voti!"
Il bambino Corrado incassava il colpo. Sarebbe morto piuttosto che farsi vedere a piangere da suo padre. A passi lenti se ne andava nella sua camera e si sdraiava sul letto. Chiudeva gli occhi e cercava di non pensare al ghigno sarcastico di quell'uomo.
Corrado cresceva e i giudizi di suo padre diventavano sempre più taglienti. Così verso i quattordici anni Corrado aveva deciso di non dire più niente a suo padre. Le cose importanti le diceva solo a sua madre, che era comprensiva.
Con suo padre invece aveva optato per una chiusura totale. Aveva raggiunto il limite.
Anzi era arrivato al punto di provocarlo apertamente. Ascoltava musica metal a paletta in camera sua. Arrivava il vecchio sbraitando, ma lui chiudeva gli occhi e non lo cagava. Si vestiva con jeans stracciati e maglie inneggianti ai suoi gruppi preferiti. Si era lasciato crescere i capelli. Lunghi fino a metà schiena. Suo padre rodeva e Corrado era felice.
Ormai era una guerra silenziosa fra loro due.
Così per tutta l'adolescenza. Poi Corrado aveva tentato di riaprire il dialogo, perché non ne poteva più di fare una vita da separati in casa. C'era stato un miglioramento. Lieve. Almeno si dicevano qualcosa quando si vedevano la sera.
Ma Corrado si rendeva conto che non sarebbe mai andato d'accordo con suo padre. Porca miseria aveva idee troppo retrograde! E poi era fissato con quel maledetto partito secessionista, che voleva dividere l'Italia in due parti ben distinte.
Il ragazzo si arrabbiava quando sentiva quei discorsi, quegli slogan assurdi. Razzisti e meschini. Ribatteva colpo su colpo. Facendo esempi coerenti, dato che lui leggeva molto. Ma l'ignoranza di suo padre era totale. E contro l'ignoranza non puoi fare niente.
Suo padre rimaneva sempre arroccato nelle sue idee razziste. Quando non sapeva più cosa dire chiudeva i suoi discorsi dicendo:
"Non sono proprio riuscito a insegnarti niente. Ma voi giovani siete così. Tutti libertini e senza coraggio di difendere il vostro territorio. Siete solo dei mollaccioni senza palle!"
Corrado al suono di queste parole avrebbe volentieri tirato un cartone a quell'uomo. Ma lui non era nato per la violenza. Anzi nel corso degli anni aveva imparato a darsi un autocontrollo totale.
Quando sentiva crescere il suo nervosismo non pensava più a niente. Chiudeva gli occhi per un attimo e si calmava. In quegli anni bui di guerra con quell'uomo aveva affilato una calma e pazienza da far paura. E nel gruppo di amici era ormai il punto di riferimento per tutti. Lui non perdeva mai le staffe. Lui non si lasciava mai prendere dal panico. Anzi bastava un suo tocco e riusciva a placare la rabbia dei suoi soci. Era come un dono. Un dono speciale.
Poi si era messo insieme a Francesca. Lei era carina e sensibile. Ma a suo padre gli interessavano solo i suoi soldi. Per questo diceva sempre a Corrado:
"Non lasciarti scappare quella ragazza. Se te la sposi, sei a posto per tutta la vita."
Il capellone non gli rispondeva niente. Che cosa doveva dire dopo una frase così squallida?
Quella sera a cena aveva deciso di dire tutto. Voleva parlare ai suoi di Zoe. Non ne poteva più del clima da funerale in casa sua. Tornare a Brescia nel weekend era ormai un incubo per lui.
Capiva sua madre, che si era realmente affezionata a Francesca. Per il suo carattere e la sua gentilezza. Invece a suo padre non gliene fregava niente della sensibilità della biondina. Lui era furioso perché il figlio si era lasciato scappare i soldi di quella famiglia ricca.
Stavano mangiando e nessuno parlava. Corrado mandava giù il cibo senza neanche gustarselo. Quel silenzio lo intristiva di brutto. Poi decise che era il momento di lanciare la bomba.
Tanto cosa cambia se non dico niente? Meglio dire tutto e subito, almeno se un giorno porterò Zoe a casa, loro saranno pronti.
Si sistemò sulla sedia. Da quando era diventato così alto tutto gli sembrava piccolo in quella mitica cucina. E in tutta la casa. Si ha un'altra prospettiva quando si è molto alti.
Lanciò la bomba senza rifiatare:
"Ho lasciato Francesca perché mi sono innamorato di una ragazza francese. E' una ragazza di colore e abiterà a Verona per un anno. E' molto bella, e intelligente, e solare e io con lei sto alla grande."
E' sua madre la prima a parlare. Prende la mano del figlio e sorride.
"Scusa se in questo periodo non ti ho parlato molto. Ci sono rimasta molto male quando hai lasciato Francesca. Ormai le volevo bene come a una figlia. Ma se tu sei felice con questa nuova ragazza allora va bene così."
Corrado si sentì molto sollevato al suono di queste parole. In quei giorni aveva temuto di aver perso pure la stima di sua madre.
Poi parlò suo padre. Corrado lo vide asciugarsi la bocca con il tovagliolo e si preparò al peggio. L'adulto lo trafisse con i suoi occhi azzurri. Erano di un colore stupendo. Ma erano occhi cattivi. Disse:
"Hai lasciato Francesca per una negra? Sei proprio una testa di cazzo!"
Dopo aver detto questa perla di saggezza si alzò e lasciò la cucina.
Corrado non voleva credere a quello che aveva sentito. Sentiva la rabbia montargli dentro. Questa volta non voleva controllarsi. Questa volta voleva sfogarsi una volta per tutte con quell'imbecille. Per una volta tanto nella sua vita non voleva pensare alle conseguenze. Sua madre aveva capito dallo sguardo del figlio che c'era qualcosa che non andava e cercava di calmarlo.
"Dai, lo conosci bene tuo padre. Adesso ha reagito così, ma lo sai che tra un po' di tempo accetterà anche la tua nuova ragazza." Ma neanche lei credeva a quello che stava dicendo.
Corrado non le rispose. Si alzò facendo cadere la sedia. Si diresse verso il salotto, dove avrebbe trovato suo padre spaparanzato sul divano a vedere quell'odioso telegiornale dove facevano vedere solo gossip e cazzate varie.
Se mi dice ancora una cosa del genere questa volta gli tiro un cartone. Mi dispiace per la mamma, ma ne ho proprio piene le palle.
Suo padre era sdraiato sul divano. Come aveva pensato suo figlio, stava guardando quel ridicolo telegiornale. In quel momento stavano mostrando le poppe rifatte di una valletta. Era proprio un TG per uomini intelligenti.
Corrado si piazzò davanti al televisore, volontariamente. Guardandolo dritto negli occhi, con un tono gelido, disse:
"Se ti sento ancora una volta chiamare negra la mia ragazza, io ti ammazzo. Hai capito? Sei proprio un uomo di merda!"
La sparò tutta d'un fiato. Non aveva mai detto una frase così cattiva in vita sua. Ma ora si sentiva bene. Alla grande.
Suo padre era stupito della reazione di Corrado. Non ebbe neanche la forza di reagire. Sua madre scoppiò a piangere. Corrado la abbracciò e le disse che se ne ritornava a Verona. Se ne sarebbe stato là per un bel po', perché voleva stare lontano il più possibile dal quell'essere schifoso sdraiato sul divano.
Preparò in fretta i bagagli e uscì. Senza rendersene conto si mise a correre. Voleva raggiungere la stazione. E dimenticare le parole di suo padre.
Zoe gli picchia col gomito nel fianco.
"Ehi capellone, a che cosa stai pensando? Sono cinque minuti che non parli e hai lo sguardo perso."
Lui ritorna nel mondo reale.
Devo smetterla di pensare a mio padre. Con lui ho chiuso. E basta!"
Abbraccia la sua bella. Le dà una pacca sul sedere. Lei ride. Il suono della sua risata gli provoca sempre un brivido nello stomaco. E' una risata pura, come quella dei bambini.
Corrado guarda l'Arena. I palazzi antichi. I ciottoli per terra. Il parco pieno di piante. La gente che cammina tranquilla. E' tutto molto bello e sereno.
Ma perché non dovrebbe andare sempre così bene? Perché ci fermiamo davanti a delle cazzate? Persino il colore della pelle diventa un problema insormontabile. Perché?
Corrado strine la mano di Zoe. E si sforza di tornare l'ottimista di sempre.
LUNEDI' 13 SETTEMBRE 2006, 0RE 09:00
Lui e Corrado sono seduti nell'ufficio di Patrick. Ezio si guarda in giro. E' piccolo e accogliente. Le pareti sono colorate, due bei colori forti, il rosso e l'arancio. Sui muri sono disseminate le foto dei ragazzi disabili. Spicca un poster con tutti i giocatori del Verona, autografato. Patrick è un tifosissimo dei gialloblu. In quella stanza sono rinchiusi tre giovani tifosi di tre squadre dalle tifoserie "nemiche". Atalanta, Brescia e Verona. Mai i tre se ne sbattono di queste stronzate. Loro tifano la loro squadra in maniera pulita, con vera passione. Sono andati spesso allo stadio e non hanno mai fatto cavolate.
Ezio sorride. Magari ci andranno insieme una volta allo stadio. Poi il suo sguardo si ferma su una foto di gruppo dei ragazzi. Chi l'avrebbe detto? Lui che si trova bene coi disabili.
Se un po' di mesi fa mi avessero proposto il servizio civile qui, non avrei accettato. Porca vacca avevo il terrore dei disabili.
Beh, non era proprio paura. Era un blocco. Quando vedeva un ragazzo in carrozzina per strada non sapeva cosa fare. Se lo guardava aveva il timore di svelare i suoi occhi pieni di pietà. Ma era forse meglio non guardare il ragazzo, ignorandolo? E poi la vista di quei fisici devastati, deformi, così lontani dalla perfezione lo facevano stare male. Lui che la suo fisico ci teneva quasi maniacalmente. Lo teneva temprato con estenuanti corse nei boschi.
Era un bel casino.
Ma sin dal primo giorno di servizio civile al Centro Terre di Mezzo, il blocco gli era passato. Si era trovato davanti quel ciccione di Aristide e non aveva pensato alle sue paranoie. Aristide gli aveva aperto la strada. E tutto era andato per il verso giusto.
"Ehi bergamasco, dove sei con la testa? Stai pensando a qualche bella ragazza?"
Patrick lo sta guardando e sorride. Ezio si ripiglia e torna a concentrarsi sulle parole del coordinatore. Il Serpico dei poveri sta facendo i complimenti. Sì, proprio a loro due. I due obiettori venuti da Bergamo e Brescia.
"Più passano i giorni e più mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta. Due giovani pieni di entusiasmo come voi era la cosa che mancava qua al Centro. Prima che arrivaste voi due, qua dentro era un mortorio. Ma dal giorno che ho visto spuntare la tua lunga coda di cavallo e i tuoi capelli rossi da irlandese le cose sono cambiate. Avete dato la scossa, gli educatori si sono risvegliati dal loro torpore.
Prima che arrivaste voi facevano il loro lavoro con distacco, ligi al dovere. Come se si trovassero in ufficio davanti al computer, a fare gli impiegati. Adesso ci mettono il cuore. E' bastato il vostro entusiasmo per far ritrovare loro la creatività.
Ogni giorno qualcuno viene qua a propormi qualcosa di nuovo per i disabili. E proprio da un'idea di Carla è saltata fuori la proposta che vi farò stamattina.
Proprio Carla ha fatto il cambiamento più sorprendente. Era sempre scontrosa e musona. Polemizzava con me su tutto. Siete arrivati voi e non l'ho più sentita sparare il suo veleno. Anzi quando parla di voi le si illuminano gli occhi. Deve avere un debole per Ezio. Anzi per me si è innamorata di te, caro ragazzo!"
Patrick e il bergamino si guardano e scoppiano a ridere. Il Rosso ripensa a quel primo luglio fatidico. Gli si è scolpito nella memoria. Rubens che si schianta con la carrozzina per colpa sua. Gli educatori che non lo rimproverano per la cazzata che ha fatto. Il viaggio di ritorno con Carla. Carla che in neanche un'ora gli racconta la sua vita, fatta di droga, uomini sbagliati e profonda solitudine.
Da quel giorno ha sempre avuto un occhio di riguardo per Carla. Ha capito che quella donna ha un bisogno estremo di qualcuno che le stia vicino.
Ne ha passate troppe. Però adesso sembra stia meglio per davvero. L'ideale sarebbe che trovasse un uomo. Ma la vedo dura.
Il Rosso ritorna alla realtà. Patrick gli sta proponendo una cosa che lo scuote nelle viscere.
"La nostra Carla viene qua una mattina e mi propone una collaborazione con l'università di Scienze dell'Educazione. Mi dice che potremmo chiedere dei tirocinanti che ci diano una mano. Dice che il nostro Centro dista poche centinaia di metri dall'università, ma sembra lontano chilometri.
E' ora di integrare il nostro Centro col mondo circostante. Dice che da quando siete arrivati voi due qua le cose sono cambiate in meglio. Dice che servono altri giovani per il nostro Centro e che l'università è l'ideale per averne. Mi dice queste cose tutte d'un fiato e senza tono polemico. Con gli occhi vispi, non spenti come al solito.
Io la guardo stupefatto, chiedendomi se quella che mi trovavo davanti era la Carla che conoscevo, sempre arrabbiata col mondo. La bocca mi si è aperta in un grande sorriso e anche lei ha sorriso. E mi si è aperto il cuore, porca miseria.
Vedere Carla così tranquilla e serena mi ha fatto star bene. E le ho risposto che è una grande idea. Che ero uno scemo a non averci mai pensato. E che avrei mandato voi a preparare il terreno all'università.
Lei si è alzata contenta e mi ha detto che anche lei aveva pensato di mandare i due obiettori. Mi ha sorriso un'altra volta e se ne è andata.
E io l'ho osservata mentre usciva e si richiudeva la porta alle spalle, pensando per l'ennesima volta che da quando voi due avete messo piede qua dentro le cose sono cambiate."
Il bergamino e il bresciano si guardano. Le parole del coordinatore li ha inorgogliti. E in più c'è il discorso università.
Ezio non sta più nella pelle. Ha proprio voglia di rituffarsi nell'amato mondo universitario. La vita universitaria l'ha finita da pochi mesi e a volte ne sente una profonda mancanza. Non che la vita di adesso non gli piacesse, anzi. Il fatto poi di avere un appartamento e di sentirsi indipendente, è una cosa che lo fa sentire un uomo. Ma a volte, quando ripensa alle sue giornate universitarie, ai viaggi in treno, ai suoi amici, alle feste nei tuguri-appartamento gli viene un blocco allo stomaco. Sente un vuoto. E' una sensazione bruttissima. Gli passa subito, ma quando arriva fa male.
E adesso Patrick gli sta proponendo una collaborazione con la vicina università di Verona.
Qua le cose vanno sempre meglio. Ormai non penso più neanche a Gloriana. E' un miracolo!
"Oggi pomeriggio alle due e mezza vi ho fissato un appuntamento col professor Turati. Insegna Pedagogia Speciale a Scienze dell'Educazione. Al telefono si è subito dimostrato disponibile al nostro progetto. Da quello che ho sentito in giro, quest'uomo è una specie di guru nel campo della disabilità. In bocca al lupo ragazzi, tenete alto il nome del Centro Terre di Mezzo!"
I due obiettori si alzano e salutano Patrick. Il coordinatore li guarda un'ultima volta e dice loro:
"Non mollate ragazzi, continuate così. Finalmente vedo che i disabili si divertono e che sono contenti di vivere qui. E questo mi fa stare dannatamente bene!"
Sono le dieci. Ezio intona un coro di insulti contro il Brescia. Corrado lo insegue e gli pianta un bel calcio nel sedere. Arrivano nel grande salone dove adesso ci sono tutti i ragazzi e gli educatori.
Carla guarda i due giovani e sorridendo dice loro che ha appena preparato un caffè e di andare a prenderselo in cucina. Il Rosso e il capellone non se lo fanno ripetere. E' proprio il momento di un buon caffè. Hanno bisogno della carica, oggi c'è di nuovo da affrontare un professore universitario, come ai vecchi tempi.
Le ore volano. Ezio e Corrado sono insieme nell'attività di bricolage. Con i ragazzi svolgono i lavori manuali di cui ha bisogno il Centro. Stamattina c'è da dedicarsi al taglio dell'erba.
Mezzogiorno arriva in un baleno. E il pranzo se ne va in un soffio di vento.
Sono le due del pomeriggio. Gli obiettori hanno appena finito i cambi. Sono stati dei cambi devastanti.
Mentre spingevano la carrozzina di Rubens entrambi la sentivano. Una leggera puzza di cacca. E poi Rubens non sparava minchiate come al solito. Se ne stava zitto. Molto strano.
Il bergamino e il bresciano avevano aperto il pannolone e avevano trovato la conferma ai loro sospetti. Rubens l'aveva fatta!
Il ragazzo era affranto. E loro due a consolarlo, a dirgli che era una cosa normale, che non c'era problema.
Il problema c'era però. Alla grande!
La piccola stanza dei cambi, piastrellata di verde e di giallo, trasudava puzza da tutte le parti. Rubens ne aveva fatta proprio tanta e il pannolone era strapieno.
Ezio era più debole di stomaco rispetto a Corrado. Sentiva il vomito salire. Corse giù in lavanderia a prendere una molletta da bucato. Rifece le scale in un nanosecondo e, arrivato nella stanza pestilenziale, si mise la molletta sul naso. Faceva un po' male, ma era niente in confronto alla puzza che ormai impregnava le pareti.
Corrado invece era già al lavoro. Con delle salviettine stava togliendo la cacca dalle parti intime di Rubens, ma sembrava che non dovesse finire mai.
Dopo cinque minuti abbondanti sollevarono le lunghe gambe di Rubens e gli misero sotto al sedere la padella di plastica. Con uno spruzzino Ezio gli risciacquò il tutto e a poco a poco tutti i residui di cacca sparirono. Poi tolsero la padella e gli infilarono un nuovo pannolone. Con uno ultimo sforzo lo sollevarono e lo posero nella sua carrozzina.
Erano sfiniti. E la puzza non se ne voleva andare. Se la sentivano persino sui vestiti. Un vero schifo.
Sono passati quasi tre mesi dal primo cambio che ha fatto, ma Ezio non si è ancora abituato del tutto.
Violare le parti intime dei ragazzi lo fa stare male. Si rende conto che è una cosa necessaria, ma lui non ce la fa lo stesso.
Corrado come al solito è più calmo e non se ne fa un problema. Ma il Rosso lo vive sempre male il momento dei cambi.
Ma come fa Corrado a rimanere sempre così calmo? Persino nella puzza di merda sembra che si trovi a suo agio. E' un grande.
Adesso i due giovani si dirigono a passi veloci verso il loro appartamento. Hanno un estremo bisogno di una doccia e di cambiarsi i vestiti. Non possono presentarsi all'università seguiti da una scia di tanfo malefico.
Vanno a turno nel bagno. E' un bagno microscopico, modello hotel di due stelle. Per fare la doccia sei quasi costretto a mettere un piede nel cesso. Però va bene così. E' il loro appartamento. Se lo gestiscono loro! Ezio è felice di questa indipendenza.
Sono le due e venti e sono pronti. Sono stati dei fulmini.
Corrado indossa un paio di jeans tagliati sopra il ginocchio e una maglia nera inneggiante ai Metallica. Ezio pantaloncini con tasconi laterali e una maglietta dei Simpsons.
Entrano nell'ateneo. E' un via vai pazzesco di studenti. Studentesse soprattutto! Scienze dell'Educazione sembra il paradiso.
Ezio e Corrado si guardano meravigliati. Un'enorme quantità di gnocche è davanti ai loro occhi.
Roba da star male.
"Guarda la bionda, bergamino!"
"E tu guarda la ricciola: ha due poppe esplosive!"
E subito dopo ne spuntava una più bella ancora. E loro se la segnalavano. E ridevano. E facevano commenti.
Ezio sorride. Ma dentro di sé sale pian piano la solita sofferenza.
Ci è abituato ormai.
Persino quando stava con Gloriana aveva questo problema. Vedeva belle ragazze in giro e le confrontava con lei. Nella sua mente gli si formavano pensieri stupidi.
Guarda questa che super gnocca. E' ancora più bella di Gloriana. Chissà come sarebbe essere insieme a una così. Andare a casa. Farci l'amore. Passeggiare mano nella mano con lei.
E se lo diceva ai suoi amici di Grena questi lo insultavano.
"Ma come cazzo fai a pensare alle altre quando sei insieme a una come Gloriana? Ma allora sei proprio uno stronzo!"
"Tu non ti accorgi degli sguardi che ti lanciano i ragazzi quando sei in giro con la tua bionda. Sono sguardi pieni di invidia! E allora non rompere le palle a noi con questi tuoi pensieri stupidi!"
Ezio si rendeva conto che i suoi amici avevano ragione. Anzi a volte l'invidia la vedeva negli occhi dei suoi amici. E non li biasimava. Gloriana era proprio bella. E non faceva niente per nasconderlo. Porca vacca, metteva certi vestiti che avrebbero fatto arrapare un novantenne.
Era stato Maurizio, il buffone del gruppo, a uscirsene con quella frase che aveva colpito tutti. Il Rosso in modo particolare. Maurizio con i suoi capelli blu elettrico e la faccia simpatica.
Quella volta si era fatto serio e aveva detto:
"Vaffanculo Ezio. Tu sei insieme a una fuoriserie e hai il coraggio di lamentarti. E' proprio vero che quando si ha il meglio, si vorrebbe avere ancora di più. E' una delle ragioni per cui il mondo sta andando a rotoli."
Tutti l'avevano guardato. Tutti avevano compreso che quello che aveva detto era profondamente giusto. Ezio si sentiva una merda. Maurizio aveva ragione e lui doveva solo starsene zitto.
La sera si era addormentato pensando alle parole dell'amico. Si era ripromesso di non pensare più alle altre con insistenza. Lui amava Gloriana. Punto e basta.
Ma la vita a volte sembra fatta apposta per metterti alla prova. Per farti soffrire. Due giorni dopo aveva rischiato di fare una cavolata grossa.
Era gennaio. Era sul treno e stava tornando a casa. Le lezioni universitarie erano finite alle cinque, fuori c'era un buio pesto.
Il treno era appena partito da Milano. Il Rosso osservava i brutti palazzoni della città, che come sempre gli davano un senso di oppressione. Di soffocamento.
Meno male che abito a Grena. Con le mie colline e i miei boschi. Come fanno gli abitanti di Milano a resistere in mezzo a tutto questo cemento e smog?
La voce di Federica interruppe i suoi pensieri.
"A cosa stai pensando?"
Lui sorrise e le sfiorò una gamba:
"Sto pensando a come si fa a vivere a Milano. Certo che anche te che vivi a Bergamo non sei messa proprio bene. Non ti pesa vivere in città?"
Fede l'aveva guardato con uno sguardo ambiguo. Si erano conosciuti subito loro due. Il primo giorno di corso, sul treno. Due lunghissimi anni prima.
Il Rosso era rimasto colpito da quella ragazza. Non era bella. Aveva un mento un po' volitivo ed era troppo magra. Ma i capelli riccioli scompigliati e gli occhi la rendevano particolare. Gli occhi erano neri come la notte. E grandi, da perdersi dentro.
Quando la guardava, Ezio sentiva una vampata di calore che gli riscaldava le guance.
Lei era salita alla stazione di Bergamo e si era seduta di fianco a lui. Avevano subito rotto il ghiaccio: le parole da parte di entrambi erano uscite spontaneamente.
Il Rosso si era un po' perso per lei. In quei primi giorni di lezioni facevano coppia fissa e voleva chiederle se una domenica poteva andare a trovarla a Bergamo. Magari sarebbero potuti andare al cinema.
Una mattina aveva trovato il coraggio di dirglielo. E lei se ne era uscita con una risposta che l'aveva ammazzato.
"Mi dispiace Ezio. La domenica di solito esco con il mio fidanzato."
Il ragazzo ci era rimasto male. Molto male.
Ma guarda un po' questa qua che stronza è! Sono tre settimane che ci vediamo tutti i santi giorni e non mi ha mai detto che ha il moroso. Poteva dirmelo subito, almeno evitavo questa figura di merda!Gli era passata la voglia di parlare con lei. Ma aveva ancora mezz'ora di viaggio insieme. E le lezioni. Insomma tutta la giornata.
Aveva fatto finta di incassare bene il colpo. Anzi con indifferenza aveva chiesto se ci era insieme da tanto tempo a questo ragazzo.
"Da una vita. Dalla prima superiore. Sono ormai cinque anni che sto con lui" aveva risposto Fede. Ma mentre parlava c'era una luce strana nei suoi occhi. Ezio si era accorto che non c'era gioia nelle sue parole. Ma era arrabbiato come una bestia e non aveva dato peso a queste sfumature.
Poi erano passati i giorni. I mesi. Loro erano sempre assieme. Il Rosso ogni mattina aspettava con ansia che il treno arrivasse a Bergamo. Perché lì saliva lei.
Una volta aveva trovato il coraggio di chiederle come era questo fidanzato. Lei aveva sorriso e aveva detto:
"Giovanni non è bello. Non si può definire neanche carino. Ma lui mi fa sentire bene, mi tratta da regina e io ci sono molto affezionata."
Ma che cosa sta dicendo? Affezionata? Non è neanche carino? Ma allora ci sta insieme a fare? Ti affezioni a un tuo amico, non al tuo moroso. Il tuo moroso lo ami!Ezio avrebbe voluto dirgliele queste cose, ma si era chiuso in un silenzio rassegnato.
E i giorni erano passati, leggeri come le foglie. Si era chiuso il primo anno accademico. Il secondo e pure il terzo.
Loro due non si staccavano mai, anche i compagni di corso ormai li consideravano una coppia. Ma non si erano mai baciati. Niente di niente. Eppure il Rosso era convinto che anche lei provasse qualcosa per lui. Si sentivano spesso pure al telefono.
Poi era arrivata Gloriana. E il Rosso non aveva capito più niente.
Si era lasciato cullare dalle sue dolci forme. In un fantastico sonno ristoratore.
Federica lo vedeva più distante. Sembrava gelosa. Ma lui giustamente se ne sbatteva.
Hai avuto un sacco di tempo per iniziare una storia con me. Potevi lasciare il tuo fidanzato che non ami. E invece non ne hai mai avuto il coraggio. E allora, ciao ciao Fede, chi dorme non piglia pesci!
Quella sera di gennaio erano come sempre insieme sul treno. Avevano entrambi ventitré anni. Avevano tutta la vita davanti. Lei l'aveva guardato in modo ambiguo. Inchiodandolo al sedile con i suoi occhi neri aveva detto:
"Io e Giovanni abbiamo deciso di sposarci. A giugno mi laureo e a settembre mi sposerò."
Poi aveva sorriso. Ma non era un sorriso felice.
Il Rosso le aveva chiesto: "Ma è stato lui a chiedertelo?"
Lei nel rispondergli non l'aveva guardato negli occhi:
"Sì, è stato lui. E io gli ho detto di sì. Ma il bello è che da un po' di giorni ero in crisi nera. Stavo quasi trovando il coraggio per confessargli che non l'amavo più. O forse non l'ho mai amato! Volevo comunque dirgli che siamo stati insieme troppi anni. Che la nostra storia ci ha rubato gli anni più belli. Gli anni da fare liberi e spensierati, e che noi invece abbiamo trascorso come una coppia seria di trentenni.
Avevo quasi trovato il coraggio di dirgli che avevo il tremendo bisogno di provare un'altra storia, con un altro ragazzo. Può sembrare un'idea strampalata, ma io voglio provare un altro tipo di vita, perché non sono sicura che quella con lui sia la mia vita ideale. Non ne ho mai provato una alternativa! Che situazione di merda!"
Ezio era sconvolto. Non aveva mai sentito Federica dire parolacce. Sempre così fine e composta. Stava proprio male. Ma finalmente era riuscita a dire quello che pensava veramente.
"Ehi bello, lasciami andare che devo andare da una ragazza. Sono già in ritardo."
La stretta aumenta. Il Rosso inizia a sentire un dolore acuto. Tenta di liberarsi, ma non ce la fa. Si sente stanco, senza forze.
"Ti prego Aristide, lasciami andare. Non è il momento di scherzare."
Aristide lo guarda dritto negli occhi e inizia a ridere. E' una risata malefica, che gli gela il sangue nelle vene.
Il Rosso non sa cosa fare. La mano non la sente più dal dolore. Le gambe se le sente insensibili. Tenta di parlare, ma la voce non esce dalla sua gola. E sente ancora quella presenza malevola in giro. Che lo guarda. Di nascosto. Forse dal secondo piano del Centro. Nascosta dietro una tenda.
E' la fine. Forse sto morendo. Dio ti prego aiutami a scappare via di qua.
Con la mano libera si tocca il crocefisso che porta al collo.
Una scossa percorre la mano imprigionata. Poi le braccia. Ed anche le gambe.
Le forze gli stanno tornando.
Dà uno strattone ad Aristide e si libera dalla morsa. Inizia a correre, più veloce che può. Pensa di essere nei suoi amati boschi di Grena. Pensa alla strada sterrata circondata dagli alberi. Pensa a Boz, che gli corre di fianco e scodinzola felice. Pensa al silenzio di quelle colline.
Ma quel fottuto senso di malessere non se ne va.
E le gambe gli tornano molli.
Una macchina lo pressa da dietro. Lui si sposta e la lascia passare. E' un macchinone. Dentro c'è un tipo tutto ingellato e lampadato. E al suo fianco una bionda da paura.
Ma è Gloriana. Che cosa ci fa qui?
Lei lo vede. Si porta una mano alla bocca e gli manda un bacio. Poi scoppia in una risata di scherno. Il lampadato dà un colpo di gas e sgomma via.
Ezio è distrutto. Quei due lo hanno umiliato, e lui non ha neanche la forza di reagire. Le sue gambe sono sempre più deboli. E si sente trafitto da uno sguardo maligno, che gli fa paura. Alza lo sguardo, magari riesce a beccarlo. Ma non vede niente.
Non si ricorda neanche dove abita Mara. Ha un vago ricordo che l'appartamento è di fianco all'università.
Ma dove si trova l'università? Come faccio a non ricordarmelo?
Si sente svuotato. Senza energie. E non c'è neanche in giro nessuno a cui chiedere.
Dove sono finiti tutti? E' impossibile che a quest'ora le strade siano deserte!
Poi sente della musica. E vede un gruppo di giovani assiepati fuori da una porta. E' un pub. Il Rosso si mette a correre. E' una corsa scoordinata e lentissima, ma con uno sforzo estremo ce la fa.
I ragazzi appena lo vedono arrivare si spostano. Poi lo indicano e ridono. Ezio chiede disperato dove si trova l'università. Nessuno risponde. Anzi tutti si voltano a guardare verso l'interno del locale. Anche il bergamino guarda.
C'è una rissa. Un tizio con i capelli rossi sta trascinando per i capelli un giovane. E intanto gli dà dei pugni in faccia. Una ragazza sta piangendo e tenta di fermare quella furia rossa. A terra c'è un uomo, che si sta toccando il naso sanguinante. Un bambino lo sta soccorrendo. Sta piangendo anche lui. Nessuno cerca di intervenire per fermare il giovane rosso.
Ezio entra barcollante nel locale. Urla al tipo violento di smetterla. Quello si gira, senza mollare i capelli di quello sventurato.
Ora c'è un silenzio di tomba nel locale.
Ezio non può credere ai suoi occhi. Il tipo con i capelli rossi gli somiglia in maniera impressionante.
Sembra il suo gemello. Identico.
Il Rosso ha paura. Stanno succedendo cose strane. Molto strane. E poi in fondo al locale c'è una stanza buia. Ezio è certo che la presenza malevola che lo sta perseguitando è nascosta lì.
Si gira verso l'uscita e tenta di scappare. Tutti i giovani ricominciano a ridere. Ma sono risate cattive. Ezio non ci fa caso.
E' in strada adesso.
Corre. Corre. Corre. Ma le forze lo stanno abbandonando del tutto. Le gambe quasi non le sente più. Non ha il coraggio di girarsi. Sa che la figura maligna è proprio lì, dietro di lui.
E' la fine per me. Ora saprò cosa vuol dire morire.
C'è una buca nell'asfalto. Ezio la vede, ma è troppo tardi. Cade, come un sacco di patate.
E' a pancia in giù, con il naso schiacciato sul marciapiede. Ormai si prepara a essere preso da quell'essere inquietante.
Si tocca il crocefisso. E poi chiude gli occhi.
Li riapre quasi subito.
Non è sul marciapiede.
E' sdraiato sul divano dell'appartamento degli obiettori. Guarda la sveglia sul muro. Sono le otto di sera.
In un flash si ricorda tutto. Con i disabili aveva finito alle sei e si era buttato sul divano sfinito.
Ancora uno di quei maledetti incubi. Quando la smetteranno di tormentarmi?
Si rialza subito. Si butta sotto la doccia. L'acqua fa scivolare via tutte le scorie della paura.
Adesso non sente più nessuno sguardo che lo tortura. Si veste in un battibaleno. I suoi vestiti li trova subito, senza nessun intoppo.
Esce nell'aria serale di Verona. C'è ancora chiaro e c'è una brezza piacevole. Le strade sono piene di giovani che hanno voglia di divertirsi.
In un minuto raggiunge la casa di Mara.
Mara gli apre la porta. Lui la abbraccia e la bacia. Lei lo trascina su per le scale del soppalco. Non si sono ancora detti una parola. Non ne sentono il bisogno.
Lentamente si spogliano a vicenda e con passione si gettano nelle braccia uno dell'altra.
Per la loro prima notte d'amore.
DOMENICA 29 AGOSTO 2006, ORE 16:30
Corrado è felice. Sta camminando mano nella mano con Zoe in centro a Verona e si sente leggero.
Mai sentito meglio in vita sua.
Zoe è semplicemente fantastica. E' solare. E' bella. E' molto intelligente. Quando sorride Corrado si sente mancare.
Anche di Francesca ero innamorato. Ma le sensazioni che mi dà questa mulatta non le ho mai vissute.
Non si era mai alzato la mattina con la voglia pazza di vederla. Di prendere subito in mano il cellulare e chiamarla per darle il buongiorno. Di arrivare in anticipo agli appuntamenti. Di pensare continuamente, quasi ossessivamente a lei. Di sentire la sua mancanza appena se ne andava. Porca vacca, avvertiva come un senso di vuoto quando non stava con lei. Con Francesca questo non era mai accaduto. Con Zoe sempre.
C'è un bordello di gente in piazza Bra. Ci sono un sacco di belle ragazze. Corrado le guarda, con un freddo distacco. Lui ha lei, Zoe. E potrebbe trovarsi davanti anche la più bella creatura del mondo, ma lui ha lei, Zoe. E non gli importa più niente di niente.
Si accorge degli sguardi dei ragazzi. Alcuni la fissano. Altri danno di gomito ai propri amici. Altri ancora si voltano a guardarla.
E chi non la guarda? Con questi mini pantaloncini di jeans è super arrapante. Sembra spuntata da un altro pianeta, tanto è bella!
Ma non tutti gli sguardi sono dovuti alla prorompente bellezza della francese. Corrado lo sa. Sono osservati speciali anche perché sono una coppia mista. Lui bianco, lei di colore.
Li aveva visti attaccati ai muri di Verona certi cartelloni. Da far paura. Striscioni spudoratamente razzisti, di quel partito di estrema destra. Ci rimaneva sempre male quando li leggeva.
Corrado ripensa a suo padre. La rabbia lo assale. Guarda Zoe e torna calmo. Ma poi quel pensiero ritorna inesorabile. Per tormentarlo. Per l'ennesima volta.
Suo padre.
Nella sua mente prendono forma i momenti che aveva vissuto.
Era seduto a mangiare insieme ai suoi genitori. Da quando aveva lasciato Francesca suo padre non gli parlava più. Persino sua madre ne stava facendo una tragedia. Volevano bene a Francesca. Era una brava ragazza e in più faceva parte di una famiglia benestante. Anche per questo motivo i suoi stravedevano per lei.
Erano sempre stati preoccupati per la scelta universitaria del loro unico figlio. Suo padre aveva rotto le palle sin dall'inizio.
"Farai la fame a fare l'insegnante. Farai tutta la vita supplenze! Ma chi te l'ha fatto fare?" Questo era il suo ritornello preferito.
Corrado non ne poteva più di sentire tutte queste cazzate. Aveva fatto quella scelta perché il suo sogno era insegnare italiano. Gli sarebbe piaciuto prendere un posto alle scuole superiori. Con gli adolescenti. Per cercare di trasmettere loro la sua voglia di leggere. La sua voglia di scrivere. E non gliene fregava niente della precarietà del suo lavoro. In qualche modo si sarebbe arrangiato. La cosa importante è che avrebbe fatto il lavoro che più gli piaceva. E tutto il resto passava in secondo piano.
Col tempo aveva imparato a non dare peso a quello che gli diceva suo padre. Aveva sempre da brontolare. Da criticare. Da sottovalutare quello che lui faceva.
Da bambino, invece, i suoi giudizi pesavano come macigni. Magari Corrado arrivava a casa da scuola con un bel voto e lo diceva contento ai suoi. Sua mamma era felice. Quell'imbecille di suo padre invece diceva:
"Con tutto il tempo che hai per studiare sarebbe il colmo se tu prendessi brutti voti!"
Il bambino Corrado incassava il colpo. Sarebbe morto piuttosto che farsi vedere a piangere da suo padre. A passi lenti se ne andava nella sua camera e si sdraiava sul letto. Chiudeva gli occhi e cercava di non pensare al ghigno sarcastico di quell'uomo.
Corrado cresceva e i giudizi di suo padre diventavano sempre più taglienti. Così verso i quattordici anni Corrado aveva deciso di non dire più niente a suo padre. Le cose importanti le diceva solo a sua madre, che era comprensiva.
Con suo padre invece aveva optato per una chiusura totale. Aveva raggiunto il limite.
Anzi era arrivato al punto di provocarlo apertamente. Ascoltava musica metal a paletta in camera sua. Arrivava il vecchio sbraitando, ma lui chiudeva gli occhi e non lo cagava. Si vestiva con jeans stracciati e maglie inneggianti ai suoi gruppi preferiti. Si era lasciato crescere i capelli. Lunghi fino a metà schiena. Suo padre rodeva e Corrado era felice.
Ormai era una guerra silenziosa fra loro due.
Così per tutta l'adolescenza. Poi Corrado aveva tentato di riaprire il dialogo, perché non ne poteva più di fare una vita da separati in casa. C'era stato un miglioramento. Lieve. Almeno si dicevano qualcosa quando si vedevano la sera.
Ma Corrado si rendeva conto che non sarebbe mai andato d'accordo con suo padre. Porca miseria aveva idee troppo retrograde! E poi era fissato con quel maledetto partito secessionista, che voleva dividere l'Italia in due parti ben distinte.
Il ragazzo si arrabbiava quando sentiva quei discorsi, quegli slogan assurdi. Razzisti e meschini. Ribatteva colpo su colpo. Facendo esempi coerenti, dato che lui leggeva molto. Ma l'ignoranza di suo padre era totale. E contro l'ignoranza non puoi fare niente.
Suo padre rimaneva sempre arroccato nelle sue idee razziste. Quando non sapeva più cosa dire chiudeva i suoi discorsi dicendo:
"Non sono proprio riuscito a insegnarti niente. Ma voi giovani siete così. Tutti libertini e senza coraggio di difendere il vostro territorio. Siete solo dei mollaccioni senza palle!"
Corrado al suono di queste parole avrebbe volentieri tirato un cartone a quell'uomo. Ma lui non era nato per la violenza. Anzi nel corso degli anni aveva imparato a darsi un autocontrollo totale.
Quando sentiva crescere il suo nervosismo non pensava più a niente. Chiudeva gli occhi per un attimo e si calmava. In quegli anni bui di guerra con quell'uomo aveva affilato una calma e pazienza da far paura. E nel gruppo di amici era ormai il punto di riferimento per tutti. Lui non perdeva mai le staffe. Lui non si lasciava mai prendere dal panico. Anzi bastava un suo tocco e riusciva a placare la rabbia dei suoi soci. Era come un dono. Un dono speciale.
Poi si era messo insieme a Francesca. Lei era carina e sensibile. Ma a suo padre gli interessavano solo i suoi soldi. Per questo diceva sempre a Corrado:
"Non lasciarti scappare quella ragazza. Se te la sposi, sei a posto per tutta la vita."
Il capellone non gli rispondeva niente. Che cosa doveva dire dopo una frase così squallida?
Quella sera a cena aveva deciso di dire tutto. Voleva parlare ai suoi di Zoe. Non ne poteva più del clima da funerale in casa sua. Tornare a Brescia nel weekend era ormai un incubo per lui.
Capiva sua madre, che si era realmente affezionata a Francesca. Per il suo carattere e la sua gentilezza. Invece a suo padre non gliene fregava niente della sensibilità della biondina. Lui era furioso perché il figlio si era lasciato scappare i soldi di quella famiglia ricca.
Stavano mangiando e nessuno parlava. Corrado mandava giù il cibo senza neanche gustarselo. Quel silenzio lo intristiva di brutto. Poi decise che era il momento di lanciare la bomba.
Tanto cosa cambia se non dico niente? Meglio dire tutto e subito, almeno se un giorno porterò Zoe a casa, loro saranno pronti.
Si sistemò sulla sedia. Da quando era diventato così alto tutto gli sembrava piccolo in quella mitica cucina. E in tutta la casa. Si ha un'altra prospettiva quando si è molto alti.
Lanciò la bomba senza rifiatare:
"Ho lasciato Francesca perché mi sono innamorato di una ragazza francese. E' una ragazza di colore e abiterà a Verona per un anno. E' molto bella, e intelligente, e solare e io con lei sto alla grande."
E' sua madre la prima a parlare. Prende la mano del figlio e sorride.
"Scusa se in questo periodo non ti ho parlato molto. Ci sono rimasta molto male quando hai lasciato Francesca. Ormai le volevo bene come a una figlia. Ma se tu sei felice con questa nuova ragazza allora va bene così."
Corrado si sentì molto sollevato al suono di queste parole. In quei giorni aveva temuto di aver perso pure la stima di sua madre.
Poi parlò suo padre. Corrado lo vide asciugarsi la bocca con il tovagliolo e si preparò al peggio. L'adulto lo trafisse con i suoi occhi azzurri. Erano di un colore stupendo. Ma erano occhi cattivi. Disse:
"Hai lasciato Francesca per una negra? Sei proprio una testa di cazzo!"
Dopo aver detto questa perla di saggezza si alzò e lasciò la cucina.
Corrado non voleva credere a quello che aveva sentito. Sentiva la rabbia montargli dentro. Questa volta non voleva controllarsi. Questa volta voleva sfogarsi una volta per tutte con quell'imbecille. Per una volta tanto nella sua vita non voleva pensare alle conseguenze. Sua madre aveva capito dallo sguardo del figlio che c'era qualcosa che non andava e cercava di calmarlo.
"Dai, lo conosci bene tuo padre. Adesso ha reagito così, ma lo sai che tra un po' di tempo accetterà anche la tua nuova ragazza." Ma neanche lei credeva a quello che stava dicendo.
Corrado non le rispose. Si alzò facendo cadere la sedia. Si diresse verso il salotto, dove avrebbe trovato suo padre spaparanzato sul divano a vedere quell'odioso telegiornale dove facevano vedere solo gossip e cazzate varie.
Se mi dice ancora una cosa del genere questa volta gli tiro un cartone. Mi dispiace per la mamma, ma ne ho proprio piene le palle.
Suo padre era sdraiato sul divano. Come aveva pensato suo figlio, stava guardando quel ridicolo telegiornale. In quel momento stavano mostrando le poppe rifatte di una valletta. Era proprio un TG per uomini intelligenti.
Corrado si piazzò davanti al televisore, volontariamente. Guardandolo dritto negli occhi, con un tono gelido, disse:
"Se ti sento ancora una volta chiamare negra la mia ragazza, io ti ammazzo. Hai capito? Sei proprio un uomo di merda!"
La sparò tutta d'un fiato. Non aveva mai detto una frase così cattiva in vita sua. Ma ora si sentiva bene. Alla grande.
Suo padre era stupito della reazione di Corrado. Non ebbe neanche la forza di reagire. Sua madre scoppiò a piangere. Corrado la abbracciò e le disse che se ne ritornava a Verona. Se ne sarebbe stato là per un bel po', perché voleva stare lontano il più possibile dal quell'essere schifoso sdraiato sul divano.
Preparò in fretta i bagagli e uscì. Senza rendersene conto si mise a correre. Voleva raggiungere la stazione. E dimenticare le parole di suo padre.
Zoe gli picchia col gomito nel fianco.
"Ehi capellone, a che cosa stai pensando? Sono cinque minuti che non parli e hai lo sguardo perso."
Lui ritorna nel mondo reale.
Devo smetterla di pensare a mio padre. Con lui ho chiuso. E basta!"
Abbraccia la sua bella. Le dà una pacca sul sedere. Lei ride. Il suono della sua risata gli provoca sempre un brivido nello stomaco. E' una risata pura, come quella dei bambini.
Corrado guarda l'Arena. I palazzi antichi. I ciottoli per terra. Il parco pieno di piante. La gente che cammina tranquilla. E' tutto molto bello e sereno.
Ma perché non dovrebbe andare sempre così bene? Perché ci fermiamo davanti a delle cazzate? Persino il colore della pelle diventa un problema insormontabile. Perché?
Corrado strine la mano di Zoe. E si sforza di tornare l'ottimista di sempre.
LUNEDI' 13 SETTEMBRE 2006, 0RE 09:00
Lui e Corrado sono seduti nell'ufficio di Patrick. Ezio si guarda in giro. E' piccolo e accogliente. Le pareti sono colorate, due bei colori forti, il rosso e l'arancio. Sui muri sono disseminate le foto dei ragazzi disabili. Spicca un poster con tutti i giocatori del Verona, autografato. Patrick è un tifosissimo dei gialloblu. In quella stanza sono rinchiusi tre giovani tifosi di tre squadre dalle tifoserie "nemiche". Atalanta, Brescia e Verona. Mai i tre se ne sbattono di queste stronzate. Loro tifano la loro squadra in maniera pulita, con vera passione. Sono andati spesso allo stadio e non hanno mai fatto cavolate.
Ezio sorride. Magari ci andranno insieme una volta allo stadio. Poi il suo sguardo si ferma su una foto di gruppo dei ragazzi. Chi l'avrebbe detto? Lui che si trova bene coi disabili.
Se un po' di mesi fa mi avessero proposto il servizio civile qui, non avrei accettato. Porca vacca avevo il terrore dei disabili.
Beh, non era proprio paura. Era un blocco. Quando vedeva un ragazzo in carrozzina per strada non sapeva cosa fare. Se lo guardava aveva il timore di svelare i suoi occhi pieni di pietà. Ma era forse meglio non guardare il ragazzo, ignorandolo? E poi la vista di quei fisici devastati, deformi, così lontani dalla perfezione lo facevano stare male. Lui che la suo fisico ci teneva quasi maniacalmente. Lo teneva temprato con estenuanti corse nei boschi.
Era un bel casino.
Ma sin dal primo giorno di servizio civile al Centro Terre di Mezzo, il blocco gli era passato. Si era trovato davanti quel ciccione di Aristide e non aveva pensato alle sue paranoie. Aristide gli aveva aperto la strada. E tutto era andato per il verso giusto.
"Ehi bergamasco, dove sei con la testa? Stai pensando a qualche bella ragazza?"
Patrick lo sta guardando e sorride. Ezio si ripiglia e torna a concentrarsi sulle parole del coordinatore. Il Serpico dei poveri sta facendo i complimenti. Sì, proprio a loro due. I due obiettori venuti da Bergamo e Brescia.
"Più passano i giorni e più mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta. Due giovani pieni di entusiasmo come voi era la cosa che mancava qua al Centro. Prima che arrivaste voi due, qua dentro era un mortorio. Ma dal giorno che ho visto spuntare la tua lunga coda di cavallo e i tuoi capelli rossi da irlandese le cose sono cambiate. Avete dato la scossa, gli educatori si sono risvegliati dal loro torpore.
Prima che arrivaste voi facevano il loro lavoro con distacco, ligi al dovere. Come se si trovassero in ufficio davanti al computer, a fare gli impiegati. Adesso ci mettono il cuore. E' bastato il vostro entusiasmo per far ritrovare loro la creatività.
Ogni giorno qualcuno viene qua a propormi qualcosa di nuovo per i disabili. E proprio da un'idea di Carla è saltata fuori la proposta che vi farò stamattina.
Proprio Carla ha fatto il cambiamento più sorprendente. Era sempre scontrosa e musona. Polemizzava con me su tutto. Siete arrivati voi e non l'ho più sentita sparare il suo veleno. Anzi quando parla di voi le si illuminano gli occhi. Deve avere un debole per Ezio. Anzi per me si è innamorata di te, caro ragazzo!"
Patrick e il bergamino si guardano e scoppiano a ridere. Il Rosso ripensa a quel primo luglio fatidico. Gli si è scolpito nella memoria. Rubens che si schianta con la carrozzina per colpa sua. Gli educatori che non lo rimproverano per la cazzata che ha fatto. Il viaggio di ritorno con Carla. Carla che in neanche un'ora gli racconta la sua vita, fatta di droga, uomini sbagliati e profonda solitudine.
Da quel giorno ha sempre avuto un occhio di riguardo per Carla. Ha capito che quella donna ha un bisogno estremo di qualcuno che le stia vicino.
Ne ha passate troppe. Però adesso sembra stia meglio per davvero. L'ideale sarebbe che trovasse un uomo. Ma la vedo dura.
Il Rosso ritorna alla realtà. Patrick gli sta proponendo una cosa che lo scuote nelle viscere.
"La nostra Carla viene qua una mattina e mi propone una collaborazione con l'università di Scienze dell'Educazione. Mi dice che potremmo chiedere dei tirocinanti che ci diano una mano. Dice che il nostro Centro dista poche centinaia di metri dall'università, ma sembra lontano chilometri.
E' ora di integrare il nostro Centro col mondo circostante. Dice che da quando siete arrivati voi due qua le cose sono cambiate in meglio. Dice che servono altri giovani per il nostro Centro e che l'università è l'ideale per averne. Mi dice queste cose tutte d'un fiato e senza tono polemico. Con gli occhi vispi, non spenti come al solito.
Io la guardo stupefatto, chiedendomi se quella che mi trovavo davanti era la Carla che conoscevo, sempre arrabbiata col mondo. La bocca mi si è aperta in un grande sorriso e anche lei ha sorriso. E mi si è aperto il cuore, porca miseria.
Vedere Carla così tranquilla e serena mi ha fatto star bene. E le ho risposto che è una grande idea. Che ero uno scemo a non averci mai pensato. E che avrei mandato voi a preparare il terreno all'università.
Lei si è alzata contenta e mi ha detto che anche lei aveva pensato di mandare i due obiettori. Mi ha sorriso un'altra volta e se ne è andata.
E io l'ho osservata mentre usciva e si richiudeva la porta alle spalle, pensando per l'ennesima volta che da quando voi due avete messo piede qua dentro le cose sono cambiate."
Il bergamino e il bresciano si guardano. Le parole del coordinatore li ha inorgogliti. E in più c'è il discorso università.
Ezio non sta più nella pelle. Ha proprio voglia di rituffarsi nell'amato mondo universitario. La vita universitaria l'ha finita da pochi mesi e a volte ne sente una profonda mancanza. Non che la vita di adesso non gli piacesse, anzi. Il fatto poi di avere un appartamento e di sentirsi indipendente, è una cosa che lo fa sentire un uomo. Ma a volte, quando ripensa alle sue giornate universitarie, ai viaggi in treno, ai suoi amici, alle feste nei tuguri-appartamento gli viene un blocco allo stomaco. Sente un vuoto. E' una sensazione bruttissima. Gli passa subito, ma quando arriva fa male.
E adesso Patrick gli sta proponendo una collaborazione con la vicina università di Verona.
Qua le cose vanno sempre meglio. Ormai non penso più neanche a Gloriana. E' un miracolo!
"Oggi pomeriggio alle due e mezza vi ho fissato un appuntamento col professor Turati. Insegna Pedagogia Speciale a Scienze dell'Educazione. Al telefono si è subito dimostrato disponibile al nostro progetto. Da quello che ho sentito in giro, quest'uomo è una specie di guru nel campo della disabilità. In bocca al lupo ragazzi, tenete alto il nome del Centro Terre di Mezzo!"
I due obiettori si alzano e salutano Patrick. Il coordinatore li guarda un'ultima volta e dice loro:
"Non mollate ragazzi, continuate così. Finalmente vedo che i disabili si divertono e che sono contenti di vivere qui. E questo mi fa stare dannatamente bene!"
Sono le dieci. Ezio intona un coro di insulti contro il Brescia. Corrado lo insegue e gli pianta un bel calcio nel sedere. Arrivano nel grande salone dove adesso ci sono tutti i ragazzi e gli educatori.
Carla guarda i due giovani e sorridendo dice loro che ha appena preparato un caffè e di andare a prenderselo in cucina. Il Rosso e il capellone non se lo fanno ripetere. E' proprio il momento di un buon caffè. Hanno bisogno della carica, oggi c'è di nuovo da affrontare un professore universitario, come ai vecchi tempi.
Le ore volano. Ezio e Corrado sono insieme nell'attività di bricolage. Con i ragazzi svolgono i lavori manuali di cui ha bisogno il Centro. Stamattina c'è da dedicarsi al taglio dell'erba.
Mezzogiorno arriva in un baleno. E il pranzo se ne va in un soffio di vento.
Sono le due del pomeriggio. Gli obiettori hanno appena finito i cambi. Sono stati dei cambi devastanti.
Mentre spingevano la carrozzina di Rubens entrambi la sentivano. Una leggera puzza di cacca. E poi Rubens non sparava minchiate come al solito. Se ne stava zitto. Molto strano.
Il bergamino e il bresciano avevano aperto il pannolone e avevano trovato la conferma ai loro sospetti. Rubens l'aveva fatta!
Il ragazzo era affranto. E loro due a consolarlo, a dirgli che era una cosa normale, che non c'era problema.
Il problema c'era però. Alla grande!
La piccola stanza dei cambi, piastrellata di verde e di giallo, trasudava puzza da tutte le parti. Rubens ne aveva fatta proprio tanta e il pannolone era strapieno.
Ezio era più debole di stomaco rispetto a Corrado. Sentiva il vomito salire. Corse giù in lavanderia a prendere una molletta da bucato. Rifece le scale in un nanosecondo e, arrivato nella stanza pestilenziale, si mise la molletta sul naso. Faceva un po' male, ma era niente in confronto alla puzza che ormai impregnava le pareti.
Corrado invece era già al lavoro. Con delle salviettine stava togliendo la cacca dalle parti intime di Rubens, ma sembrava che non dovesse finire mai.
Dopo cinque minuti abbondanti sollevarono le lunghe gambe di Rubens e gli misero sotto al sedere la padella di plastica. Con uno spruzzino Ezio gli risciacquò il tutto e a poco a poco tutti i residui di cacca sparirono. Poi tolsero la padella e gli infilarono un nuovo pannolone. Con uno ultimo sforzo lo sollevarono e lo posero nella sua carrozzina.
Erano sfiniti. E la puzza non se ne voleva andare. Se la sentivano persino sui vestiti. Un vero schifo.
Sono passati quasi tre mesi dal primo cambio che ha fatto, ma Ezio non si è ancora abituato del tutto.
Violare le parti intime dei ragazzi lo fa stare male. Si rende conto che è una cosa necessaria, ma lui non ce la fa lo stesso.
Corrado come al solito è più calmo e non se ne fa un problema. Ma il Rosso lo vive sempre male il momento dei cambi.
Ma come fa Corrado a rimanere sempre così calmo? Persino nella puzza di merda sembra che si trovi a suo agio. E' un grande.
Adesso i due giovani si dirigono a passi veloci verso il loro appartamento. Hanno un estremo bisogno di una doccia e di cambiarsi i vestiti. Non possono presentarsi all'università seguiti da una scia di tanfo malefico.
Vanno a turno nel bagno. E' un bagno microscopico, modello hotel di due stelle. Per fare la doccia sei quasi costretto a mettere un piede nel cesso. Però va bene così. E' il loro appartamento. Se lo gestiscono loro! Ezio è felice di questa indipendenza.
Sono le due e venti e sono pronti. Sono stati dei fulmini.
Corrado indossa un paio di jeans tagliati sopra il ginocchio e una maglia nera inneggiante ai Metallica. Ezio pantaloncini con tasconi laterali e una maglietta dei Simpsons.
Entrano nell'ateneo. E' un via vai pazzesco di studenti. Studentesse soprattutto! Scienze dell'Educazione sembra il paradiso.
Ezio e Corrado si guardano meravigliati. Un'enorme quantità di gnocche è davanti ai loro occhi.
Roba da star male.
"Guarda la bionda, bergamino!"
"E tu guarda la ricciola: ha due poppe esplosive!"
E subito dopo ne spuntava una più bella ancora. E loro se la segnalavano. E ridevano. E facevano commenti.
Ezio sorride. Ma dentro di sé sale pian piano la solita sofferenza.
Ci è abituato ormai.
Persino quando stava con Gloriana aveva questo problema. Vedeva belle ragazze in giro e le confrontava con lei. Nella sua mente gli si formavano pensieri stupidi.
Guarda questa che super gnocca. E' ancora più bella di Gloriana. Chissà come sarebbe essere insieme a una così. Andare a casa. Farci l'amore. Passeggiare mano nella mano con lei.
E se lo diceva ai suoi amici di Grena questi lo insultavano.
"Ma come cazzo fai a pensare alle altre quando sei insieme a una come Gloriana? Ma allora sei proprio uno stronzo!"
"Tu non ti accorgi degli sguardi che ti lanciano i ragazzi quando sei in giro con la tua bionda. Sono sguardi pieni di invidia! E allora non rompere le palle a noi con questi tuoi pensieri stupidi!"
Ezio si rendeva conto che i suoi amici avevano ragione. Anzi a volte l'invidia la vedeva negli occhi dei suoi amici. E non li biasimava. Gloriana era proprio bella. E non faceva niente per nasconderlo. Porca vacca, metteva certi vestiti che avrebbero fatto arrapare un novantenne.
Era stato Maurizio, il buffone del gruppo, a uscirsene con quella frase che aveva colpito tutti. Il Rosso in modo particolare. Maurizio con i suoi capelli blu elettrico e la faccia simpatica.
Quella volta si era fatto serio e aveva detto:
"Vaffanculo Ezio. Tu sei insieme a una fuoriserie e hai il coraggio di lamentarti. E' proprio vero che quando si ha il meglio, si vorrebbe avere ancora di più. E' una delle ragioni per cui il mondo sta andando a rotoli."
Tutti l'avevano guardato. Tutti avevano compreso che quello che aveva detto era profondamente giusto. Ezio si sentiva una merda. Maurizio aveva ragione e lui doveva solo starsene zitto.
La sera si era addormentato pensando alle parole dell'amico. Si era ripromesso di non pensare più alle altre con insistenza. Lui amava Gloriana. Punto e basta.
Ma la vita a volte sembra fatta apposta per metterti alla prova. Per farti soffrire. Due giorni dopo aveva rischiato di fare una cavolata grossa.
Era gennaio. Era sul treno e stava tornando a casa. Le lezioni universitarie erano finite alle cinque, fuori c'era un buio pesto.
Il treno era appena partito da Milano. Il Rosso osservava i brutti palazzoni della città, che come sempre gli davano un senso di oppressione. Di soffocamento.
Meno male che abito a Grena. Con le mie colline e i miei boschi. Come fanno gli abitanti di Milano a resistere in mezzo a tutto questo cemento e smog?
La voce di Federica interruppe i suoi pensieri.
"A cosa stai pensando?"
Lui sorrise e le sfiorò una gamba:
"Sto pensando a come si fa a vivere a Milano. Certo che anche te che vivi a Bergamo non sei messa proprio bene. Non ti pesa vivere in città?"
Fede l'aveva guardato con uno sguardo ambiguo. Si erano conosciuti subito loro due. Il primo giorno di corso, sul treno. Due lunghissimi anni prima.
Il Rosso era rimasto colpito da quella ragazza. Non era bella. Aveva un mento un po' volitivo ed era troppo magra. Ma i capelli riccioli scompigliati e gli occhi la rendevano particolare. Gli occhi erano neri come la notte. E grandi, da perdersi dentro.
Quando la guardava, Ezio sentiva una vampata di calore che gli riscaldava le guance.
Lei era salita alla stazione di Bergamo e si era seduta di fianco a lui. Avevano subito rotto il ghiaccio: le parole da parte di entrambi erano uscite spontaneamente.
Il Rosso si era un po' perso per lei. In quei primi giorni di lezioni facevano coppia fissa e voleva chiederle se una domenica poteva andare a trovarla a Bergamo. Magari sarebbero potuti andare al cinema.
Una mattina aveva trovato il coraggio di dirglielo. E lei se ne era uscita con una risposta che l'aveva ammazzato.
"Mi dispiace Ezio. La domenica di solito esco con il mio fidanzato."
Il ragazzo ci era rimasto male. Molto male.
Ma guarda un po' questa qua che stronza è! Sono tre settimane che ci vediamo tutti i santi giorni e non mi ha mai detto che ha il moroso. Poteva dirmelo subito, almeno evitavo questa figura di merda!Gli era passata la voglia di parlare con lei. Ma aveva ancora mezz'ora di viaggio insieme. E le lezioni. Insomma tutta la giornata.
Aveva fatto finta di incassare bene il colpo. Anzi con indifferenza aveva chiesto se ci era insieme da tanto tempo a questo ragazzo.
"Da una vita. Dalla prima superiore. Sono ormai cinque anni che sto con lui" aveva risposto Fede. Ma mentre parlava c'era una luce strana nei suoi occhi. Ezio si era accorto che non c'era gioia nelle sue parole. Ma era arrabbiato come una bestia e non aveva dato peso a queste sfumature.
Poi erano passati i giorni. I mesi. Loro erano sempre assieme. Il Rosso ogni mattina aspettava con ansia che il treno arrivasse a Bergamo. Perché lì saliva lei.
Una volta aveva trovato il coraggio di chiederle come era questo fidanzato. Lei aveva sorriso e aveva detto:
"Giovanni non è bello. Non si può definire neanche carino. Ma lui mi fa sentire bene, mi tratta da regina e io ci sono molto affezionata."
Ma che cosa sta dicendo? Affezionata? Non è neanche carino? Ma allora ci sta insieme a fare? Ti affezioni a un tuo amico, non al tuo moroso. Il tuo moroso lo ami!Ezio avrebbe voluto dirgliele queste cose, ma si era chiuso in un silenzio rassegnato.
E i giorni erano passati, leggeri come le foglie. Si era chiuso il primo anno accademico. Il secondo e pure il terzo.
Loro due non si staccavano mai, anche i compagni di corso ormai li consideravano una coppia. Ma non si erano mai baciati. Niente di niente. Eppure il Rosso era convinto che anche lei provasse qualcosa per lui. Si sentivano spesso pure al telefono.
Poi era arrivata Gloriana. E il Rosso non aveva capito più niente.
Si era lasciato cullare dalle sue dolci forme. In un fantastico sonno ristoratore.
Federica lo vedeva più distante. Sembrava gelosa. Ma lui giustamente se ne sbatteva.
Hai avuto un sacco di tempo per iniziare una storia con me. Potevi lasciare il tuo fidanzato che non ami. E invece non ne hai mai avuto il coraggio. E allora, ciao ciao Fede, chi dorme non piglia pesci!
Quella sera di gennaio erano come sempre insieme sul treno. Avevano entrambi ventitré anni. Avevano tutta la vita davanti. Lei l'aveva guardato in modo ambiguo. Inchiodandolo al sedile con i suoi occhi neri aveva detto:
"Io e Giovanni abbiamo deciso di sposarci. A giugno mi laureo e a settembre mi sposerò."
Poi aveva sorriso. Ma non era un sorriso felice.
Il Rosso le aveva chiesto: "Ma è stato lui a chiedertelo?"
Lei nel rispondergli non l'aveva guardato negli occhi:
"Sì, è stato lui. E io gli ho detto di sì. Ma il bello è che da un po' di giorni ero in crisi nera. Stavo quasi trovando il coraggio per confessargli che non l'amavo più. O forse non l'ho mai amato! Volevo comunque dirgli che siamo stati insieme troppi anni. Che la nostra storia ci ha rubato gli anni più belli. Gli anni da fare liberi e spensierati, e che noi invece abbiamo trascorso come una coppia seria di trentenni.
Avevo quasi trovato il coraggio di dirgli che avevo il tremendo bisogno di provare un'altra storia, con un altro ragazzo. Può sembrare un'idea strampalata, ma io voglio provare un altro tipo di vita, perché non sono sicura che quella con lui sia la mia vita ideale. Non ne ho mai provato una alternativa! Che situazione di merda!"
Ezio era sconvolto. Non aveva mai sentito Federica dire parolacce. Sempre così fine e composta. Stava proprio male. Ma finalmente era riuscita a dire quello che pensava veramente.
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.