mercoledì 6 maggio 2020

ROMANZI. Lo zaino sulle spalle di Loris Finazzi.7


GIOVEDI' 1 LUGLIO 2006, ORE 11:00
Finalmente sono arrivati. E' una cascina bellissima, dispersa tra i colli in provincia di Verona.
Il proprietario è lo zio di Patrick, un uomo gentile che in settimana era passato al Centro a lasciare le chiavi.
Ezio parcheggia il suo pulmino nel prato davanti a casa, seguito a ruota da quello di Corrado.
C'è un sole spettacolare e tira un'arietta goduriosa. E' la prima gita ufficiale dei due obiettori ed entrambi sono entusiasti.
Sui due pulmini sono stipati tutti e dieci i ragazzi disabili. In più c'è anche Carla, che non ha fatto altro che sonnecchiare per tutto il viaggio. Adesso si è svegliata e già comincia a polemizzare sul posto. Il Rosso la guarda sorridente.
A questa qua non va mai bene niente. E guarda che occhi da sbarellata che ha dentro. Se la incontrassi per strada penserei sicuramente a una tossica in crisi di astinenza. Speriamo invece che abbia solo passato una notte insonne. Comunque nonostante le sue eterne polemiche mi sta simpatica. E io penso di piacerle.
L'ultimo elemento del gruppo gita è Pierangelo, l'educatore dagli occhi di ghiaccio. Ezio si ricorda che razza di ameba fosse il primo giorno che si sono sconosciuti, ma la presenza costante dei due giovani obiettori sembra averlo risvegliato dal suo torpore. Forse aveva proprio bisogno di una boccata di gioventù per fargli ritornare l'entusiasmo. Ha 48 anni, ma non li dimostra. E la sua criniera di riccioli è folta come quella di un ragazzino. La forte presenza di Ezio e Corrado adesso lo fa sentire anche giovane dentro.
Guarda i due ragazzi con i suoi occhi chiari e dice:
"Bene ragazzi, è ora di far scendere l'intera carovana. Qua non ci manca niente. Una bella cascina. Dei prati enormi. Un sole che scalda. Facciamo divertire i ragazzi!"
I due obiettori si guardano sorridenti. Sì, quell'uomo è decisamente cambiato.
Il Rosso  apre lo sportello posteriore del piccolo torpedone. Lui ha guidato il pulmino dei ragazzi in carrozzina. Sono in tre.

C'è Rubens, il ragazzo con quella strana sindrome che il bergamasco non riesce mai a pronunciare. Ha vent'anni e il suo problema principale è il sesso. I suoi discorsi sono sempre incentrati su quello.
Mentre Ezio lo sta mettendo a terra grazie alla pedana elettrica, Rubens si sta lamentando del fatto che lì sui monti non ci sarà nessuna gnocca da vedere. Parla a bassa voce e molto lentamente. L'obiettore suda sette camice per capirlo.
"Potevi portarmi al lago dove ci sono le tipe in costume!" Il Rosso sorride.
Cazzarola Rubens, non farmi venire la malinconia. Se solo potessi farti muovere un po' di più, ti porterei in capo al mondo. Ti farei vedere tutta la specie femminile al completo. Invece sei quasi paralizzato amico mio e non so se potrai mai fare l'amore con qualche ragazza.

C'è Alan. Lui è quasi un vegetale. Ha trent'anni ormai. Fino a cinque anni era un bambino normale. Poi un morbillo bastardo l'aveva fregato. Non l'aveva fatto esternamente come la maggior parte dei bambini.
Alan aveva preso una speciale forma di morbillo interno che gli aveva ridotto il cervello in poltiglia. Che sfiga.
Ezio lo guarda, gli parla del bel posto in cui sono capitati, ma il ragazzo non ha nessuna reazione.
Che devasto. Riuscirò mai a farlo sorridere?

C'è Aristide. La palla di lardo su due ruote. E' l'idolo di Ezio. Con la sua voce nasale assurda. Con le sue poche frasi ripetute continuamente. Con le sue manovre disinvolte sulla sua enorme carrozzina. Con il suo odore inconfondibile di sudore, che appena si muove le sue ascelle producono in quantità industriale. Con le sue grasse risate contagiose.
Aristide è fantastico. La pedana tocca terra. Lui con le manone si spinge sull'erba. Dà una piccola sberla sul culo del Rosso e inizia a scappare. Ezio fa finta di inseguirlo e gli promette botte da orbi. Le colline si riempiono del loro buonumore.

Il clima festoso cambia improvvisamente. Il bergamasco sente Corrado urlare:
"Porca puttana Ezio: non hai frenato la carrozzina di Rubens!"

All'inizio il Rosso non capisce il senso delle parole del bresciano. Poi si gira e la realtà lo investe come un pugno in pieno viso.
Rubens se ne sta andando giù per il vialetto di accesso della cascina. Le ruote della sua carrozzina stanno prendendo velocità. La faccia del ragazzo è puro terrore. In fondo il cancello è aperto. Oltre c'è la strada asfaltata. Poi c'è un muro di pietra.
Ezio sente un gran calore nella pancia. Le gambe sono molli, inconsistenti. 
Proprio come quando la notte gli capita di fare quegli incubi dove lui sta scappando da qualcuno. Quel qualcuno è indefinito. Non riesce mai a vedere il viso del suo implacabile inseguitore. Il Rosso scappa, con il cuore in gola. Riesce a procurarsi un bel po' di vantaggio. Poi le gambe lo tradiscono, diventano molli come il burro e lui cade a terra. Con la faccia sull'asfalto. Aspetta con rassegnazione il mostro. A questo punto si è sempre svegliato. In un lago di sudore. Con una sensazione di ghiaccio nelle vene.
Ma adesso non è il tempo di pensare a quell'incubo ricorrente.
Se arriva in fondo si schianterà sul muro. E si farà molto male. E io sarò nella merda.
Ha un flash. Lui in galera, seduto su un lurido letto con la testa tra le mani.
Ma adesso deve correre. E basta. Velocissimo si lancia giù per il pendio. Le gambe sono tornate quelle di sempre. Toniche, da vero atleta.
Intanto Rubens è quasi arrivato al cancello. Si accorge del muro oltre la strada. Chiude gli occhi e si prepara al peggio.
Se nessuno riuscirà a prendermi mi spappolerò su quelle pietre. Morirò senza aver mai fatto l'amore. Che tristezza.
La sua carrozzina supera il cancello. Ormai è quasi giunta al termine della corsa.
Ezio è disperato. Corre, corre, corre, ma non riesce ad avvicinarsi a Rubens. Anche lui supera il cancello. Rubens invece è vicino al muro.
Con la forza della disperazione l'obiettore si tuffa in avanti. Fa un gran balzo. Sembra Buffon che si tuffa tra le gambe degli avversari. Ma è un'uscita vuoto, purtroppo.
Le sue mani sfiorano appena le manopole di gomma della carrozzina. Ezio cade rovinosamente a terra. Sente un rumore terribile. Metallico.
E' la carrozzina di Rubens che si schianta sulle pietre. La faccia del bergamino tocca l'asfalto, come nei suoi terribili incubi.
Gli viene da piangere. Vorrebbe essere sui colli di Grena a correre con il suo cane Boz. Ma deve rialzarsi. Deve affrontare la realtà e subirne le conseguenze.
Alza lo sguardo e vede che la carrozzina di Rubens non si è ribaltata. La speranza inizia a diffondersi nelle sue vene.
Magari non si è fatto niente. Ti prego Dio fammi questo piacere. Adesso raggiungerò il ragazzo, lo girerò e mi accorgerò che ha solo un piccolo taglio. Ti prego, ti prego, ti prego.
Raggiuge la carrozzina. La gira. Il viso di Rubens è pieno di sangue. Ezio si mette ad urlare. Gli esce un verso stridulo, pieno di disperazione. Quasi un ululato:
"Scusami Rubens, sono un imbecille. Scusami, scusami, scusami!"
Intanto sono arrivati tutti gli altri. Corrado tenta di calmarlo, ma questa volta neanche il suo tocco magico riesce a fermare il panico dell'amico. Carla osserva Rubens e dice a Pierangelo di andare a prendere guanti in lattice e cotone.
Il ricciolo è una scheggia nonostante l'età. In un attimo ritorna. I due educatori si infilano i guanti e iniziano a tamponare il sangue.
La maglietta del disabile è rossa ormai. Ezio non urla più. Se ne sta completamente zitto a osservare le operazioni. Sembra in stato di trance.
Man mano che il sangue viene lavato via riappare il viso di Rubens.
Il Rosso sembra riemergere dal suo stato comatoso. Il naso del ragazzo non è rotto. Niente danni neanche per la bocca e i denti. Gli occhi illesi. Tutto quel dannato sangue zampilla da una ferita in piena fronte. Un unico lungo taglio, non troppo profondo, ricucibile con cinque, sei punti.
Grazie Dio. Tu sì che mi ascolti sempre. Grazie davvero.
Pierangelo guarda il bergamasco e gli sorride.
"Dai che è andata bene. Con tutto il male che queste pietre potevano fargli, si è fatto solo questo taglio. Adesso lo porteremo al pronto soccorso io e Corrado. Invertiamo i pulmini dell'andata e tu e Carla tornerete al Centro e spiegherete la situazione a Patrick."
Al pensiero di trovarsi davanti il coordinatore e confessargli quello che aveva combinato gli viene da vomitare.
Sono qua da due settimane e combino questa cazzata. Come minimo Patrick non mi vorrà più vedere al Centro. Raccoglierò i miei stracci e me ne andrò. Peccato. Il Centro Terre di Mezzo mi piaceva proprio.
Con un filo di voce si rivolge agli altri:
"Allora inizio a salutarvi adesso. Stasera sarò già sul treno verso casa. Giusto così, sono un vero cretino."
Pierangelo e Carla si guardano e scoppiano a ridere. Di gusto.
L'educatrice gli accarezza la guancia. I suoi occhi non sembrano più da tossica, sembra essersi ripigliata dalla sua pseudo crisi di astinenza.
"Ma che cavolo stai dicendo? Noi in tutti questi anni ne abbiamo combinato anche di peggio. Patrick ti farà un bel predicozzo, ma domani gli sarà passato tutto. I due fratelli di Rubens sono brave persone. Gli diremo come sono andate le cose e faranno in fretta a capire che tu sei qua da poco e non hai tanta esperienza. Vedrai andrà tutto bene. Adesso chiamo Patrick, almeno ti ammorbidisco un po' il terreno."
Ezio era quasi commosso. Era pronto a subire insulti da parte dei due educatori. Aveva trovato solo comprensione.
Persino Rubens sta sorridendo. Il sangue esce lentamente adesso.
"Per farti perdonare, mi dovrai presentare una gnocca da sballo!"
Ezio sorride a sua volta e ribatte:
"Le gnocche a me non mi cagano. Ti dovrai accontentare di ragazze normali."
Per un attimo pensa a Zoe. Poi riesce a scacciarla dalla mente. E' ora di mettersi in azione.


Pierangelo e Corrado rimettono i tre ragazzi in carrozzina sul pulmino bianco.
Il Rosso e Carla dicono ai restanti sette ragazzi di salire su quello grigio. Persino Marta, la tartarugona down, non fa tante storie. Ha visto che Rubens sta male e non vuole fare la difficile.
I pulmini scendono il vialetto e oltrepassano il cancello. Il bergamino salta giù per chiuderlo. Guarda in direzione della cascina.
Porca vacca, i ragazzi potevano divertirsi oggi. Per colpa mia se ne devono tornare al Centro. E Rubens deve andare all'ospedale.
Poi si gira verso il muro oltre la strada. Ci sono delle pietre appuntite che avrebbero potuto fare molto male. Poteva scapparci il morto.
Un brivido gli attraversa lo stomaco. Sente il sudore colargli dalle ascelle. In fretta chiude il cancello e con un balzo felino salta sul pulmino.
Guida Carla stavolta. Ezio è ancora troppo scosso per mettersi al volante. E poi il pulmino grigio lui non l'ha mai guidato. I ragazzi dietro sono silenziosi. Si sono accorti del casino che è successo, ma non hanno fatto troppe domande. Hanno visto che Rubens non sta poi così male e non si sono preoccupati più di tanto.
Carla sembra una donna diversa rispetto al viaggio di andata. Niente stati comatosi, ora è sveglia e attiva e continua a parlare. Il Rosso la guarda incuriosito.
Che tipa questa Carla. A volte sembra che non ci sia proprio con la testa. Ma quando succede qualcosa e c'è da prendere in mano la situazione, lei non si tira mai indietro. E oggi non si è neanche arrabbiata con me. Non è poi così male come vuol sembrare.
Decide di chiederle qualcosa della sua vita privata. Ha voglia di saperne di più di questa donna strana.
"E tu Carla sei sposata?"
L'educatrice lo guarda. Indecisa. Lei ha avuto una vita movimentata. Lavora al Centro da anni, ma non si è mai aperta con nessun collega. Solo Patrick sa tutto.
Quasi, quasi, gli racconto tutto. Questo ragazzo mi ispira fiducia. Oggi ha fatto una grande cavolata, ma è alle prime armi. Sì, è ora di raccontare la mia triste storia a qualcuno.
"In questa mezz'ora di viaggio cercherò di raccontarti tutti i miei casini. Se ti annoi, basta che mi fai un cenno e io starò zitta, ok?"
L'obiettore la guarda. Si mette seduto più comodo. Sorride alla donna e le fa:
"Sono tutt'orecchi!"
"Era il 1978, l'anno in cui la mia vita è cambiata. Era una domenica pomeriggio di ottobre. Ero fidanzata con un ragazzo del mio paese, un certo Michele. Un bravo ragazzo, ma io non ero innamorata. Eravamo troppo diversi: lui pensava troppo al lavoro, io facevo la quinta liceo e l'anno dopo volevo iscrivermi a Sociologia a Torino. Quella domenica in cui tutto cambiò stavamo discutendo per l'ennesima volta di questo.
Eravamo nel cortile di casa mia e urlavamo come matti. Lui continuava a ripetere:
"Ma perché te ne vuoi andare così lontana? Che bisogno c'è di fare l'università? Puoi trovarti un lavoro e tra due anni ci sposeremo!"
All'epoca non lo ammettevo ancora a me stessa, ma l'idea di sposarmi con lui mi faceva vomitare. Gli risposi a denti stretti:
"Che cosa vuoi sapere tu di università? Non sai neanche che cos'è la sociologia. Pensi solo a lavorare nella fabbrica di tuo padre e non sai neanche cosa sta succedendo in Italia. Scoppiano le bombe nelle città e a te non te ne frega un cazzo di niente!"

Michele stava quasi piangendo, non era la prima volta che lo ferivo con le parole e mai una volta che lui avesse minacciato di lasciarmi. Anche quella volta tentò di ricucire il rapporto:
"Dai non fare così, io non voglio che vai a Torino perché so che là ti troverai un altro ragazzo. Uno più intelligente di me. Ti dimenticherai presto del tuo Michele, ne sono certo. Mai io voglio sposarti! Io non voglio perderti!"

Le lacrime avevano iniziato a solcargli le guance. Fu la vista di quelle che presi la mia decisione. Non potevo andare avanti così. Non potevo stare insieme a una persona senza esserne innamorata.
Lo guardai dritto negli occhi e con voce calma gli dissi:
"Siamo troppo diversi per stare insieme. Io non sono più innamorata di te, era da un po' che te lo volevo dire. Non ha più senso andare avanti così. Mi dispiace Michele, ma è finita tra noi."
Lui si mise a singhiozzare e non ebbe la forza di dirmi niente. Si girò e scosso dai tremiti si avviò verso casa sua. Persino in quell'occasione non ebbe la forza di gridare la sua rabbia, di insultarmi, di farmi capire che era vivo. Se ne andò senza dire una parola. Io ero dispiaciuta nel vederlo distrutto.  Ma ero anche felice. Avevo finalmente trovato il coraggio di dire le cose come stavano. Avevo diciotto anni, ero una bella ragazza e la vita mi si apriva davanti come un libro colmo di novità.
Michele era appena scomparso dalla mia vista, che sentii il rumore della porta di casa che si apriva.
Era mia sorella. Vent'anni, minigonna, tacchi a spillo e trucco pesante. Pronta per andare in discoteca. Le volevo un gran bene, anche se lei in quel periodo aveva in mente solo di andare a ballare e rimorchiare i ragazzi.
Mi fece la proposta che mi cambiò la vita per sempre. "Ehi, se ne è finalmente andato quell'invertebrato del tuo moroso. Dai che oggi vieni con me in disco. Te li faccio conoscere io due  o tre tipi giusti!"
Mi aveva colta impreparata. Io odiavo l'ambiente della discoteca. Tutti vestiti a puntino, pronti a scegliere la propria preda, tipo al mercato del bestiame. Ma in quel momento avevo solo voglia della compagnia di qualcuno. Le amiche  se ne erano andate a un concerto a Milano. Io avevo cercato di convincere Michele, ma lui ovviamente si era rifiutato. Porca miseria per lui uscire dai confini di Verona era impresa impossibile. Così accettai la proposta di mia sorella.
Accesi il mio vespino marrone e lei saltò dietro. Con il vento che mi scompigliava i miei lunghi capelli andai incontro al destino.
Dentro la discoteca c'era un caldo bestiale. Ero lì da dieci minuti e già mi ero rotta le palle. E poi con il  mio vestito da hippy mi sentivo osservata da tutti.  Ero l'unica vestita in quel modo. Persino i ragazzi erano tutti tirati, non ce n'era uno che non avesse il gel sui capelli o la camicia. Mi ero pentita della mia scelta, volevo scappare. Essere fuori da quel posto così estraneo a me.
Poi lo vidi. E tutto cambiò.
Era dall'altra parte della pista. Svettava rispetto agli altri, era molto alto. Con i capelli lunghi fino alle spalle, riccioli. Gli occhi neri, penetranti.
"Ma quello è Jim Morrison!" ho pensato subito.
Era la sua copia spiaccicata. Lui non indossava una camicia, ma una maglietta dai colori psichedelici.
Anche lui mi notò e con passi lunghi si avvicinò. Io non gli toglievo gli occhi di dosso. Ero completamente rimbecillita.
Man mano che si avvicinava riuscivo a vedere  meglio il suo viso. Non era bello come il grande Jim. Aveva il naso più largo e una mascella pronunciata. Non era bello come sembrava da lontano insomma, ma io ne rimasi affascinata lo stesso.
Quel ragazzone trasudava sesso da tutti i pori. E poi quello sguardo. Deciso, forte. Quando quegli occhi neri mi si erano incollati addosso per la prima volta mi ero sentita sciogliermi dentro.
Tu caro Ezio hai lo stesso sguardo. L'ho capito subito quando ti ho visto per la prima volta al Centro. Chissà quante ragazze  hai fulminato con quegli occhi, vero ragazzo mio?"
Il Rosso si gira verso Carla e le sorride nervoso.
Cara Carla, ne avevo fulminata una e pensavo fosse quella giusta. Poi lei mi ha tirato una mazzata e io sono quasi morto.
L'educatrice  non si accorge del nervosismo del bergamasco. E' troppo concentrata sul suo racconto. Ha ancora un sacco di roba da raccontare all'obiettore. Con voce colma di emozione continua.
"Fu lui a parlare per primo. La musica era altissima e fu costretto ad avvicinare la sua bocca al mio orecchio.
"Che ci fa una tipa come te in un posto così squallido?" mi disse piano.
Io gli risposi subito, senza esitazioni. Gli raccontai la verità.
"Ho appena lasciato il mio ragazzo e non avevo voglia di starmene a casa da sola. Ma qua dentro mi sento una mosca bianca. Comunque anche tu non mi sembri proprio un animale da disco. Che ci fai qui?"
Il gigante Morrison sorrise.
"Avevo fatto una scommessa con un mio amico. Se l'avessi persa l'avrei dovuto accompagnare in questa discoteca ed aiutarlo a tampinare una ragazza che gli piace. Io ho perso la scommessa ed eccomi qua a rompermi le scatole. Ma almeno il mio amico è sui divanetti che si bacia con la tipa."
Poi mi prese la mano. La sua era grande e calda, accogliente. Mi guardò dritto negli occhi e io mi sentivo già persa in lui.
"Comunque io sono Giordano."
"Io sono Carla" balbettai.
Avevo le gambe molli e il cervello confuso. Più lo guardavo e più mi sentivo eccitata. Avevo voglia di abbracciarlo, baciarlo, uscire di lì e fare l'amore con lui in un prato. Anche se lo conoscevo da due minuti.
Un vero e proprio colpo di fulmine, caro Ezio. Ne hai mai provato uno?"
L'ho vissuto alla stazione di Montello, cara Carla. Ero semi addormentato in sala d'attesa e poi vidi una bionda da sballo e tutto il mio corpo si risvegliò improvvisamente. Da allora nonostante i miei sforzi quotidiani  non riesco più a dimenticarmi di lei.
"Lui non mi aveva ancora mollato la mano. Avvicinò la sua bocca al mio orecchio e sussurrò:
"Che ne dici se ce ne andiamo via da questo orribile posto? Ti faccio fare un giro sulla mia moto."
Come potevo dirgli di no? Gli sorrisi e accettai la sua proposta.
Cercai mia sorella e le spiegai la situazione. Giordano mi stava aspettando all'ingresso. Volevo uscire da lì il più in fretta possibile. Non sopportavo più la musica assordante, i corpi sudati, la nebbia artificiale che veniva sparata dal soffitto. Corsi dal mio gigantesco cavaliere e insieme ce ne andammo a iniziare una nuova vita.
Fuori il sole era caldo e io respirai a pieni polmoni. Lui aveva già acceso la moto, era una Minarelli rossa. Tu di sicuro non ne avrai mai vista una, sei troppo giovane. Io saltai dietro. Non gli feci nessuna domanda. Non sapevo dove mi avrebbe portata. Che intenzioni aveva. Se era un tipo raccomandabile.
Hai presente Ezio quando stai così bene che non te ne frega niente delle conseguenze delle tue azioni? Ero in stato di grazia e volevo solo vivere pienamente quel momento, senza pensare a nulla.
Mi sentivo liberata di un grosso peso. Un peso di nome Michele. Da tanto tempo stavo insieme  a lui per abitudine, non per amore. La pensavamo in maniera troppo diversa. E in quel momento mi trovavo sulla moto con un tipo che sembrava Jim Morrison, uno spirito libero. Un ragazzo non convenzionale, proprio come piaceva a me.
Mi portò fuori Verona e iniziammo a inerpicarci su per le colline. Giungemmo in uno spiazzo. Giordano fermò la moto e mi fece scendere. La vista era mozzafiato. Si dominava la città. Mi sentivo Giulietta. Al mio fianco il mio gigantesco Romeo.
Lui mi abbracciò e io mi sentii in Paradiso. Poi tirò fuori una cartina e io iniziai a capire cosa stava per fare. Una canna, voleva fumarsi una canna.
Tu non ci crederai Ezio, ma nonostante i miei vestiti hippy e i miei capelli lunghi fino al sedere, io non avevo mai toccato un cannone in vita mia.
Lui finì di rollarla e se la accese. Fece una lunga boccata e me la porse. Ero indecisa. Avevo paura. Le droghe mi avevano sempre fatto paura. Il fatto di poter perdere totalmente il controllo mi terrorizzava. Vidi la sua grossa mano. Il suo braccio muscoloso. Il suo torace che ispirava un sesso pazzesco. Il suo viso mascolino.
Accettai la canna e fu l'inizio della fine.
Mandai  subito giù il fumo. Ebbi un attacco di tosse fortissimo. Giordano rideva e io volevo sprofondare dalla vergogna.
"Non dirmi che è la prima volta che fumi!" mi disse.
Il suo tono ironico mi ferì a morte, tanto che gli ripresi la canna dalle mani e aspirai ancora più a lungo. Stavolta niente tosse, ma ebbi un capogiro spaventoso. Avevo paura di svenire. Lui mi fece sdraiare e iniziò a massaggiarmi la testa. Era bellissimo sentire le sue enormi mani sulla mia pelle, ma i miei capogiri aumentavano. Iniziavo a sentire un senso di nausea. Mi ero pentita di aver fumato quella maledetta canna. Che scema che ero stata, l'avevo fatto solo per la paura del giudizio di Giordano.
Le sue mani scesero sul mio seno, poi sulla pancia e infine lì, proprio lì caro Ezio. Scusa se ti dico queste cose, caro Ezio, ma ho deciso di raccontarti tutto, proprio tutto, ok?"

Il Rosso provava imbarazzo quando l'educatrice entrava nei particolari sessuali, ma aveva voglia di sentire come finiva la storia. Ormai si era appassionato a quel racconto. Si rese conto che iniziava a provare affetto per questa Carla.
Lei si accese una sigaretta e continuò a raccontare senza attendere la risposta del ragazzo.

"Ero balorda, mi veniva da vomitare, ma quando le sue  mani entrarono nelle mie mutandine provai solo un grande piacere.
Da quando l'avevo visto in disco desideravo quel momento. Sentimmo dei passi dietro di noi, stavano arrivando delle persone.
Ci tirammo in piedi velocemente, lui accese la moto e mi ordinò di salire. La mia testa intanto girava al massimo e con uno sforzo sovrumano riuscii ad aggrapparmi a lui.
Guidò da vero incosciente giù per i tornanti e poi entrammo in città fino ad un quartiere di periferia.
C'era un gruppo di case messe male. I muri crepati e la vernice scrostata. Giordano abitava lì.
Mi fece salire per una scaletta senza la ringhiera ed entrammo nel suo regno.
Un regno in decadenza. Porca vacca avresti dovuto vedere il casino che c'era lì dentro, caro Ezio. Un sacco di oggetti per terra. I vestiti appoggiati su un vecchio divano. Non c'era un letto, ma solo un materasso per terra.
Mi guidò verso il materasso, mi tolse la mia tunica indiana e facemmo l'amore. E nonostante la mia nausea, i miei capogiri, il sudicio appartamento, fu bellissimo.
Con Michele l'avevo fatto tante volte, ma in modo quasi meccanico. Senza la passione animale che sperimentai quella volta.
Lo facemmo due volte e poi crollai in un sonno profondo. Mi svegliò lui, erano le otto di sera.
Fuori era buio pesto. Era tardi, rischiavo una bella predica dai miei genitori. Giordano sorrise vedendomi preoccupata, mi caricò sulla sua Minarelli e mi riportò a casa. Lo feci fermare prima, non volevo che mio padre mi vedesse con lui.
Aveva idee un po' bigotte e non gli piacevano i ragazzi con i capelli lunghi. Dovevi vedere le sue facce quando mi osservava uscire con i miei vestiti stravaganti.
Baciai il mio Jim. Ero cotta di lui.
"Quando ci rivedremo?" gli chiesi, con un filo di panico nella voce.
Avevo il terrore di non rivederlo più. Ma lui mi rassicurò:
"Domani pomeriggio alle tre fuori dall'Arena."
Feci sì con la testa, felice. Lui diede gas e partì con la sua motoretta, sparendo dalla mia vista.
Come una scheggia corsi a casa. Facendo il più piano possibile mi infilai nella mia cameretta. Non sentii nessuna predica. Erano le otto e mezza e i miei stavano già dormendo.

A scuola il giorno dopo non c'ero con la testa. Pensavo al mio gigantesco cavaliere.
Finii le lezioni alle due, mangiai un panino e gironzolai per la città in attesa di Giordano.
Alle tre in punto ero seduta su una panchina davanti all'Arena. Porca miseria aspettai tre quarti d'ora. Avevo deciso di andarmene. Ero triste, ma non potevo buttare un intero pomeriggio.
Mi ero già incamminata, quando sentii il rombo della sua moto.
Caro Ezio, quanto ero felice di rivedere la sua bella faccia. L'arrabbiatura per il ritardo mi passò subito.
"Scusa Carla, ma ho avuto un impegno improvviso. Farò in modo di farmi perdonare. Salta su!"
Mi portò ancora nel suo quartiere fatiscente. Ancora la scaletta senza ringhiera. Ancora quel casino indecente. Ancora quel materasso bucherellato. Non feci caso alla carta stagnola che tirò fuori dalla giacca. La appoggiò per terra, in parte al materasso. Facemmo l'amore e fu ancora più bello della prima volta.
Alla fine ero senza forze, come il giorno precedente. Mi lasciai andare al sonno. Mi svegliai poco dopo.
Giordano stava armeggiando con un cucchiaino, lo stava scaldando con un fiammifero.
Che cosa stava facendo? Non riuscivo proprio a capire. Poi spuntò una siringa. E pure un laccio emostatico. Allora capii: Giordano era un tossico.
Volevo urlare, picchiarlo, scappare. Ma non feci niente di tutto ciò. Per qualche strano motivo ero ipnotizzata dai suoi movimenti.
Così lo osservai aspirare il liquido marrone con la siringa dal cucchiaino. Stringersi il laccio sul braccio. Picchiare su una vena per farla uscire. Infilarsi l'ago nella stessa vena.
Non dissi un bel niente caro Ezio. E non so neanche io il perché.
Così quando il mio Jim rifece l'intera operazione e la siringa fu nuovamente piena di quel liquido marrone, ci fu ancora silenzio da parte mia.
Giordano mi distese il mio braccio destro.
Silenzio da parte mia.
Si tolse il laccio dal suo avambraccio e lo strinse al mio.
Io non reagii.
Con le dita cercò una vena bella grossa. Avevo paura, ma anche una voglia matta di fare quella cosa.
Sentivo che stavo facendo una grande cazzata, ma il suo sguardo mi immobilizzava e non riuscivo a reagire.
Giordano mi infilò l'ago in vena. Ci fu un po' di dolore per il buco, ma poi l'eroina mi fece viaggiare lontano. Un'ondata di caldo e di piacere mi investì. Mi sdraiai su quel materasso lercio, seguito dal mio Jim.

Quel pomeriggio ha segnato la mia esistenza, caro Ezio.
Avrei potuto rifiutarmi, alzarmi e dire di no. Tu non ti rendi minimamente conto di quante volte ho pensato a quei momenti. Ma Giordano riusciva a esercitare uno strano potere su di me. Bastava che mi guardasse e io annullavo la mia coscienza. Per lui avrei fatto qualsiasi cosa.

Ormai fuori era buio. Ero ancora in mostruoso ritardo. Stavolta mio padre si sarebbe infuriato.
Con sforzo sovrumano ci tirammo in piedi. La motoretta rossa sfrecciò per la città con a bordo due cavalieri maledetti. Prima di salutarmi Giordano mi disse:
"Ci vediamo domani alle tre. Ancora davanti all'Arena."

Io lo baciai felice. L'avrei rivisto e magari avrebbe portato ancora quella sostanza marrone. Caro Ezio, l'eroina mi aveva già presa e io non me ne rendevo conto.
A casa fui fortunata. Mio padre era ancora al lavoro e io scappai in camera mia, con la scusa che avevo mal di testa. Mia madre e mia sorella mi guardarono solo un attimo, poi tornarono a guardare la tele.
Porco schifo, se solo ci fosse stato mio padre presente, sono sicura che si sarebbe accorto che c'era qualcosa di strano in me. Avrebbe notato i miei occhi devastati, la mia voce impastata. Avrebbe capito e me le avrebbe date di santa ragione.
Magari il giorno dopo io non sarei andata all'Arena ad aspettare il mio Jim e tutto sarebbe finito.
Ma il mio povero padre lavorava come un matto per permettere a me e a mia sorella di studiare e quasi tutte le sere tornava tardissimo. Peccato.

Gli occhi di Carla diventano umidi. Il Rosso pensa che stia per piangere e prova una gran pena per quella donna.
Questa Carla si sta confessando con me. Ma perché poi? Mi conosce da così poco! Quante deve averne passate. E mi sa che il bello deve ancora venire.
L'educatrice guarda il ragazzo che gli sta di fianco. Ma perché mai gli sta raccontando tutto, ma proprio tutto?
Queste cose le ho raccontate solo a Patrick, ma dopo tanto tempo che lo conoscevo. Che cosa sto facendo? Ma chissenefrega, questo bergamasco mi piace. Mi ispira fiducia. Sotto quegli occhi da duro nasconde un animo buono. E allora andrò fino in fondo con lui.
Carla cambia marcia, c'è un tornante da affrontare. Riprende la sua confessione. Per sentirsi più leggera. Per liberarsi di un peso.

"Il giorno dopo ci rivedemmo e anche il successivo e così via per una settimana intera. Lui arrivava all'Arena con le sue belle dosi di eroina, ce ne andavamo nella sua catapecchia a fare l'amore e a farci in vena. Era una settimana che lo conoscevo ed ero ormai una tossica. Tutto il mese di ottobre andò così.
Iniziai ad andare male a scuola. Proprio io che viaggiavo sempre con voti alti. Mi bastava stare attenta in classe e capivo già tutto, senza il bisogno di studiare a casa.
Ma l'eroina ti distrae da tutto, caro Ezio. Quando hai in mente quella tutto passa in secondo piano.
In quel mese collezionai brutti voti, ma ovviamente li tenevo nascosti ai miei. Se lo avesse saputo mio padre non mi avrebbe lasciato più uscire di casa. Lui che si faceva un sacco di ore di lavoro in più per permettere a me e a mia sorella di studiare.
Mi rendevo conto che stavo sputtanando la mia vita. Ci pensavo continuamente. Poi nel pomeriggio rivedevo il mio Jim e non pensavo più a niente. Volevo solamente fare l'amore con lui e poi sballarmi di eroina.
Intanto dimagrivo. Non mangiavo quasi più. La bella ragazza che ero stava scomparendo, per lasciare il posto a una faccia scavata, pallida e con gli occhi da pazza. Il mio Giordano invece era sempre lo stesso, lui non si sciupava neanche un po'. E io lo amavo sempre più.

Era l'inizio di dicembre. Arrivò con la sua motoretta davanti all'Arena. Mi disse:
"Fino adesso amore mio ti ho sempre portato la tua dose quotidiana. Ma i soldi non mi bastano più. Dobbiamo trovare il modo per farci qualche soldo extra."
Avevo sempre saputo che sarebbe arrivato quel momento. Lui lavorava soltanto la mattina. Andava in giro a vendere enciclopedie e la paga non era il massimo. Gli risposi:
"Non ti preoccupare, magari a scuola riesco a rubare qualcosina."
Così iniziai la mia carriera di ladra.
Durante le ore di educazione fisica e gli intervalli facevo passare un bel po' di portafogli.
All'inizio il senso di colpa mi divorava, poi me ne sbattei anche di quello. Pensa che non mi hanno mai beccata. Venti giorni di furti ininterrotti e poi arrivarono le vacanze di Natale.
Era la sera dell'antivigilia.
A casa coi  miei, il momento della cena. Nessuno parlava ed ero io la causa.
Un'ora prima il preside aveva chiamato e aveva spiegato la situazione a mio padre.
"Sua figlia non riesce più a prendere una sufficienza. Viene a scuola un giorno sì e uno no. Risponde male ai professori."
Mi ero subita la predica di mio padre e non avevo battuto ciglio. Stavo pensando che quella sera mi sarei fatta la mia seconda pera da Giordano e non vedevo l'ora.
Ormai non avevamo problemi di soldi. I miei furti sommati ai suoi ci permettevano di farci più volte al giorno. Lui era specializzato a rubare autoradio e biciclette.
Vedendo il mio menefreghismo mio padre era caduto in un mutismo inquietante. Non l'avevo mai visto così. Lui era sempre così allegro. Lui era sempre così affettuoso con me e mia sorella.
Mia madre aveva lo sguardo perso nel vuoto, non sapeva cosa dire.
Mia sorella tentava di avviare qualche discorso, ma le sue parole giravano a vuoto e nessuno le andava dietro. Poveretta, nonostante io in quei mesi non la cagavo neanche di striscio, lei aveva sempre cercato di parlarmi. Per capire se c'era qualcosa che potesse fare per aiutarmi. Ma io ero un muro di gomma. Non volevo farmi aiutare. Volevo andare avanti nella mia autodistruzione.
Avevo davanti un piatto di minestra. Io odiavo la minestra. Dovevo continuare a stare zitta, invece la sparai grossa. Dissi:
"Ancora questa cazzo di minestra per cena, che palle! Siamo proprio una casa di morti di fame!"

Mio padre diventò paonazzo in faccia. Picchiò i pugni sul tavolo. Lui che si faceva un sacco di ore di lavoro in più per le sue figlie. Lui che arrivava a casa distrutto fisicamente, si doveva subire le stupide lamentele di sua figlia? Mi guardò con occhi cattivi.
"Stupida ragazzina vai fuori da questa stanza. Ne ho pieni i coglioni del tuo atteggiamento. Vai male a scuola, non parli mai, te ne stai fuori tutto il giorno. Se vai avanti così non ti mantengo più e te ne andrai a lavorare!"
Mi impressionò soprattutto il fatto di sentire mio padre dire parolacce. L'avevo fatto proprio arrabbiare. Ma non chiesi scusa, né a lui, né a mia madre, né a mia sorella. Avevo solo voglia di rivedere Giordano e ficcarmi l'ago in vena. Così mi alzai e prima di uscire urlai:
"Se ti do fastidio, me ne vado via da questa merda di casa! Mi avete rotto il cazzo!"
Andai di sopra e riempii il mio zaino con un po' di vestiti. Ero accecata dalla rabbia, anche se dentro di me sapevo che ero in torto marcio. Scesi in cortile, inforcai il mio vespino e affrontai il freddo pungente.
In venti  minuti arrivai sotto casa di Giordano. Lui non c'era. Mi appoggiai alla lurida porta dell'appartamento e scoppiai a piangere. La mia vita stava andando a rotoli e io non stavo facendo niente per cambiarla.
Passò mezz'ora e lui non arrivava. Stavo congelando. Iniziai a prendere a calci e pugni la porta.
Ero una ragazzina disperata che non sapeva più cosa fare. Poi sentii le sue grosse mani sulle mie spalle. E il suo abbraccio. Come sempre la vista di Giordano riusciva a farmi dimenticare tutto.
Lo guardavo e dimenticavo tutta la merda  in cui stavo annegando. Gli raccontai tutto e gli chiesi di poter dormire da lui.
Il mio Jim accese la stufa e mi disse:
"D'ora in poi resterai qui da me. Io ti amo e voglio averti qua con me in qualsiasi momento."

Poi tirò fuori l'eroina e ci facemmo.
Esausta caddi sul materasso e mi addormentai. Quella fu la mia prima notte nella tana di Giordano.
Per mesi non tornai dai miei. Non andavo  niente più a scuola. Mio padre non sapeva dove dormissi e non sapeva dove venire a cercarmi.
Una domenica di fine gennaio ero in giro con Giordano. Eravamo due zombies, avevamo appena fumato una canna e stavamo andando a casa per farci una pera.
Vidi mio padre che camminava da solo, con lo sguardo vigile. Mi stava cercando.
Provai una gran pena per lui. Un povero padre che gira disperato in cerca di sua figlia tossica. Mi venne da piangere.
Con la Minarelli rossa gli passammo accanto. I nostri occhi si incrociarono. Aveva uno sguardo spento, di un uomo che ha perso la gioia di vivere.
Provai l'impulso di saltar giù dalla moto, di abbracciarlo e chiedergli perdono. Ma non feci niente di tutto ciò.
Lo guardai ancora un po', poi Giordano svoltò e mio padre scomparve.
A casa affogai la mia angoscia nell'eroina. Tempo due ore e avevo già dimenticato l'espressione disperata di quel pover'uomo.
Giordano conservava miracolosamente il suo lavoro con le enciclopedie. Io non so come facesse, ma lui riusciva a mantenere il suo bell'aspetto. Io invece ero ridotta a uno scheletro e avevo perso pure due denti. Ero un vero schifo. La bella ragazza che ero non esisteva più.
Qualche bici la riuscivo a rubare ancora e Giordano qualche autoradio, ma erano stati arrestati parecchi del nostro giro e noi non rischiavamo più di tanto. Così mi diedi all'accattonaggio.
Tu non immagini neanche, caro Ezio, quanti soldi riuscivo a raccogliere. Mi inventavo mille scuse. La stazione era il mio regno.
"Scusi, ho perso il biglietto. Non è che avrebbe cento lire?"
"Scusi, sono appena uscita dal carcere e non ho neanche i soldi per u  panino."
"Scusi, mi hanno rubato il portafoglio e non ho soldi per tornare a casa."
Li riconoscevo al primo sguardo quelli buoni. Quelli che si sarebbero fatti intenerire dalla mia faccia scavata. Dai miei occhi azzurri sofferenti. Sotto sotto mi dispiaceva fregarli, ma poi pensavo all'eroina che mi sarei comprato con quei soldi e il rimorso spariva. Tra il lavoro di Giordano e la nostra specialità di raccolta fondi, potevamo permetterci tre pere al giorno. La nostra intesa sessuale si era quasi azzerata, non facevamo quasi più l'amore. La droga ci stava risucchiando tutte le energie.

La sera di Ferragosto successe il casino.
In piazza Bra' c'erano i fuochi d'artificio. C'era una folla assurda. Giordano era eccitato. Disse:
"Stasera ci facciamo un bel guadagno. Con questo casino possiamo rubare un bel po' di soldi."
Io lo guardai preoccupata. Non eravamo degli esperti dello scippo, anzi secondo me era troppo rischioso. E poi sentivo strane sensazioni.
Hai  presente Ezio quando sai già che succederà qualche cosa di brutto? Ecco io quella maledetta sera di Ferragosto mi sentivo tutta strana. Glielo dissi, ma il mio Jim era spavaldo come il solito.
"Non ci succederà niente, vedrai. Anzi facciamo così. Tu aspettami in quel bar là in fondo. Sei troppo agitata e rischi di farti prendere. Tra mezz'ora ti raggiungerò e coi soldi andremo a divertirci."
Nonostante il suo sorriso sicuro io non mi tranquillizzai. Me ne andai al bar, con un groppo in gola.
Furono i trenta minuti più lunghi della mia vita. Decisi di uscire fuori. Giordano tardava ad arrivare.
Era quasi passata un'ora e di lui non c'era traccia.
Presa dal panico mi buttai nella folla. Non lo trovai. Iniziavo a sudare freddo, mi veniva da piangere.
Poi lo vidi. Insieme ai lampeggianti blu. Proprio sotto l'Arena. La polizia se lo stava portando via.
Io ero dalla parte opposta, ma quella scena non me la dimenticherò più. Me la porterò nella tomba.
Il poliziotto gli teneva giù la testa per farlo entrare nella macchina.
Stranamente Giordano non opponeva nessuna resistenza. Sembrava rassegnato al suo destino. Lo vidi guardare la folla per cercarmi. Poi la divisa blu sbatté la portiera e il viso del mio Jim scomparve.
Iniziai a correre. Ero angosciata. Non mi accorgevo delle persone che urtavo, dei loro insulti. Volevo raggiungerlo. Buttarmi sotto la macchina per fermarli. Ma arrivai troppo tardi. L'Alfa bianco-blu era già lontana.
Feci in tempo solo a vedere la luce dei lampeggianti che spariva dietro l'angolo.
Non sapevo cosa fare. Sarei dovuta correre in questura, ma ero annientata dal dolore. Sentii il bisogno estremo di farmi. Con l'eroina nelle vene avrei affrontato meglio la realtà, mi dissi nella mia mente da tossica.
Ma come avrei fatto a procurarmi la roba? Non avevo lo straccio di un soldo in tasca!"

Carla si gira verso il Rosso. Ha uno sguardo strano, sembra imbarazzata. Con tono calmo dice:
"Adesso ti dico una cosa che non ho mai detto a nessuno. Proprio a nessuno. E' un peso che mi porto dietro da anni. Voglio liberarmene. Quello che ti dirò resterà chiuso in questo pulmino, ok?"
Ezio affronta lo sguardo azzurro dell'educatrice. Le mette una mano sulla spalla e la stringe.
"Non ti preoccupare. Tutto quello che mi hai detto e mi dirai resterà fra me e te. Puoi fidarti."
Però ho una paura fottuta di sentire quello che mi dirai.
Il pulmino procede a bassa velocità. Carla continua la sua confessione.
"Senza soldi come avrei provveduto a farmi? Il mio cervello era in panne. Non volevo pensare a quella cosa lì. Ma in un angolino della mia mente premeva per uscire la soluzione più devastante.
Il richiamo della droga sovrastò tutto.
Decisa mi diressi al cimitero. Sai dove è il cimitero a Verona? E' proprio dietro l'università, non lontano dal nostro Centro Terre di Mezzo.
Ero esausta e ci misi una buona mezz'ora ad arrivarci. Nel tragitto a piedi tentavo di raccogliere le mie ultime forze per dissuadermi a fare quella cosa. Come al solito la mia forza di volontà risultò nulla. In quei mesi la roba aveva annientato la mia personalità. E io non facevo niente per oppormi.
Ero sul vialone alberato. C'erano prostitute nere e dell'est Europa. Quella sera non c'era nessuna tossichella a battere. Io che le avevo sempre prese in giro.
Dicevo al mio Giordano che quelle avevano toccato il fondo. Prostituirsi per droga. Io non l'avrei mai fatto. Piuttosto smettevo di farmi. Proprio così gli dicevo.
Ed invece eccomi lì. A vendere il mio corpo per una pallina di eroina.
Guardavo le povere ragazze straniere e provavo pena per loro. Forse avevamo qualcosa in comune. Loro erano costrette a prostituirsi per colpa di un magnaccia bastardo. Io per colpa della droga.
Tu mi potrai dire, caro Ezio, che non è proprio così. Che uno sceglie di farsi. Ma a volte ti ci trovi dentro senza rendertene conto. E uscire da quella vita di merda diventa quasi impossibile.
Comunque eravamo in sette, otto sul quel vialone alberato. Le macchine arrivavano scegliendo la loro preda.
Arrivò un super macchinone. Colore nero. Il conducente non ebbe nessuna esitazione, si fermò subito da me. Ero terrorizzata, volevo scappare. Lui tirò il finestrino.
"Ciao bella. Quanto vuoi per un pompino?"
Non era il vecchio bavoso panzone che mi ero immaginata. Era un uomo affascinante, sui cinquant'anni. Aveva lineamenti delicati e la pelle abbronzata. I capelli brizzolati. Vestito con un completo elegante. Di sicuro era un uomo d'affari. Subito pensai che potevo spararla grossa. Quello di sicuro non aveva problemi di soldi.
"Voglio centomila lire."
L'uomo mi aprì la portiera. Entrai in quella macchina spaziale. Notai subito che aveva la fede al dito. Era un uomo sposato. E se ne sarebbe tornato tranquillo dalla moglie dopo che una tossichella lo avrebbe ciucciato per bene. Che schifo. Provai l'impulso di scendere. Nella mia mente mi si era formata l'immagine dei suoi figli.

"Magari ha pure un figlio piccolo" pensavo "e dopo tornerà a casa e giocherà tranquillo con lui."
Per l'ennesima volta il pensiero della droga vinse su tutto. Richiusi la portiera. Lui fece inversione e si diresse verso l'autostrada. Io non parlavo. Ero sprofondata in quel sedile gigantesco. Dove mi stava portando?
Ricordo ancora il profumo di quell'uomo. Un profumo molto sensuale, che avrebbe fatto impazzire molte donne. Porco schifo che cosa ci faceva un tipo così con una tossica? Che cosa lo spingeva a fare una cosa del genere?
Poi lui si girò e con la sua voce profonda mi disse:
"Ti darò il doppio, duecentomila lire. Però il pompino me lo farai mentre io guiderò. Appena entrati in autostrada inizierai il tuo lavoro, ok?"
Rimasi sconvolta dalla sua richiesta. Quello era un depravato. Ma con duecentomila potevo comprarmi un bel po' di roba, e a quel pensiero tutto perdeva importanza.
La sbarra del casello si tirò su. La macchina spaziale fece il suo ingresso in autostrada. Io mi chinai su di lui e feci quello che dovevo fare. Ci vollero dieci minuti per concludere il lavoro. Quel bastardo non veniva più. Furono i dieci minuti più lunghi della mia vita. Mi veniva da vomitare e, caro Ezio, mi sarebbe proprio piaciuto vomitare addosso a quel maniaco. Ma non so come, finii quella porcheria e mi tirai su.
Il depravato uscì al casello successivo. Sembrava soddisfatto, aveva un'espressione pacifica in faccia. Io invece sentivo un sapore schifoso in bocca e volevo sparire. Mi sentivo una squallida puttanella e avrei voluto piangere sulla spalla di Giordano. Ma lui in quel momento era in prigione e la sua ragazza invece di aiutarlo era in macchina super lussuosa con un maniaco.
Vicino al cimitero mi diede le duecentomila lire. Tirò fuori dalla tasca un fermacarte d'oro pieno di banconote di grosso taglio. Porca miseria, caro Ezio, quello doveva avere un casino di soldi.
Con il mio bottino scesi dalla macchina e lo guardai. Volevo insultarlo e poi scappare. Ma non aveva più un'espressione rilassata. Anzi i suoi occhi erano angosciati. Come se si fosse reso conto che per l'ennesima volta era caduto in trappola. Vittima della sua perversione. Forse io e lui non eravamo poi tanto diversi. Succubi dei nostri vizi. Non gli dissi niente e lui ripartì."

Il Centro Terre di Mezzo ormai non è lontano. Un quarto d'ora e sarebbero arrivati.
Carla sente la morsa del tempo stringerle la gola. Deve assolutamente finire il suo racconto. Già si sente molto meglio adesso. Ma c'è da completare l'opera.
Si gira verso Ezio e gli dice:
"Tra poco saremo al Centro. Ho ancora un bel po' da raccontarti. Dovrò essere veloce, ma ce la farò. Grazie per aver ascoltato con pazienza le mie pazze storie."

La donna torna a guardare la strada. Con la mente torna a quei tempi lontani.





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