mercoledì 29 maggio 2024

RIFLESSIONI. Le mele di Pierino

 



FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" febbraio 2024.
Articolo: "Le mele di Pierino" di GIANCARLO BREGANTINI Arcivescovo emerito di Campobasso-Bojano.

C'è differenza tra vedere e intravedere. Perché sa intravedere solo chi nutre uno sguardo fiducioso sulla gente, sui luoghi, sugli eventi.

Non dimenticherò mai la risposta di mio fratello Pierino, tipo arguto e operativo, all'inizio del mese di gennaio di alcuni anni fa, mentre guardavamo insieme gli alberi di mele, spogli di frutti e ricoperti di neve.
Alla mia domanda: "Come andrà il raccolto di quest'anno?", lui con schiettezza rispose: "Ma come, non vedi? Andrà benissimo, basta vedere le tantissime gemme sui rami delle piante!"
E' questo che fa la differenza nella vita: lo sguardo.
C'è chi si ferma alle foglie secche e alla neve. E chi, invece, da vero contadino, sa già intravedere su quegli stessi rami il raccolto abbondante  dell'autunno.
Il verbo  centrale della vita  è proprio "intravedere".
Tutti infatti sanno vedere, ma pochi sono capaci di intravedere.
E', in fondo, anche quello che viviamo all'inizio di un anno nuovo: come andrà il 2024? Tutto dipende dal tuo sguardo, non dalle cose che farai.
Se saprai andare al nocciolo delle cose, con l'aiuto del dono dell'intelletto (regalo dello Spirito Santo!) tutto cambierà. Non ti fermerai più alle foglie, perché saprai intravedere, già sui rami secchi, un raccolto pieno di grazia.
L'arte di saper intravedere, andando al di là delle cose, è l'arte dell'educare del maestro. E' l'arte del confessore che sa guardare nel cuore del suo penitente, carico di peccati ma ricco di grazia, poiché dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia (come dice Paolo, nella Lettera ai Romani da me tanto amata).
E' l'occhio della mamma che guarda il neonato e ne intuisce l'immensa potenzialità. Ecco, è proprio questo  che ho augurato alla mia gente del Molise, all'inizio dell'anno 2024, quando ho chiesto loro: "Restate quello che siete!"
Regione piccola e umile, il Molise, ma fiera e consapevole della propria tipicità, capace di produrre segni di luce e di sviluppo per il nostro futuro.
Senza copiare da altre regioni vicine. Poiché è vero che siamo, in Molise, come un quartiere di Roma per numero di abitanti, ma assomigliamo di più al Canton Ticino, in Svizzera, per territorio e montagne e cultura e ambiente.
E' un paragone sconvolgente, lo so. Ma non è l'aspetto numerico a fare da criterio di verità, bensì la nostra identità specifica!
Da riscoprire, come ho chiesto di fare agli insegnanti di  religione, invitandoli a riscrivere con i loro ragazzi la storia locale come storia di salvezza, per ritrovare le potenzialità nel cuore della nostra cultura.
Allora, i borghi antichi diventano piccole Nazaret, paesino disprezzato (cfr Gv1,46) ma fresco di grazia e di benedizione. Tutto cambia se cambia il nostro modo di guardare alla nostra identità.
Esempi eloquenti: il parroco che non acquista il suo camice  liturgico in un chiacchierato negozio romano ma se lo fa ricamare a tombolo, da tessitrici locali molisane (che si fanno così  imprenditrici!). O i nostri giovani che preferiscono serene tavolate di festa nella piazza del paese alle chiassose  movide  cittadine.
Allora perfino le api si spanderanno nel cielo azzurro, seguite dagli occhi dei nostri carcerati che ormai sanno coltivare anche gli apiari di comunità, come avviene a Castel del Giudice, dove le vecchie stalle in pietra sono state trasformate in residence di alta classe e vaste piantagioni di "Melisia", cioè mele su nuovi innesti, stanno coprendo  le campagne della zona, con un prodotto  tipico innovativo.
Non c'è più allora un paese che piange (come tanti altri) lo spopolamento, ma uno che richiede manodopera da fuori, anche da immigrati accolti come un dono, perché la tipicità, ben difesa, sta restituendo dolci frutti culturali ed economici anche ai  nostri borghi di montagna.
Questo è il vero cammino di Nazaret! Questa è proprio l'arte dell'intravedere, con sguardo lungimirante!

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