mercoledì 9 gennaio 2019

RACCONTI. Angeli e santi in volo


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" dicembre 2018.
Articolo: "Angeli e santi in volo" di ANTONIA ARSLAN.

Lo zio Ildebrando andava molto fiero del suo nome, così risonante e battagliero, anche se tutta la famiglia, compresa sua madre, lo chiamava semplicemente Brando.
"Ma il brando, cioè la spada - spiegò una volta a me bambina curiosa - ha un bel suono bellicoso, non ti pare?".
Io fui subito d'accordo, lui mi pareva un personaggio straordinario: era un pilota, un comandante, guidava i grandi aerei fino in America e in Estremo Oriente.
Quando veniva da noi a Padova portava regalini esotici per tutti, rideva volentieri e raccontava storie meravigliose.
Tutta la famiglia era appassionata di aviazione: nonno Carlo, ingegnere visionario, aveva costruito un idrovolante, due dei suoi figli erano diventati piloti negli anni Trenta, e perfino la figlia, mia madre Vittoria, aveva cominciato, e conservava con cura e nostalgia, il suo libretto di volo.
Zio Brando era un uomo di grande esperienza, noto per la flemma e il sangue freddo che conservava in qualsiasi occasione. Ma ci fu una volta in cui queste doti gli furono particolarmente necessarie.

In un sera di dicembre doveva atterrare a Linate, l'aeroporto di Milano.
Una fitta nebbia pesava sulla pianura padana. La visibilità era quasi nulla, bisognava affidarsi al radar: purtroppo le indicazioni che lo zio ricevette dalla torre di controllo erano errate, sicché lui - mentre scendeva - si trovò improvvisamente in vista... di un bosco della Brianza! Era troppo tardi per riprendere quota, e così decise di proseguire  la discesa diritto attraverso gli alberi, che servirono a rallentare la corsa e infine a fermarla. Le ali dell'aereo furono danneggiate dall'impatto coi rami, ma il veivolo riuscì a posarsi per terra praticamente senza altri danni.
Ricordo che il giorno dopo fummo informati per telefono dallo zio, che arrivò verso sera. Mia madre lo abbracciò piangendo di gioia, a noi bambini pareva un eroe. Era stanco e stropicciato, con la barba lunga e la giacca coi fregi dorati sporca, con una tasca scucita che pendeva tristemente.
Gli saltammo tutti addosso per farci raccontare tutto, ma la vecchia Gigia ci cacciò subito via, gli mise davanti una minestra calda e gli prese la giacca per ricucirla, non le pareva buona cosa che il comandante girasse in disordine.
Lui pareva distratto. Si frugò nell'altra tasca, prese qualcosa ma non ce lo fece vedere; poi lo diede alla mamma, che gli sorrise. Noi eravamo pazzi di curiosità, ma sapevamo bene, per lunga esperienza, che avrebbero parlato solo al momento opportuno, cioè dopopranzo; e quindi ci limitammo a sussurrare tra noi mangiando le deliziose crocchette della Gigia.

Ma quando zio Brando finalmente si sedette in poltrona e ci guardò con intenzione, avemmo la nostra sorpresa.
La cosa misteriosa che aveva in tasca e che infine ci mostrò, aprendo lentamente la mano, era un'immagine sacra racchiusa in una bustina un po' logora, con tante figure svolazzanti in un cielo colorato.
Con  molta attenzione, tolse il cartoncino dalla busta e ci mise davanti agli occhi una "storia celeste", come ci ripetè un paio di volte.
Quando prese il brevetto di pilota, sua madre, la devota nonna Virginia, gli diede quel quadretto, che era stato benedetto in modo specialissimo, ordinandogli di tenerlo sempre con sé.
La scena si svolgeva in cielo, tra nuvole d'oro, con tantissimi angeli in varie pose a far da contorno alla Madonna, che lasciava cadere il Bambino verso Antonio che saliva verso l'alto, pronto ad accoglierlo con le braccia allargate, sulle quali erano già pronte le fasce bianche per avvolgerlo.
Alla nonna questa scenetta di fiducia divina e di amore sovrumano sembrò la più adatta a custodire quel suo figlio che di mestiere "vagava per l'aria". E a noi piacque molto tutto quel volare di angeli e santi, quella santa allegria che aveva protetto il  nostro zio preferito.



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