FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" gennaio 2021.
Articolo: "Come vivere la sofferenza?" di LUCETTA SCARAFFIA.
No, non è solo un problema di mascherine messe male, di assembramenti, di posti letto che mancano: il problema vero è che siamo circondati dalla sofferenza. Quella dei malati negli ospedali, nella solitudine delle case dove non entrano più nemmeno i medici, dei malati di altre malattie che non vengono più curati. Ma anche la sofferenza della solitudine dei nonni che non vedono i nipoti, dei bambini e dei ragazzi che incontrano troppe difficoltà per giocare con gli amici, per fare apprendistato di relazioni umane, innamorarsi e soffrire per amore, competere con gli altri in uno sport... Ed è aumentata la sofferenza di coloro che già soffrivano, come i migranti: a tutti gli altri pericoli si è aggiunto quello del contagio e della eventuale malattia senza protezioni.
Siamo stati svegliati bruscamente, neppure un anno fa, da questa ondata di sofferenza. Non che prima la sofferenza non ci fosse, ma era tenuta ai margini, e si faceva finta che fossimo sul punto di vincere ogni malattia, ogni dolore, grazie alla scienza.
Vivevamo in un mondo in cui ci facevano pensare di essere liberi di realizzare ogni desiderio, di andare dove volevamo a prezzi ragionevoli, di vestirci sempre di nuovo, anche se sempre più spesso di "stracci" cinesi.
Soprattutto pensare che potessimo non invecchiare mai, continuare fino a tardissima età a divertirci e a provare piacere, l'unico vero obiettivo che la società ci proponeva come apprezzabile, piacere che si traduceva, in pratica, nel consumare sempre di più.
Adesso che non possiamo più viaggiare, che non ha senso comprare vestiti se dobbiamo stare in casa, la sofferenza ci invade senza difese. Siamo di nuovo di fronte al problema che ha sempre angosciato l'umanità: perché c'è la sofferenza? Perchè tante persone devono soffrire più di altre? Che cosa possiamo fare per affrontarla?
Siamo messi a nudo di fronte a una realtà che non volevamo vedere: la scienza non basta per sconfiggere il dolore, la realizzazione dei desideri non ci porta la felicità. E, soprattutto, la condizione umana non è all'interno di un processo di continuo miglioramento.
Pensare alla sofferenza, a come spiegarla, a come viverla, a come condividerla, è il tema al cuore di ogni religione, e in particolare del cristianesimo che si fonda sulla passione di Cristo, cioè su una sofferenza offerta per noi.
Ma sembra che l'abbiamo totalmente dimenticato: parlare di sofferenza, come del resto parlare di morte, è passato di moda anche negli ambienti clericali. Che preferiscono riempirsi la bocca di termini "in positivo", come amore, condivisione, fratellanza. Atteggiamenti necessari, ma che per essere autentici devono affrontare la questione di fondo: come vivere la sofferenza? Affrontare questo problema vuol dire mettere in discussione la concezione ampiamente diffusa oggi che la vita valga la pena di essere vissuta solo se fonte di piacere.
Questo vuol dire domandarsi il senso della vita, questione che da troppo tempo la società aveva rinunciato a porsi. Dobbiamo tornare a riflettere sullo scandalo delle beatitudini evangeliche, che rovescia il mondo, soprattutto il nostro, attestando che si può trovare senso anche nell'assurdo del dolore, nell'invivibile della persecuzione, della violenza subita, di situazioni di dolore alle quali non sappiamo porre rimedio. Le beatitudini diventano rivelazioni della vita che ci è possibile se troviamo radici nell'umanità di Gesù.
E' questo il cambiamento profondo, che sta agendo nel nostro mondo, che ci sta portando verso un mondo nuovo, speriamo migliore. Sta a noi comprenderlo e indirizzarlo.
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