FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" febbraio 2021.
Articolo: "Stanchi della pandemia" di ROBERTA VILLA.
Dopo un anno in cui covid-19 ha monopolizzato il discorso pubblico e privato condizionando le nostre vite, una reazione di rifiuto è naturale. Attenzione che non ci si deve, però, far abbassare troppo presto le armi.
La pandemia è probabilmente l'evento di maggior impatto a livello globale dalla Seconda guerra mondiale. In meno di un anno ha già provocato nel mondo oltre cento milioni di casi documentati e due milioni di morti dirette, a cui vanno aggiunte le tante vittime per cause indirette, ancora difficili da calcolare, per esempio per le conseguenze delle misure di contenimento o per la difficoltà di accesso alle cure.
Anche una volta guariti, molti pazienti portano poi a lungo i segni della malattia: stanchezza, depressione, difficoltà respiratorie, disturbi neurologici.
La gravità della situazione è evidente, eppure cresce il numero delle persone che non la vuole vedere. Qualcuno parla di pandemic fatigue, stanchezza da pandemia, altri mettono in guardia dal rischio di "obnubilamento psichico". "Usiamo questa espressione quando a un'informazione non si associa alcuna reazione emotiva" spiega Paul Slovic, docente di psicologia all'Università dell'Oregon. Si verifica, cioè, quando, in qualche modo, diventiamo impermeabili alle emozioni che un fatto ci dovrebbe provocare.
A molti, forse alla maggior parte di noi, il bollettino dei nuovi casi, dei ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, che ogni sera ci viene fornito, non suscita più lo sgomento di qualche mese fa. E' brutto dirlo, ma è come se fossimo abituati. Ci colpisce di più un incidente aereo in cui perdono la vita una cinquantina di persone, meno della metà di quelle che covid-19 si porta via ogni giorno in diverse regioni italiane. E questo perché l'evento è straordinario, mentre la pandemia, purtroppo, è entrata nella nostra quotidianità e ciò cambia la nostra percezione del rischio che essa comporta, come tutto quello che ci è familiare.
Il termine "obnubilamento psichico" - in inglese psychic numbing - è stato coniato da uno psicologo e psichiatra dell'Università di New York, Robert Jay Lifton, dopo aver intervistato diversi sopravvissuti alla bomba atomica su Hiroshima. In quel caso, chiudersi all'emozione era un modo per difendersi e poter tornare a vivere.
C'è però un punto di svolta in cui quello che è un naturale meccanismo di adattamento diventa preoccupante, o addirittura patologico. E', ad esempio, il caso in cui il distacco emotivo è sintomo di un disturbo da stress post-traumatico (PTSD).
Quando il pericolo persiste, come nel caso della pandemia, l'incapacità di partecipare emotivamente a quel che accade può poi sconfinare in una negazione della realtà che porta ad assumere comportamenti potenzialmente pericolosi per sé e per gli altri. Se ci accorgiamo che è così, occorre inserire la marcia della razionalità, riflettere sui dati obiettivi, continuando, nonostante la fatica, a cercare di proteggere se stessi e chi ci sta vicino.
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