martedì 28 gennaio 2025

SERGIO. I miei ventun giorni in clinica.

 



Sono entrato in Clinica S. Francesco con le ginocchia doloranti e le gambe gonfie.
Dicembre è stato penoso, perché non potevo fare le mie solite camminate e questo ha causato un bel aumento di peso.
Sono passati quattro anni da quando mi hanno diagnosticato il Parkinson qui in clinica.
Anni pieni di entusiasmo di fare le cose e di realizzare  qualche sogno nel cassetto.
Il mio scomodo compagno di viaggio è stato clemente e così la mente ha lavorato come nei tempi migliori, mantenendo la mia proverbiale caparbietà, anzi aumentandola, per la disperazione di Rosaria, che sperava che la vecchiaia mi rendesse saggio.
Ma cosa vuol dire "saggio"?
Chiudere gli occhi davanti a certe realtà? Oppure accodarsi alla lunga fila di coloro che dicono "E' tutto inutile. Non cambierà mai niente"?
Invece sento ancora quel sacro fuoco interiore che mi fa reagire alle ingiustizie.
Uno di questi episodi mi è capitato in clinica. Ecco il racconto.
E' sera e tra poco serviranno la cena. Sono seduto alla macchina della CRIOTERAPIA, che si trova nella sala di aspetto. per raffreddare le ginocchia dopo le due sedute giornaliere di fisioterapia.
Ad un tavolo della sala è seduta una donna che sta parlando con suo padre sulla sedia a rotelle. Una paziente invece sta telefonando davanti alla vetrata con vista della bellissima città alta.
L'uomo, molto vecchio, in stanza con Mario con cui fraternizzo, è sempre a letto con gli occhi chiusi o socchiusi.
Mentre  raffreddo le  ginocchia, la donna, con un tono di voce sempre più alto, interroga il padre, che subisce in silenzio.
Alla domanda su cosa abbia ordinato per cena, il vecchio dice di non ricordare. Allora la  donna sbotta: "Come non sai?"
Non ce la faccio più!
Intervengo dicendole, con tono fermo, che non può trattare  così una persona anziana e ammalata. Lei risponde che è suo padre e che i loro affari di famiglia non devono interessarmi.
Replico in tono duro che lei si trova in un ospedale e non a casa sua e quindi oltre ad avere rispetto per il padre, lo deve anche a me.
La diatriba finisce, mentre la donna alla vetrata sta ancora telefonando. Termino il raffreddamento delle ginocchia e vado in camera  in attesa della cena.
Il giorno  dopo vado nella stanza di Mario per scambiare con lui qualche parola. Nell' entrare guardo il vecchietto, che ha aperto gli occhi. Mi guarda e mi sorride.
Prendo coraggio e gli domando se ha degli altri figli. Mi risponde che ha un figlio più vecchio. Allora gli chiedo se è come la figlia e lui replica che è peggiore e che lui ha lavorato tanto per i figli.
Mario ed io  ci guardiamo allibiti.
Secondo voi, che cosa avrei dovuto fare alla discussione della sera precedente?
Far finta di niente ed andarmene? Alla maleducazione bisogna reagire sempre, naturalmente nei dovuti modi, perché il maleducato sappia che c'è sempre qualcuno che reagisce. In tre settimane di ricovero questo è stato l'unico episodio increscioso.
Sono passati quattro anni, ma ho ritrovato lo stesso clima sereno ed empatico con tutto il personale della clinica.
Appena entrato sono stato ricoverato in neurologia al primo piano per qualche esame. Qui ho conosciuto Emiliano, maresciallo della finanza in pensione e ho stretto amicizia con Massimiliano, nato nel 1965, malato di Parkinson da quando aveva 37 anni (ormai sono 23 anni di malattia), sposato con Mary da 35 anni. Tutti e tre  siamo poi stati trasferiti al secondo piano per la riabilitazione.
In questo reparto confluiscono tutti i pazienti che hanno subito la sostituzione dell'anca o del ginocchio. Noi parkinsoniani  siamo  una netta minoranza.
Per la riabilitazione mi è stata assegnata Darica, una giovane molto brava e paziente.
Ho ritrovato gli infermieri Massimo e Francesco e altre infermiere di cui non  ricordo il nome.
In neurologia ho ritrovato il compaesano Giorgio, il coordinatore infermieristico, mentre in rieducazione ho trovato la compaesana Enrica, operata all'anca.
Ringrazio don Diego, che mi ha acquistato  un libro nella libreria delle suore paoline.
Nel complesso della clinica c'è anche la casa di riposo, dove ho potuto visitare  Rosa, altra compaesana, che abitava nella mia via.
Invece la giovane Zane, altra zandobbiese, mi ha servito i pasti.
Unica nota stonata (l'eccezione che conferma la regola) è il rifiuto di una fisioterapista che mi ha negato di fare un allungamento della schiena alla spalliera, un esercizio di 30" in sicurezza assoluta.
Ieri pomeriggio ho anche conosciuto Alessia, una giovane incidentata  con la moto, che dipinge con una mano: le ho promesso che pubblicherò i suoi quadri.
Concludo.
Ho trascorso 21 giorni in clinica, ma non mi sono assolutamente annoiato. Per ora i dolori alle ginocchia sono scomparsi, permettendomi di camminare, ma dovrò fare esercizi ogni giorno per rinforzare i muscoli delle gambe.
Le artrosi agli arti, mi accompagneranno per sempre insieme al loro amico Parkinson.
Salutando Massimo,  ci siamo abbracciati e mi ha augurato di ritrovarci tra cinque anni. Sarebbe molto bello.
Ora sono davanti al mio pc a casa e devo aggiornare anche la rubrica "ORATORIO DI ZANDOBBIO. Avviso ai tifosi atalantini e simpatizzanti": domani sera c'è la partita che nessun atalantino avrebbe sognato di vedere: Barcellona - Atalanta. Ho delle buone sensazioni.
Ritorno nell'amato piccolo bar del nostro oratorio a vedere la Dea insieme a quel bel gruppetto di atalantini e non, che si è formato in questi anni. Prima l'unica donna spettatrice era Rosaria: poi si è aggiunta  Rita e ultimamente anche Franca.
Domani sera la barista sarà Paola, tifosa del Milan.
Pubblico delle foto di Massimiliano con Mary e il sottoscritto.
Chiudo questo post augurandomi di rincontrare Massimo tra cinque anni.








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