martedì 2 maggio 2023

ALIMENTI. Nuovi alimenti

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" di aprile 2023.
Articolo: "Nuovi cibi? Non ci vanno proprio giù" di ROBERTA VILLA.


La legislazione europea definisce novel food (cioè "nuovi alimenti") tutti quegli alimenti prodotti con tecnologie innovative o importati recentemente da altre tradizioni alimentari, intendendo per "recentemente" quelli che non erano consumati abitualmente nel nostro continente prima del maggio 1997. Sotto questo cappello rientrano quindi le futuristiche carni prodotte in laboratorio così come gli insetti di cui si nutrono da sempre due miliardi di persone nel mondo.
L'introduzione della farina di grillo in Europa, in particolare, ha suscitato forti reazioni a difesa della nostra tradizione culinaria. D'altra parte è naturale: di fronte alla novità, soprattutto in campo alimentare, siamo spesso vittime di timore, quando non  di ostilità e disgusto.
In alcune fasce della popolazione italiana la stessa ritrosia ancora nei confronti del pesce crudo protagonista del sushi giapponese, popolarissimo, invece , tra le nuove generazioni.
Viceversa, molti giovani storcono il naso all'idea di mangiare carne di cavallo, sanguinacci o altri prodotti della tradizione.
Gli inglesi guardano ai nostri piatti a base di coniglio con lo stesso sdegno che noi proviamo nei confronti dei popoli orientali  che mangiano cani, per poi scoprire che anche in alcune parti della Svizzera gli amici dell'uomo finiscono all'interno di saporite salsicce.
Ci ribelliamo alle nuove norme che consentono l'importazione e il commercio di farine e snack a base di insetti, ma vorremmo difendere la tradizione sarda del formaggio con i vermi, prodotto con larve di mosca.
La cocciniglia, poi, è stata usata per secoli in Occidente per rendere rosso l'alchermes e per ravvivare di rosso acceso molti altri prodotti, dagli orsetti gommosi agli aperitivi. Se oggi si usa molto meno è solo per il suo costo, alto rispetto a quello dei coloranti di sintesi.
Non è invece corretto definire "di sintesi" o, peggio, "sintetica" la carne prodotta in laboratorio, non almeno nel senso con cui si intende abitualmente questa parola, vale a dire come risultato di una reazione chimica. La "carne" coltivata, come sarebbe meglio chiamarla, viene infatti fatta crescere a partire da cellule staminali, con un processo naturale che riproduce ciò che accade nell'animale vivo.
Mentre scriviamo, nessuna grande agenzia regolatoria internazionale ne ha ancora autorizzato il commercio e il consumo (si può assaggiare come straccetti di pollo in alcuni ristoranti di Singapore).
Nonostante gli sforzi, una produzione su larga scala che renda il prodotto accessibile per tutti non sembra ancora imminente.
La carne coltivata, fondamentale in vista di lunghi viaggi spaziali, potrebbe essere utile anche sulla Terra per ridurre le emissioni di anidride carbonica e il consumo di suolo, oltre a eliminare i rischi infettivi legati agli allevamenti intensivi.
Non è da trascurare poi il fatto che, per la produzione di questa carne, non serve ricorrere  alla macellazione, ma solo a un piccolo prelievo di tessuto tramite biopsia, andando così incontro alle esigenze etiche di un pubblico sempre più sensibile ai diritti degli animali.
Ancora dubbi invece i vantaggi in termini di consumo di acqua ed energia.
In ogni caso, nessuno ci obbligherà a rinunciare  alla nostra tradizione: come oggi si può continuare a preferire la pizza al sushi, così nessuno imporrà bistecche coltivate o grilli invece che gamberetti.

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