FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" di ottobre 2017.
Articolo: "Il mal di testa non ha età" di ROBERTA VILLA.
Il mal di testa non si misura come la febbre. E' facile, quindi, cadere nell'errore di credere che il bambino o l'adolescente che se ne lamenta, lo faccia solo per non andare a scuola o per evitare altri impegni.
Tutt'al più gli si fa controllare la vista e, se l'oculista dice che è tutto a posto, si rischia di sottovalutare il disturbo. Oppure, viceversa, di preoccuparsene troppo, sottoponendo il giovane a una serie di accertamenti ingiustificati che ne aumentano il disagio.
Invece anche i bambini piccoli possono soffrire di cefalea ed emicrania, proprio come un adulto.
E, una volta escluse alcune possibili cause, per esempio la presenza di una sinusite, proprio come per l'adulto il disturbo può essere estremamente invalidante e difficile da curare e così pure da prevenire.
Uno studio condotto per sei mesi su più di trecento bambini e adolescenti americani, e pubblicato qualche mese fa sulla più importante rivista di medicina del mondo, il "New England Journal of Medicine", giungeva, in proposito, a una conclusione sconfortante: i due farmaci più usati negli Stati Uniti per ridurre la frequenza degli attacchi nei più giovani (un antidepressivo, l'amitriptilina; e un antiepilettico, il topiramato) non servono più di una sostanza inattiva usata a scopo di placebo. Di diverso, comportano solo gli inevitabili effetti collaterali.
E' possibile, quindi, che alcuni interventi ampiamente usati nei centri italiani, come nutraceutici o agopuntura, agiscano appunto come un placebo, che nello studio americano ha almeno dimezzato il numero degli attacchi mensili.
Altre tecniche, come quelle di rilassamento, possono rivelarsi efficaci soprattutto per la cefalea muscolo-tensiva.
In generale, questi approcci senza farmaci sono i più consigliati in prima battuta dalle linee guida degli esperti, sebbene nel nostro Paese siano prescritti solo a un ragazzo su dieci, secondo un'indagine effettuata in Italia in tredici Centri di riferimento da esperti coordinati da Irene Toldo, del Centro per la Diagnosi e la Terapia delle Cefalee in Età Evolutiva presso il Dipartimento di Pediatria dell'Università degli Studi di Padova, e pubblicata sull'"European Journal Paediatric Neurology".
MONITORARE I SINTOMI PER CAPIRE COME INTERVENIRE
Prima di tutto occorre mostrare ai figli tutta la comprensione e il supporto possibile per questo loro disturbo, senza sottovalutarlo né drammatizzarlo.
Poi è fondamentale tenere quello che gli esperti chiamano "diario del mal di testa", nel quale riportare tutte le circostanze in cui si verificano gli attacchi, per individuare i fattori scatenanti; alimenti, mancanza di sonno, condizioni di stress.
Se i farmaci non sono da preferire per la prevenzione degli attacchi in chi soffre spesso di questo disturbo, il singolo attacco, invece, va preso subito di petto, ai primi segnali, con una terapia efficace a pieni dosi, che deve essere prescritta dal medico e mai improvvisata dai genitori.
A volte può bastare il paracetamolo, ma più spesso si rivelano migliori gli antinfiammatori come l'ibuprofene e , talvolta, in caso di emicrania, può essere necessario ricorrere ai triptani.
La scelta si "sopportare" il dolore e aspettare per vedere se passa da solo, è assolutamente controproducente.
La cura del singolo attacco, infatti, è fondamentale non solo per sollevare il ragazzo da un forte malessere, ma per evitare che si inneschino meccanismi di dolore cronico che rischiano di alimentare e peggiorare la sintomatologia.
Uno studio condotto per sei mesi su più di trecento bambini e adolescenti americani, e pubblicato qualche mese fa sulla più importante rivista di medicina del mondo, il "New England Journal of Medicine", giungeva, in proposito, a una conclusione sconfortante: i due farmaci più usati negli Stati Uniti per ridurre la frequenza degli attacchi nei più giovani (un antidepressivo, l'amitriptilina; e un antiepilettico, il topiramato) non servono più di una sostanza inattiva usata a scopo di placebo. Di diverso, comportano solo gli inevitabili effetti collaterali.
E' possibile, quindi, che alcuni interventi ampiamente usati nei centri italiani, come nutraceutici o agopuntura, agiscano appunto come un placebo, che nello studio americano ha almeno dimezzato il numero degli attacchi mensili.
Altre tecniche, come quelle di rilassamento, possono rivelarsi efficaci soprattutto per la cefalea muscolo-tensiva.
In generale, questi approcci senza farmaci sono i più consigliati in prima battuta dalle linee guida degli esperti, sebbene nel nostro Paese siano prescritti solo a un ragazzo su dieci, secondo un'indagine effettuata in Italia in tredici Centri di riferimento da esperti coordinati da Irene Toldo, del Centro per la Diagnosi e la Terapia delle Cefalee in Età Evolutiva presso il Dipartimento di Pediatria dell'Università degli Studi di Padova, e pubblicata sull'"European Journal Paediatric Neurology".
MONITORARE I SINTOMI PER CAPIRE COME INTERVENIRE
Prima di tutto occorre mostrare ai figli tutta la comprensione e il supporto possibile per questo loro disturbo, senza sottovalutarlo né drammatizzarlo.
Poi è fondamentale tenere quello che gli esperti chiamano "diario del mal di testa", nel quale riportare tutte le circostanze in cui si verificano gli attacchi, per individuare i fattori scatenanti; alimenti, mancanza di sonno, condizioni di stress.
Se i farmaci non sono da preferire per la prevenzione degli attacchi in chi soffre spesso di questo disturbo, il singolo attacco, invece, va preso subito di petto, ai primi segnali, con una terapia efficace a pieni dosi, che deve essere prescritta dal medico e mai improvvisata dai genitori.
A volte può bastare il paracetamolo, ma più spesso si rivelano migliori gli antinfiammatori come l'ibuprofene e , talvolta, in caso di emicrania, può essere necessario ricorrere ai triptani.
La scelta si "sopportare" il dolore e aspettare per vedere se passa da solo, è assolutamente controproducente.
La cura del singolo attacco, infatti, è fondamentale non solo per sollevare il ragazzo da un forte malessere, ma per evitare che si inneschino meccanismi di dolore cronico che rischiano di alimentare e peggiorare la sintomatologia.
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