FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 03/02/17.
ARTICOLO: "La mia vita appesa ad un voucher" di MARCO PATUCCHI.
ROMA. "Quando ogni 20 del mese vado in tabaccheria a farmi cambiare il voucher mi sento un po' a disagio, ma non mi guardo intorno come se fossi un animale raro. Non provo neanche alcun rancore. Chissà, forse è perché per adesso ho conosciuto solo questo modo di lavorare e tutto mi sembra normale".
Dario ha ventotto anni, vive a Perugia ed è laureato in farmacia.
La prossima settimana prenderà un aereo per il Belgio e darà una svolta alla sua esistenza: ha ricevuto la conferma alla domanda che aveva presentato per il tirocinio in un'azienda farmaceutica dalle parti di Bruxelles: ""Farò l'assistente ricerca e sviluppo nell'impresa. Una bella occasione".
Lascerà questa "normalità" alla quale si era quasi abituato. Assuefatto. Sarà uno dei tanti italiani che abbandonano il nostro Paese per costruirsi un futuro. O almeno per provarci con maggiori speranze.
La "normalità", invece, è il lavoro che svolge da qualche mese in una farmacia di Perugia: quaranta ore settimanali, per otto ore giornaliere, dal lunedì al venerdì. Fianco a fianco ad un'altra decina di dipendenti. Lo sbocco fisiologico per chi si è laureato come Dario.
A vederli con il loro camice bianco dietro il banco, un drappello di farmacisti senza differenze. Eppure non è così.
"Gli altri hanno contratti a termine o contratti a tempo indeterminato. Io vengo pagato con i voucher. E pensare che all'inizio mi sentivo quasi un privilegiato, perché il periodo di tirocinio che di prassi viene svolto nelle farmacie senza essere retribuiti, io lo facevo con i 500 euro al mese previsti da Garanzia Giovani. Poi, quasi allo scadere del tirocinio, mi hanno proposto di continuare. Ma con i voucher".
La farmacia acquista un pacchetto di "buoni" da mille euro per pagare Dario dal primo al 20 del mese. Poi, dopo uno stop di due giorni, si riprende con un altro pacchetto. Niente ferie o malattie.
Il 20 del mese Dario va in tabaccheria a ritirare il suo "stipendio", vale a dire i suoi 7,5 euro a voucher.
"Ormai me ne mancano pochi. Giusto qualche giorno di lavoro. Ho già detto al titolare della farmacia che me ne vado, così lui non acquisterà un nuovo pacchetti di buoni per me".
Ecco, questo è il lavoro nell'era dei voucher. Non per tutti naturalmente. Ma per moltissimi. Figli di un dio minore.
L'ennesima dimostrazione di come uno strumento nato per sacrosante ragioni, in un Paese come il nostro dove il senso civico è merce rara, venga poi diffusamente piegato ad altri interessi.
In questo caso, un meccanismo che dovrebbe contrastare l'illegalità e il nero, diventa scorciatoia per risparmiare sul costo del lavoro. Alla faccia della tutela e della dignità dei lavoratori.
Verrebbe da dire che forse non saremo mai un Paese maturo per certe flessibilità, meglio dunque rinunciare tout court a strumenti come i voucher. Lasciamoli a chi sa guardare oltre il proprio giardino.
"Prima di questo posto in farmacia avevo fatto solo lavoretti occasionali, quindi non so cosa siano diritti come la malattia o le ferie" racconta Dario, rivelando candidamente la precarietà che ormai è nel dna dei nostri giovani.
"Non mi va di parlare di chi mi ha fatto lavorare in farmacia, preferisco parlare di me, delle mie aspettative. Ai datori di lavoro è consentito sfruttare legalmente i voucher e lo fanno. Non posso pretendere da loro un certo comportamento, semmai la responsabilità è dello Stato che rende possibili queste cose".
Dario tra qualche giorno se ne andrà, ma senza rancore. Anzi, tra le righe delle sue parole c'è un accenno di autocritica che gli fa onore.
"Non sono di quelli che dicono che in Italia tutto fa schifo perché non ho avuto occasioni. Magari se avessi fatto una tesi sperimentale mettendola nel curriculum, qualche azienda italiana mi avrebbe scelto. Credo che anche vent'anni fa sarebbe stato difficile trovare un primo impiego".
E poi quell'assuefazione alla precarietà che deve pesare come un macigno sulla coscienza di tutti noi delle passate generazioni: "All'inizio se pensavo ai contratti a termine valutavo un orizzonte di sei mesi. Adesso tutto si è terribilmente accorciato. Stesso discorso per il trend delle tutele. Così la risposta migliore è quella di isolarsi in se stessi, di concentrarsi sulla propria esperienza senza magari pensare a una lotta di tutti per migliorare la situazione. Non è per forza una reazione negativa: almeno così sviluppiamo una maggiore capacità di adattamento. Insomma, non arrendersi, ma senza pretendere o stupirsi più di tanto".
Caro Dario, buon viaggio e buona fortuna.
A vederli con il loro camice bianco dietro il banco, un drappello di farmacisti senza differenze. Eppure non è così.
"Gli altri hanno contratti a termine o contratti a tempo indeterminato. Io vengo pagato con i voucher. E pensare che all'inizio mi sentivo quasi un privilegiato, perché il periodo di tirocinio che di prassi viene svolto nelle farmacie senza essere retribuiti, io lo facevo con i 500 euro al mese previsti da Garanzia Giovani. Poi, quasi allo scadere del tirocinio, mi hanno proposto di continuare. Ma con i voucher".
La farmacia acquista un pacchetto di "buoni" da mille euro per pagare Dario dal primo al 20 del mese. Poi, dopo uno stop di due giorni, si riprende con un altro pacchetto. Niente ferie o malattie.
Il 20 del mese Dario va in tabaccheria a ritirare il suo "stipendio", vale a dire i suoi 7,5 euro a voucher.
"Ormai me ne mancano pochi. Giusto qualche giorno di lavoro. Ho già detto al titolare della farmacia che me ne vado, così lui non acquisterà un nuovo pacchetti di buoni per me".
Ecco, questo è il lavoro nell'era dei voucher. Non per tutti naturalmente. Ma per moltissimi. Figli di un dio minore.
L'ennesima dimostrazione di come uno strumento nato per sacrosante ragioni, in un Paese come il nostro dove il senso civico è merce rara, venga poi diffusamente piegato ad altri interessi.
In questo caso, un meccanismo che dovrebbe contrastare l'illegalità e il nero, diventa scorciatoia per risparmiare sul costo del lavoro. Alla faccia della tutela e della dignità dei lavoratori.
Verrebbe da dire che forse non saremo mai un Paese maturo per certe flessibilità, meglio dunque rinunciare tout court a strumenti come i voucher. Lasciamoli a chi sa guardare oltre il proprio giardino.
"Prima di questo posto in farmacia avevo fatto solo lavoretti occasionali, quindi non so cosa siano diritti come la malattia o le ferie" racconta Dario, rivelando candidamente la precarietà che ormai è nel dna dei nostri giovani.
"Non mi va di parlare di chi mi ha fatto lavorare in farmacia, preferisco parlare di me, delle mie aspettative. Ai datori di lavoro è consentito sfruttare legalmente i voucher e lo fanno. Non posso pretendere da loro un certo comportamento, semmai la responsabilità è dello Stato che rende possibili queste cose".
Dario tra qualche giorno se ne andrà, ma senza rancore. Anzi, tra le righe delle sue parole c'è un accenno di autocritica che gli fa onore.
"Non sono di quelli che dicono che in Italia tutto fa schifo perché non ho avuto occasioni. Magari se avessi fatto una tesi sperimentale mettendola nel curriculum, qualche azienda italiana mi avrebbe scelto. Credo che anche vent'anni fa sarebbe stato difficile trovare un primo impiego".
E poi quell'assuefazione alla precarietà che deve pesare come un macigno sulla coscienza di tutti noi delle passate generazioni: "All'inizio se pensavo ai contratti a termine valutavo un orizzonte di sei mesi. Adesso tutto si è terribilmente accorciato. Stesso discorso per il trend delle tutele. Così la risposta migliore è quella di isolarsi in se stessi, di concentrarsi sulla propria esperienza senza magari pensare a una lotta di tutti per migliorare la situazione. Non è per forza una reazione negativa: almeno così sviluppiamo una maggiore capacità di adattamento. Insomma, non arrendersi, ma senza pretendere o stupirsi più di tanto".
Caro Dario, buon viaggio e buona fortuna.
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