Articolo "Quando il cinema si fa arte" di ALICE BENA.
Accade, talvolta, che le strade del cinema si intreccino con quelle dell'arte e della letteratura. E' il caso della pellicola di Guillermo del Toro di cui vorrei parlare oggi, Crimson Peak (Letteralmente "il picco cremisi") un vero e proprio romanzo gotico contemporaneo.
Protagonista è una giovane e diafana fanciulla di nome Edith Cushing, che vive nella New York di inizio Novecento e che, dopo la perdita della madre, si rifugia nella scrittura di racconti gotici e fantastici. Quando l'affascinante aristocratico britannico Thomas Sharpe, le si offre come pretendente, Edith, intuendo una promessa di felicità, accetta impetuosamente e parte subito per il vecchio continente, al seguito del giovane e della sorella di lui, Lucille.
Ad attenderli, in Inghilterra, c'è il castello di famiglia, edificio fastoso e fosco, affondato nell'argilla rossa (dalla quale prende il nome) e custode delle ricchezze di una casata nobiliare decaduta, il cui irripetibile splendore rivive ormai solo nelle sue stanze ammuffite e nei suoi segreti recessi.
A chi ama il genere gotico la pellicola non potrà certo passare inosservata. La prima impressione è quella di essere stati catapultati all'interno di una storia scritta nel diciannovesimo secolo, o di avere tra le mani un manufatto appartenente (per quanto possa sembrare strano) ad un'epoca passata. Incredibile è la fitta rete di rimandi al mondo della letteratura, della storia dell'arte, ma anche alle invenzioni ottocentesche: automi, grammofoni, fino ad arrivare alle prime macchine industriali concepite nella seconda rivoluzione industriale.
Il debito nei confronti della letteratura romantica e gotica è veramente notevole: vi sono rinvii a Lo Zio Silas di Sheridan Le Fanu, a I Misteri di Udolpho di Ann Radcliffe, ma anche a Il Castello di Otranto di Walpole e ad alcune novelle di Hoffman. Forte è poi l'influsso di Mary Shelley, l'autrice di Frankestein, la quale, non a caso, è modello d'ispirazione per la protagonista della pellicola, Edith che afferma di preferirla a Jane Austen (tradizionalmente oppositrice alle grandi romanziere gotiche della sua epoca, prima fra tutte proprio la Radcliffe).
Non potevano certo mancare chiari riferimenti ai maestri del brivido H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe, specialmente nei rimandi al racconto La Casa degli Usher. Troviamo sullo sfondo echi dickensiani di Grandi Speranze e di A Christmas Carol, nonché allusioni ai romanzi bronteani Cime tempestose di Emily e Jeane Eyre di Charlotte Bronte. In ultimo è doveroso citare anche Henry James per i rimandi a Ritratto di signora e Giro di vite, ma anche a La Fiera della vanità di William Makepeace Thrackeray. Vi sarebbero ancora molti altri rimandi, lascio a voi il piacere di scoprirli guardando il film.
La letteratura non è però il solo bacino al quale del Toro attinge a piene mani. La società e l'arte vittoriana in toto sono indagate dal regista prendendo come riferimento l'arte e la produzione preraffaellita, particolarmente evidente nelle pettinature e nelle inquadrature della giovane Edith che pare la riproduzione vivente di alcune opere di Edward Burne-Jones (si veda Vanity) o ancora più chiaramente di Sir John Everett Millais (del Toro, verso la fine del film, ci restituisce una Edith pressoché identica alla donna raffigurata nell'opera The Bridesmaid).
I riferimenti alla fotografia come mezzo capace di imprigionare l'essenza di una persona e di far rivivere nell'eternità un momento per sempre concluso; riferimenti alla costruzione dei primi apparecchi in grado di registrare voci che ritornano, dal passato, per aiutare, per lanciare dei messaggi, in un ultimo tentativo per non essere dimenticate. La costante presenza del rosso non solo dell'argilla sulla quale l'antica casa è costruita e dalla quale, lentamente, viene inghiottita, ma anche del sangue, del sangue delle ferite, degli avvelenamenti che provocano sintomi affini a quelli della tubercolosi, il mal gentile dell'epoca vittoriana.
Il film sotto il profilo tecnico è degno di notevole interesse: ogni inquadratura è curata fin nei minimi dettagli per restituire l'atmosfera del tempo, guidandoci nei recessi più oscuri della magione, dove il tempo sembra essersi fermato. La vera protagonista, in fondo, non è la dimora degli Sharpe, decadente non solo dal punto di vista estetico, ma anche metaforico perché rappresenta a pieno l'animo dei due proprietari. Allerdale Hall è un luogo oscuro, costantemente ricoperto di neve, freddo, situato lontano da un qualsiasi centro abitato, che ricorda molto l'edificio di Shining di Kubrick, antiche vestigia che rappresentano l'orrore che si è manifestato all'interno. E' simbolo di una società, quella aristocratica inglese, ormai decaduta, che si contrappone con il fresco dinamismo americano, secondo un dualismo (come anticipato nel rimando a Henry James) che è incarnato dalle due principali figure femminili: da una parte abbiamo infatti Edith, timida ragazza figlia della borghesia americana più progressista, che nutre un'ardente passione per la scrittura e i libri; mentre dall'altra, Lady Lucille, è una donna dalla personalità forte, cinica e caparbia, legata al passato, alle tradizioni di famiglia e, soprattutto al fratello Thomas. Il contrasto fra le due personalità diventa sempre più evidente nel corso del film, tanto che, sul finale, finirà per offuscare la figura maschile del baronetto relegato quasi ad un ruolo di contorno.
Anche le figure stesse dei fantasmi sono concepite secondo una concezione gotica-ottocentesca, molto diverse da quanto la contemporaneità ci ha portato a concepire. Essi non sono altro che le anime dei defunti, ormai sradicati dai vizi umani e che per questo, lungi dal nuocere ai vivi, si fanno piuttosto portavoce di messaggi salvifici, come accade ad esempio in A Christmas Carol. Il vero orrore, insinua dal Toro, non proviene dal "diverso", ma proprio da chi ci sembra di conoscere meglio.