giovedì 4 agosto 2016

VIVERE INSIEME. Quanto conta il merito


FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 17/06/16.
ARTICOLO: "La scuola pubblica minacciata da chi teme la meritocrazia" di CURZIO MALTESE.

Una delle poche cose sulle quali tutti concordano, almeno a parole, è questa: l'Italia è un Paese dove il merito conta sempre meno.
I centomila italiani che ogni anno vanno a cercare (e a trovare) all'estero lavori adeguati al loro livello di studi, creatività e capacità, ne sono la testimonianza più drammatica.
Saper fare bene il proprio mestiere, essere brillanti negli studi, da noi non è considerata la prima qualità per ricoprire un ruolo, rispetto a conoscenze, amicizie, parentele, fedeltà politiche, obbedienza al capo. Gli esempi sono davanti agli occhi di tutti, anzi sfilano ogni sera in televisione, e quindi non occorre far nomi.
Ogni nuovo potere promette un'ondata di meritocrazia e dopo poco si ritorna alla solita infornata d'imbecilli miracolati, inevitabilmente destinati a peggiorare i conti di questa o quell'azienda pubblica o privata, amministrazione, televisione o ente culturale, eppure inamovibili perché garantiti dall'alto.
Meritocrazia può essere un termine fastidioso, e allora parliamo, come fa l'Istat, di qualcosa di più profondo, la mobilità sociale.
L'Italia è stata per decenni, dal dopoguerra, un esempio europeo di opportunità. Grazie a grandi investimenti di Stato e a un ottimo sistema d'istruzione pubblica, il figlio di un operaio, di un contadino, di un impiegato poteva aspirare a migliorare la propria posizione sociale ed economica, nonostante il tradizionale familismo.
Guarda caso allora eravamo il Paese d'Europa con il maggior livello di crescita economica. Poi qualcosa è successo. Le élites si sono spaventate per il destino dei propri pargoli, dunque per la sopravvivenza oligarchica, e il sistema è cambiato.
Si è disinvestito in istruzione, formazione e, riforma dopo riforma, stravolto il sistema scolastico. Oggi l'Istat certifica che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e guarda caso siamo diventati la nazione che cresce di meno.
Come se ne esce?
Non certo importando a casaccio ricette straniere. Per esempio il sistema duale del Nord, l'alternanza scuola lavoro, può funzionare bene in Germania, dove l'apparato industriale è moderno, fondato su grandi investimenti, innovazione e ricerca. Mentre in Italia, adattare la scuola alle esigenze di un'industria bolsa e a basso livello tecnologico significa creare  studenti di serie B, rispetto al resto d'Europa.
Perché anche le élites tedesche o inglesi cominciano a preoccuparsi di questi brillanti italiani che tolgono posti ai loro figli meno capaci.







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