FONTE: "la Repubblica" del 03/08/16.
ARTICOLO: "Marieke, l'ultima corsa: "Sono pronta a morire" di ENRICO SISTI.
L'ultima sigaretta, l'ultima corvée, l'ultimo valzer, l'ultima cena, l'ultima olimpiade.
Ma dopo cosa c'è?
Per Marieke Vervoort, belga di Diest, forse non c'è niente. Sta pensando di farla finita. Correrà a Rio (i Giochi Paralimpici inizieranno il 7 settembre) con la sua carrozzina e con tutto l'entusiasmo del mondo, paralimpico e non: "Ma dopo non so davvero, non so più".
Ha vinto i 100 e conquistato l'argento nei 200 a Londra 2012 (nella sua categoria T52), è stata campionessa iridata a Doha, detiene quattro record del mondo, 400, 800, 1500 e 5000.
Ha fatto tutto con la rabbia degli atleti che non mollano nemmeno quando sentono vicina la fine, non soltanto delle gare, ha fatto tutto come sempre nascondendo il buio e il dolore che la inseguono da 14 anni: "Quando monto sulla carrozzina tutto sparisce, inizio la mia guerra privata contro la paura, la tristezza, la frustrazione, per me l'attività sportiva è tutto, l'allenamento è la mia unica ragione di vita".
La chiamano "Wielernie", "io e la ruota".
Quando scende dal suo piccolo angolo di gioia non ci sono passaggi intermedi, sprofonda nell'abisso di cui non può far altro che domandarsi: questa è vita? Dietro le competizioni c'è la porta oscura, Marieke l'apre e la chiude rimanendo ogni volta intrappolata nella malvagia rete del destino che va solo avanti e che peggiora a ogni secondo: "Non riesco più a sopportare il male".
Non dorme quasi più. Di giorno ha frequenti svenimenti e l'unica consolazione è il suo cane che le lecca il viso al risveglio.
Ha un morbo degenerativo che le ha paralizzato le gambe e la costringe a ricorrere a farmaci sempre più potenti per combattere il dolore. E a volte neppure quelli bastano a lenire la sofferenza.
E allora dopo Rio - "ho qualche chance di medaglia ma a 37 anni sarà durissima. Rio è il mio ultimo desiderio" - potrebbe ricorrere a una doppia soluzione, la prima comprensibile, l'altra estrema.
Chiuderà con lo sport agonistico, dovrà dare addio non soltanto all'atletica ma anche al basket, al golf, alla scherma, al surf, al triathlon, alle immersioni e a tutto quello che ha avvicinato, voracemente, "spesso soltanto per dimenticarmi di me stessa".
Porre fine alla sua carriera l'ha inevitabilmente già portata a interrogarsi sulla seconda soluzione, conseguenza drammatica della prima, che la coraggiosa campionessa ha già messo in conto, uno strappo dai confini imprecisati che in Belgio è legale: l'eutanasia. Ci vuole il consenso di tre medici. Le carte sarebbero già pronte.
Vincere, morire. Che altro. "Se così fosse, per favore, vi voglio con un bicchiere in mano..."
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