giovedì 21 aprile 2016

RACCONTI. La polenta fumante di Terres


FONTE: il MESSAGERO DI SANT'ANTONIO febbraio 2016
Articolo di G. CARLO BREGANTINI Arcivescovo di Campobasso-Bojano.


LA POLENTA FUMANTE DI TERRES


Proprio in questo clima di paura e di sospetto, dove ogni nuovo evento è visto con trepidazione e ogni nuovo arrivo incute timore, mi piace raccontarvi un episodio vero di calorosa accoglienza, avvenuto tanti anni fa a Terres, piccolissimo paese di forse 300 abitanti in Trentino.
Me lo ha raccontato dal vivo il protagonista, alcune settimane fa a Roma, durante una predicazione sulla Lettera di san Giacomo, a un gruppo di preti. Lui è padre Ferruccio, religioso giuseppino.

Siamo nel 1947, in Istria. La guerra è finita da poco. Ogni famiglia deve decidere se restare sul posto, finendo così sotto il duro regime comunista di Tito, oppure essere espulsa, costretta perciò a lasciare l'amata terra, così carica di colori e di storia e nella quale erano nati, per trovare rifugio in Italia. Scelta straziante per famiglie che avevano posto solide radici in Istria, regione italianissima fino ad allora.
In una di queste famiglie c'era un ragazzino di 10 anni, Ferruccio, vispo, dai lunghi capelli a cespuglio. Come li ha ora, da prete, e con molti anni in più. Conserva, però, lo stesso cuore di tenerezza e semplicità. La sua famiglia lasciò l'Istria ed entrò in Italia, con tantissimi sacrifici: lavoro cambiato, mobili ammassati, perdita di amicizie, futuro incerto. Ci furono le assegnazioni di paese in paese. Nulla fu lasciato al caso.
Così la famiglia di Ferruccio fu assegnata a Terres. Partenza da Pola insieme con altri 30 mila italiani di quella città, 300 mila in tutta la regione. Prima in nave, poi in treno. Giunti a Trento, la famiglia di Terres che li aveva avuti in assegnazione, con grande affetto, scese in città con il carro dei buoi. Prese i pochi mobili che avevano portato con sé e li portò su in paese, in pieno mezzogiorno.
Era il 12 febbraio 1947, proprio il giorno del compleanno del ragazzo. Indimenticabile giornata per lui.
"La cosa che ricordo di più - ha raccontato padre Ferruccio - fu la gioia di vedere che tutto era stato preparato con cura, nelle stanze e nella casa. Ma soprattutto non dimenticherò mai la polenta fumante, scodellata in tavolo al nostro arrivo. Fu una scena stupenda di accoglienza. Non ci conoscevamo per nulla. Ma davanti a quella mensa era come se ci sentissimo già a casa. Ci fece subito dimenticare  i tanti sacrifici fatti nel lungo nostro sofferto peregrinare".
L'accoglienza fu presso la famiglia Dalpiaz, dove c'erano altri ragazzini, quasi della stessa età: Carla, Marisa, Fernando. La permanenza durò quasi due anni, con frequenza alla piccola scuola, ben accolti dalla maestra Teresina.
Dopo un paio d'anni, però, la mamma di Ferruccio trovò lavoro altrove, a Vercelli, dove quel ragazzino incontrò i frati e si fece religioso. Ma quella polenta non fu più dimenticata. Come il profumo di quella casa accogliente.

Questi sì che è costruire pace, creare legami di amicizia e di solidarietà. Questo sì che è vincere l'indifferenza e la paura reciproche. Storie che ci danno la normalità di un'accoglienza già vissuta. E in tempo di fame, dove la polenta fumante era tutto!
Ma è opportuno porci le tante domande sul nostro difficile presente, sollevate da padre Ferruccio durante il nostro dialogo: perché oggi abbiamo così tanta paura? Perché non siamo capaci di accogliere i profughi dei barconi? Perché ieri le nostre famiglie, in questi stessi nostri paesi, hanno saputo accogliere con cuore dorato i profughi d'Istria? Che ci manca? Forse  non abbiamo più quel cuore di accoglienza, oggi angosciato come quello della nostra Europa.
Eppure, ci fa bene risentire storie di eroismo quotidiano vissute tra i nostri monti. Per non perdere la voglia di essere, anche oggi, accoglienti come ieri. Solo così sapremo vincere quei signori della guerra, maledetti, con voce sommessa ma determinata, da papa Francesco.  Mai una condanna così radicale, mai così decisa, mai così precisa, mai così vera.







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