lunedì 24 luglio 2023

SERGIO E IL CALCIO. L'allenatore. La partita con la VIRESCIT

 



La mia famiglia trascorre un estate serena.
Nel periodo delle ferie andiamo in campeggio con don Camillo a Livigno.
E' un'esperienza esaltante e la montagna entra definitivamente  nel mio cuore. Gli alti monti circostanti sono meta di lunghe gite, alle quali partecipano quasi tutti i campeggiatori.
Sugli impervi sentieri fraternizzo con il giovane parroco, che mi manifesta l'intenzione di creare un giornalino parrocchiale e mi chiede di collaborare. Rispondo che avrei scritto volentieri degli articoli.
Arriva di nuovo settembre, mese canonico per la preparazione precampionato. Al campionato "giovanissimi eccellenza" partecipano le squadre più forti della bergamasca e quindi mi aspetta un arduo impegno. Tuttavia la squadra è rafforzata da Stefano, l'attaccante di cui ho rimpianto l'assenza nelle finali provinciali.
Iniziano gli allenamenti e mi rendo conto che sarà dura mantenere la disciplina in questo gruppo di ragazzi scatenati. Stefano, forte della sua bravura, diventa il capo carismatico della squadra e, data la sua intelligenza e furbizia, è difficile smascherare le sue trovate per evitare la corsa e gli esercizi più noiosi.
Sono costretto ad inventare nuovi giochi per tenere alta la concentrazione del gruppo e farlo lavorare con profitto. Tuttavia anche questo non basta e in qualche circostanza sono costretto a riprendere aspramente i ragazzi più bollenti, tra i quali si distingue Fabio, il libero della formazione, dotato di molta forza ma testardo come un mulo.
Il campionato inizia bene pur essendo molto difficoltoso. Il gioco della squadra è dello stesso livello di quello degli avversari più forti e i ragazzi danno veramente tutto sul campo di gara. In poche parole è una formazione con "gli attributi", come si dice nel gergo sportivo.
Con il procedere dei mesi però la tensione nervosa aumenta in me e non sono rare le volte che, giunto a casa dopo un allenamento, dica  a Rosaria : "Basta, non ne posso più! Lascio perdere questi scalmanati".
Poi arriva il sabato e le forti emozioni provate in panchina cancellano i pensieri di abbandono. La squadra è sempre nelle prime posizioni in classifica, ma capisco anche che il mio progetto di vincere il campionato  è molto difficile da realizzare, perché gli arbitri hanno sempre un occhio di riguardo nei confronti delle società più importanti. A suffragare questa mia convinzione, una partita è stata emblematica.
La partita deve essere giocata sul campo della capolista Virescit. 
Durante la settimana i ragazzi hanno capito l'importanza di questa gara e si sono allenati senza il bisogno che li richiami all'ordine.
Al sabato ci presentiamo sul terreno di gioco di Boccaleone, quartiere di Bergamo, pronti a dare battaglia e  a .......vincere.
Fin dalle prime battute di gioco l'arbitro fischia quasi sempre a favore della Virescit, invertendo spesso la valutazione dei falli.
Incomincio ad innervosirmi davanti ai palesi errori del direttore di gara e lo richiamo ad un più equo giudizio. La giacchetta nera non reagisce e continua imperterrita nella sua condotta faziosa.
Dopo quindici minuti di gioco Mirchino, conquistato un pallone  a metà campo, sta per lanciare Stefano in profondità, ma è falciato da tergo da un avversario. E' un evidente fallo di gioco e i ragazzi si fermano, aspettando il giusto fischio dell'arbitro. Ma il fatidico sibilo non si ode e gli avversari, impossessatisi del pallone, ne approfittano per segnare la rete del 1-0.
Scatto come un puma dalla panchina e corro verso l'arbitro, circondato dai miei ragazzi, che protestano contro il sopruso subito. Raggiunto il direttore di gara gli manifesto in tono acceso il mio dissenso per un arbitraggio spudoratamente a favore della Virescit.
Imperterrito l'uomo in nero mi indica  con l'indice della mano  la panchina, dicendomi: "La prossima volta che entra in campo senza il mio permesso sarò costretto ad espellerla".
Se avessi i poteri di Giove, lo incenerirei con un fulmine questo inetto, ma ritorno in panchina, dove un giocatore di riserva esclama: "Dovevi tirargli le orecchie a quella testa di rapa" dimenticando che le rape non hanno orecchie.
Il gioco prosegue, ma i miei giocatori manifestano evidenti segni di nervosismo. Fortunatamente arriva la fine del primo tempo e negli spogliatoi riesco a calmare di animi.
"La partita  non è persa. Siamo in grado di rimontare e la cosa fondamentale è indirizzare la vostra rabbia nella giusta direzione. Dovete fare i contrasti con molto vigore per conquistare la palla. Smettetela di fare falli stupidi, che vi procurano ammonizioni, come è già successo a due di voi. Come gioco siamo alla pari della Virescit. Coraggio, che riusciamo a raddrizzare il risultato".
Si ritorna in campo  e nei primi minuti di gioco i ragazzi mettono in pratica i miei consigli. Anche l'uomo in nero, forse per un esame di coscienza fatto nell'intervallo, fischia qualche punizione in nostro favore. 
La Virescit  è dominata dal nostro gioco spumeggiante ed aggressivo e incontra molte difficoltà a portare il pallone nella nostra metà campo.
"Forza ragazzi che segniamo il gol" grido dalla panchina. Ma il direttore di gara ritorna a praticare  l'arbitraggio  scandaloso del primo tempo.
"Quel figlio di puttana è ritornato sui suoi passi. Non vinceremo mai questa partita" rifletto. Infatti in un'azione di contropiede il centravanti avversario si presenta davanti a Paolo, che, con perfetta scelta di tempo, si tuffa  tra i piedi dell'attaccante bloccando il pallone tra le mani. L'avversario non riesce a interrompere  la sua corsa e travolge il portiere, che, colpito in pieno petto, lascia la presa della sfera di cuoio, che è prontamente  calciata in rete da un altro avversario.
E' un evidente fallo sul portiere, ma l'arbitro convalida il gol, indicando con la mano il centro del campo.
Mentre Paolo rimane a terra dolorante, i suoi compagni circondano l'arbitro protestando vivacemente per la chiara irregolarità della rete. Imperterrito il rospo mi invita a soccorrere il mio giocatore.
Con il secchio dell'acqua in mano, entro a passo lento sul terreno di gioco. Con gli occhi fiammeggianti per la rabbia repressa, avvicinandomi a quel corrotto, mi prende una forte tentazione: gettargli addosso tutta l'acqua del secchio. Mi fermo a tre passi da lui e lo fisso rabbiosamente negli occhi. Lui capisce la mia intenzione e in tono deciso mi dice: "Soccorra il suo giocatore e poi ritorni negli spogliatoi. Lei è espulso".
Mi sento Toci, piccolo capo pellerossa nei giochi infantili e continuo a guardarlo ancora per un attimo. Poi soccorro Paolo, che si riprende dalla botta ricevuta. Quindi mi incammino verso gli spogliatoi, raccomandando ai ragazzi di mantenersi calmi, perché al danno della partita ormai persa non si aggiungesse la beffa delle espulsioni, che avrebbero gravato in modo pesante nelle successive partite.
Mentre l'incontro volge al termine senza più alcuna emozione, negli spogliatoi sto seduto sulla panca con la testa piegata tra le mani. Con il  cuore colmo di amarezza per la malafede dell'arbitro, giungo alla conclusione che anche nello sport dilettantistico il pesce grosso mangia il più piccolo.
Odo il triplice fischio di chiusura della partita e i ragazzi rientrano furenti negli spogliatoi. Volano parole di fuoco, che senza dubbio l'arbitro sente, essendo contiguo il suo spogliatoio.
Il ritorno a Cenate Sotto è mesto. Mi accomiato augurando a tutti  una buona domenica ed un arrivederci a lunedì, per la ripresa degli allenamenti.


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