Per due giorni ho un diavolo per capello e finalmente la sera del terzo giorno affronto il presidente, che siede solitario su una panchina di piazza del monumento.
"Mi è giunta all'orecchio la notizia che non sarei più l'allenatore degli allievi. E' vero?" attacco deciso.
"Sì, è la verità. Ho riflettuto molto e ho capito che non sei la persona adatta per allenare i nostri ragazzi. Fai sempre di testa tua e non ascolti i miei consigli".
"Quali sarebbero le tue direttive che ho disatteso?"
"Ti avevo consigliato di limitare il numero degli allenamenti per non aggravare le pessime condizioni del campo sportivo, ma tu non hai mai evitato un allenamento ai tuoi ragazzi. E poi, chi ti ha detto di chiedere al sindaco una nuova muta per la tua squadra?".
A queste parole del presidente una tempesta si scatena in me e il mio sdegno si manifesta in taglienti parole.
"Sei una persona viscida, di cui ho sempre diffidato. Le squadre giovanili non hanno mai goduto della tua considerazione e non riesci a capacitarti che io abbia costruito un gruppo affiatato nonostante le tante sconfitte. Ora ti accingi a distruggere quel poco di buono che la polisportiva ha prodotto negli ultimi anni e per silurarmi accampi delle motivazioni fasulle. A te non importa nulla che i nostri ragazzi giochino sui campi della provincia indossando delle divise vecchie, scolorite e tarmate. Tu volevi quattrini dal sindaco per pagare i rimborso spese dei tuoi giocatori di fuori paese. Fai come vuoi: a mio figlio Gabriele troverò un'altra squadra in cui giocare. Mi dispiace per gli altri ragazzi".
Detto questo gli volto le spalle e me ne vado a passo di carica, pieno di adrenalina.
I giorni che seguono sono pieni di amarezza. Ho profuso tanta energia in questa iniziativa e tutto è crollato come un castello di sabbia. Mi sono impegnato per mesi a costruire un gruppo affiatato di ragazzi e ora c'è il pericolo che tutto scompaia, come una bolla di sapone.
Riprendo a fare le mie corse sulle colline zandobbiesi, ma non sento né il canto degli uccelli, né il profumo dei fiori selvatici, poiché la mia mente è oppressa dal fattaccio. Rimugino pensieri contrastanti, ora di speranza, ora di abbattimento.
Per fortuna arrivano le ferie estive e posso trascorrere delle giornate serene in montagna. Amo le gite sui monti e le lunghe camminate sui sentieri delle Alpi Orobiche. Il silenzio assoluto, rotto saltuariamente dai fischi delle marmotte, avvolge la mia mente e la fatica fisica scarica l'adrenalina.
Dietro di me Rosaria, Gabriele e Loris sbuffano, implorando una sosta.
Ritorniamo a casa e mi sento leggero e appagato e la notte dormo profondamente, invidiato da Rosaria, che si sveglia ad ogni piccolo rumore.
Siamo alla fine di agosto e le ferie terminano.
Anche Loris manifesta il desiderio di far parte di una squadra calcistica. Bisogna quindi trovare un'altra società disposta a tesserare i nostri due figli: Gabriele nella categoria dei giovanissimi e Loris in quella dei pulcini.
Rientro al lavoro e ne parlo con Edoardo, collega di lavoro e abitante a Gorlago. Mi parla di Francesco Trovenzi, uno scapolo di circa 45 anni, suo compaesano, che è il responsabile del settore giovanile della società di Cenate Sotto e mi dà il suo indirizzo.
Finita la giornata lavorativa mi reco all'indirizzo segnalatomi e così faccio la conoscenza di Francesco Trovenzi. Basso di statura, rotondetto, calvo, baffetti ben curati, occhi furbi.
Francesco ascolta la mia richiesta e mi chiede l'età dei miei figli. Allora manifesta l'intenzione di provarli sul campo: verrà domani pomeriggio a prenderli con il suo pulmino in piazza del monumento a Zandobbio.
Così avviene. Francesco riporta a Zandobbio i due ragazzi verso le ventuno.
Gabriele e Loris sono stanchi dopo due ore di allenamento, ma felici dell'ambiente che hanno trovato.
Passano due settimane e, terminata la cena, decido con Rosaria di recarci a Cenate Sotto al campo sportivo. Grande è la nostra sorpresa nel vedere un piccolo esercito di una cinquantina di ragazzi, che si stanno allenando agli ordini di Francesco e del suo aiutante.
L'allenamento sta volgendo al termine e i giocatori, divisi in quattro squadre, disputano una partitella su due campi.
Altri genitori stanno assistendo al gioco spumeggiante e gioioso, illuminato dal sole che sta tramontando. Il cielo è terso e spira un leggero vento di tramontana. Le colline, alle spalle del piccolo paese, imbruniscono e trasmettono il canto di un cuculo. Le foglie delle piante, che delimitano un lato di un campo da gioco, stormiscono e mi sembra di udire la voce della natura. Da mesi non avverto una pace interiore così profonda.
Poi un fischio breve e acuto interrompe il gioco e la frotta di ragazzi si precipita schiamazzando negli spogliatoi.
Pochi minuti e in ordine sparso incominciano ad uscire con le piccole sacche in mano. Alcuni salgono sull'auto dei genitori, altri sul pulmino di Francesco ed altri ancora s'incamminano verso casa, abitando in paese.
Escono anche Gabriele e Loris: Rosaria li invita a salire in auto e poi entra negli spogliatoi per avvisare Francesco che i figli torneranno a casa con lei.
Grande è la confusione nei due stanzoni: alcuni ragazzi cercano affannosamente gli indumenti di ricambio, nascosti dai più grandi, e i due allenatori ridenti in mezzo a dirimere le controversie. Rosaria riesce a malapena a richiamare Francesco ed insieme a lui esce dagli spogliatoi.
L'allenatore ci chiede di portare a casa due ragazzi che abitano a Selva di Zandobbio ed io rispondo in modo affermativo. E così, dopo aver salutato tutti, la nostra piccola combriccola sale in auto e parte.
continua
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