venerdì 14 aprile 2023

STORIE DI VITA DI ZANDOBBIO. I "castich" Barcella. 2

 



Angelo invece era diverso, era il fratello maggiore, un anno più di Luigi.
Lui viveva  con il suo carretto e con il suo cavallo. Avanti e indietro, tra Montello, Cenate, Seriate, Bergamo. 
Trasportava di tutto, dalla ghiaia del fratello al legno, alle merci più strane. Partiva di mattina e tornava di sera e il suo fidato mezzo lo seguiva ovunque. L'aveva utiulizzato anche in viaggio di nozze, per trasportare sposa e bagagli fino  alla vicina stazione ferroviaria di Montello, dove il treno lo aspettava sbuffante vapore, pronto a riprendere la sua corsa.
Tre giorni a Milano, viaggio incluso, e poi di nuovo al lavoro. Allora solo i più fortunati se lo potevano permettere. Nessuna località esotica, nessun telefonino cellulare per controllare come andavano gli affari a casa e nemmeno la televisione in camera. A quel tempo le cose andavano così e probabilmente ci si lamentava anche di meno.
La sposa era la giovane Elisabetta Oldrati, che negli anni a seguire dette alla luce più di quindici figli, che Angelo seppe sfamare grazie al suo fiero carretto.
Angelo era alto quasi due metri, una stazza impressionante per un uomo di quell'epoca. Robusto e un poco burbero, è ricordato oggi come un signore che incuteva soggezzione, ma, in fondo, dal cuore d'oro.
"Grande famiglia quella dei Barcella. Lo sa che zio Luigi e zio Angelo sono stati decorati nella Grande guerra, grazie alle coraggiose gesta contro il nemico?"
Angelo e Luigi non sono sempre vissuti a Zandobbio, e non hanno sempre fatto il trasportatore e il capomastro.
In quegli anni c'era la guerra, quella terribile del '15-'18. Gli Alpini italiani combattevano soli sulle nevi dell'Adamello, contro gli Austriaci e contro il freddo, la fame, la paura e i mille pericoli che incombevano tra le montagne, ad oltre tremila metri d'altezza. Coraggio, amor di patria e grande caparbietà potevano essere le uniche ancore di salvezza. 
Il nome di Angelo Barcella è indissolubilmente legato a quello della  52esima compagnia del battaglione Edolo, guidata dal leggendario alpino bergamasco Gennaro Sora, che ha portato i suoi uomini a grandi vittorie, decisive per l'esito finale della guerra. Lo stesso Gennaro Sora è diventato ancora più famoso qualche anno più tardi, partecipando alla spedizione Umberto Nobile nel 1928, tra i ghiacci del Polo Nord, conclusasi tragicamente con la morte di otto membri dell'equipaggio del dirigibile Italia, precipitato il 24 maggio a causa  di una violenta tempesta.
Anche Angelo Barcella avrebbe dovuto prendere parte alle operazioni di soccorso, su richiesta diretta di Sora che tanta stima aveva di lui, ma circostanze avverse glielo impedirono.
Il capitano degli alpini, originario di Foresto Sparso, durante  la guerra  era solito definire il suo sergente con l'appellativo di "gatto delle rocce", tanto l'uomo era abile e veloce nell'insinuarsi tra i costoni di roccia per lanciarsi contro le postazioni austriache. Il soprannome nacque in seguito alla battaglia dei Monticelli, di cui Angelo Barcella fu testimone e grande protagonista.
Una vecchia canzone degli alpini racconta: "In cima al  Monticelli c'è l'ufficio  dei passaporti quei che vi montan vivi ne ridiscendono morti". La Cresta dei Monticelli è stata per quattro anni una spina nel fianco per il nostro esercito. Tutte  le battaglie combattute sull'Adamello non hanno avuto altro scopo che sbaragliare la postazione fortificata che dominava il passo del Tonale.
La primavera del 1918 si sferrò l'attacco decisivo. L'intervento più importante, affidato al battaglione Edolo, prevedeva la conquista  della Cresta dopo aver superato irti pendii esposti al fuoco nemico.
Il compito era duro, e non c'era da farsi illusioni, ma in quei giorni Angelo Barcella scrisse a casa dicendo di stare tranquilli che la sua stella avrebbe continuato a proteggerlo.
La battaglia fu aspra e sanguinosa, e si concluse felicemente per le nostre truppe, cheriuscirono a catturare oltre 870 prigionieri, appropriandosi di cannoni, mitragliatrici e di una grande quantità di altri materiali, che si rivelarono di fondamentale importanza  per l'esito degli scontri successivi.
Durante l'azione l'alpino di Zandobbio si distinse per il grande coraggio tanto da essere premiato con una medaglia d'argento al valore militare, accompagnata da queste parole: "Fu sempre  suscitatore di energie nei propri dipendenti. Sprezzante di ogni pericolo,  irrompeva nelle trincee nemiche trascinando i propri soldati con impeto irresistibile. Benché stremato di forze si slanciava ancora nella lotta, infondendo novello vigore nei suoi soldati, con l'esempio e  con la parola. Cresta dei Monticelli, 26-28 maggio 1918".

                                 continua





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