sabato 24 dicembre 2022

RACCONTI DI FLAVIO MUTTI. Il chierichetto

 IL CHIERICHETTO

Erano le cinque e mezza quando lo scampanio che annunciava la prima messa delle sei mi sveglia dal sonno profondo e prese il sopravvento l'impegno che il bambino di otto anni qual'ero, assolveva con solerzia da diversi anni. Avevo ricevuto tempo addietro l'incarico di chierichetto e ne rispondevo con dedizione.
Quella mattina di Dicembre lo scampanio era più forte  e chiaro e sembrava più strano e nuovo. Vinta la pigrizia di concedermi qualche minuto da sveglio nel tepore delle lenzuola, spronato anche dalla curiosità scostai le lenzuola, mi rivestii in fretta e furia e mi avvicinai alla finestra.
La condensa ghiacciata sui vetri aveva formato dei rilievi decorativi dalla quale filtrava l'azzurrognola luce della luna. Alitando sugli stessi e aiutandomi con il palmo della mano ebbi la gradita sorpresa di una nevicata notturna.
Il manto bianco uniformava l'intero paesaggio e appariva come il provvidenziale intervento divino avverso al disordine dell'umanità; veniva riportata l'armonia della creazione.
Scesi in fretta in strada. I piedi affondavano nella neve soffice, la coltre inviolabile veniva profanata dalle mie orme. Giunto sul sagrato antistante la Chiesa provai la stessa  ripetuta emozione della maestosità della facciata di marmo strappato dalle viscere di quelle terre e modellato dal progetto nonché dalle maestranze di un grande architetto e dai tagliapietre alcuni medaglioni in pietra arenaria incastonati a mezza altezza rappresentavano Santi i cui sguardi austeri richiamano i credenti all'osservanza della rettitudine. Oltre il portone poche candele accese, testimonianza di parsimonia, facevano sì che la luce ancheggiante rischiarava con ritmica alternanza le tenebre.
Regnava un silenzio spettrale interrotto l'istante successivo dalla vecchia sacrista.
"Ah sei arrivato"
Ribattei "Vedo che sono in anticipo".
"Ti accompagno in sacrestia, attendi il parroco; io devo andare a suonale le campane. Dimenticavo: come saprai sono in corso i preparativi per i festeggiamenti del S.Patrono, quindi troverai esposte nel vestibolo le spoglie di S. Claro."
Nell'androne con mia grande sorpresa vidi un sarcofago in cristallo appoggiato su un basamento. Le lastre di cristallo del contenitore erano bordate da un telaio sottile di metallo dorato le cui spigolature erano arricchite da leziosi fiorellini, sbalzati e dorati. Questo involucro ricercato accentuava l'interesse della singolarità del contenuto.
Ad un estremo faceva bella mostra un cranio adagiato su un cuscino di Sangallo. Seguiva il corpo coperto da una sontuosa divisa da cavaliere romanico in manto  rosso, le mani congiunte in grembo gremivano uno spadone che terminava all'altra estremità del corpo. Le sorprese non erano finite. Un vecchio orologio a pendolo inattivo fino ad allora ma ripristinato per tale solennità con un ticchettio sinistro musicava l'intera  scenografia.
Solo, piccolo, impaurito mi aggrappai alla maniglia della porta in cerca di coraggio e nel contempo sbirciavo dalla serratura alla ricerca dell'entrata dei fedeli.
Quand'ecco sentii battere  i colpi dell'orologio a pendolo. Il mio stato d'animo associò quel rumore a qualche diavoleria del Santo, aprii velocemente la  porta e mi infilai nel banco con il cuore in gola. Pregai intensamente e la mia supplica venne esaudita. Arrivò il prete, iniziarono le funzioni e la mattinata scorse senza altre note particolari.
Dopo la cerimonia, venivo congedato con una remunerazione, che veniva investita, rincasando, alla forneria che attirava con il profumo di pane appena sfornato.
La piccola retribuzione investita nella partecipazione all'economia familiare elevava il compiacimento e in parallelo la felicità.


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