martedì 8 giugno 2021

LIBRI. Sulla strada di Jack Kerouac

 

FONTE: "Messaggero di sant'Antonio".
Articolo: "Sulla strada" di NICOLETTA MASETTO.


"Dove andiamo?". "Non lo so, ma dobbiamo andare". Da New York a San Francisco, dal Texas al Messico. Chilometri e chilometri percorsi a piedi, in treno, facendo l'autostop. Attraversando praterie, montagne, deserto. Ore e ore a raccontarsi con un compagno di viaggio. Notti a dormire guardando le stelle o ascoltando musica in locali di avanguardia.
Sulla strada è il diario di viaggio di Jack Kerouac, diventato il manifesto della beat generation senza che il suo autore lo volesse. Un libro cult intramontabile, quasi un testo sacro per il movimento giovanile degli anni '50. Dissacratorio, irriverente, mai misurato, trasgressivo.
Kerouac sceglie la scrittura dopo che un infortunio gli stronca una carriera da campione di football. Per farlo non si siede alla scrivania, ma si mette in cammino. E compie quattro viaggi, dal 1947 al 1950, in compagnia di Neal Cassady. Annota la proprie impressioni su fogli sparsi, dai quali, nel 1951, trae il romanzo, scritto di getto su un unico rotolo di carta di 36 metri. Rifiutato dagli editori, verrà pubblicato nel 1957. Protagonista Sal Paradise, alter ego di Kerouac, e Dean Moriarty, dietro cui si cela Cassady.
Per Sal e Dean la strada è fuga dalla noia, dalla quotidianità, dal precostituito ed è ricerca, contraddizione, sete di conoscenza. Non sanno che cosa li spinga, ma sanno che devono andare, che devono procedere per "perdere paesi", come ha scritto Pessoa, e se stessi: "Nulla dietro di me, tutto davanti a me, com'è sempre sulla strada".
La strada è molto di più che asfalto da calpestare. E' il partire, l'andare con coraggio e speranza; è attesa, emozione e incontro. La strada costringe a discutere con le proprie idee, a costruirsi un proprio pensiero, ad affrontare il destino, a sperimentare, a condividere, a sentire il respiro dei luoghi e dei viandanti e, con essi, il proprio; a cercare la rotta, ad ascoltare la musica fuori e dentro di sé. Non è un caso che tutto venga scritto su un'unica, lunga pagina. L'autore sa bene che la parola strada non dovrebbe avere il plurale: tutte le strade sono, in fondo, la stessa strada.
La ricerca umana e letteraria sono racchiuse, poi, nell'aggettivo beat, perdente, diverso, emarginato, sconfitto. Una scelta di vita, volutamente estranea a un  mondo non autentico, improntato a carriera e consumismo. E poi beat sta anche per ritmo, il ritmo del jazz di Charlie Parker, della prosa del libro, ma anche modello etico che chiede di "suonare" la propria vita e la propria arte senza risparmio, fino all'ultimo respiro.
Il senso forse più pregnante è, però, collegato alla radice beatific. Un abbraccio liberatorio con l'identità e umanità più profonde che sono pieno e maturo distacco da tutto, estasi e vera beatitudine. Una condizione che Kerouac ha cercato tutta la vita e non ha mai trovato. In un'intervista, alla domanda: "Si è detto che la beat generation è una generazione alla ricerca di qualcosa. Che cosa state cercando?", rispose così: "Dio. Voglio che Dio mi mostri il suo volto". E il volto di Dio era ciò che, in fondo, cercava anche il nostro Antonio.


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