FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" di novembre 2016.
ARTICOLO: "L'arte del dialogo" di FULVIO SCAPARRO.
La rissa da cortile, la piazzata plateale, gli stracci che volano, i panni sporchi lavati in pubblico, sono un richiamo irresistibile per molti di noi.
Fingiamo di scandalizzarci per gli insulti, le cattiverie, i particolari scabrosi scambiati tra i contendenti, ma sembra proprio che, quando non siamo coinvolti in prima persona, sia uno spettacolo da non perdere.
I guai degli altri, sbandierati senza pudore, diventano argomento di conversazione per lungo tempo e una sorgente inesauribile di pettegolezzi di cui pare che la nostra vita, evidentemente insipida, abbia bisogno per acquistare un po' di sapore.
Un tempo ci si affacciava o si sbirciava dalle finestre socchiudendole, per vedere e ascoltare senza essere costretti a partecipare.
Oggi, grazie alla tv e ai social, possiamo godere, comodamente seduti in poltrona, del peggio che l'umanità è capace di esibire nei dibattiti, nei talk show e in tutte le occasioni di potenziale confronto e dialogo.
Non conta la forza delle idee e la capacità di farsi capire, non conta il rispetto dovuto a ogni leale avversario e agli stessi spettatori. Conta vincere buttandola in cagnara e non risparmiando quei colpi bassi tanto utili per l'audience.
E che dire quando la rissa non si scatena soltanto in un cortile o in un canale televisivo, ma davanti al mondo intero?
Coloro che hanno assistito ai recenti dibattiti tra i due candidati alla Casa Bianca, sapevano bene che l'esito dell'incontro non riguardava soltanto gli Stati Uniti ma, più o meno direttamente, la loro vita e quella del loro Paese.
Le regole degli interventi erano fissate in modo da evitare l'accavallarsi delle voci dei candidati, in modo che ciascuno avesse modo di esprimersi compiutamente a tutto vantaggio degli ascoltatori.
Eppure, a dimostrazione che l'età non rende necessariamente saggi, i due settantenni aspiranti padroni del mondo si sono scambiati senza troppe urla velenose accuse di comportamenti riprovevoli tali da rendere dubbioso qualunque spettatore imparziale sui criteri di selezione dei candidati in uso in quella grande nazione.
Certo, non eravamo ai livelli di certi talk show pericolosamente vicini allo scontro fisico. Qui i candidati, prima di entrare in scena, si erano preparati con l'aiuto di squadre di esperti, avevano passato ore sotto le cure di massaggiatori, estetisti, truccatori, parrucchieri e stilisti per apparire davanti alle telecamere con qualche anno in meno e al massimo della loro forma.
Ma la sostanza della rissa da cortile, benché mascherata, è restata. Non c'era più l'avversario ma il nemico. E quando l'altro è nemico, non aspettiamoci di capire le ragioni dell'uno e dell'altro.
A la guerre comme a la guerre e niente prigionieri.
Resta la flebile ma non ancora estinta speranza che ciascuno di noi scopra, ascolti, apprezzi e sostenga nel pubblico e nel privato coloro che praticano la difficile arte del dialogo.
Il mondo può avere un futuro se, e solo se, lasciamo spazio alla ragione che ci invita a educare le nostre emozioni, a spezzare il cerchio della visione manichea del mondo, a dialogare con noi stessi e con i nostri simili.
Un tempo ci si affacciava o si sbirciava dalle finestre socchiudendole, per vedere e ascoltare senza essere costretti a partecipare.
Oggi, grazie alla tv e ai social, possiamo godere, comodamente seduti in poltrona, del peggio che l'umanità è capace di esibire nei dibattiti, nei talk show e in tutte le occasioni di potenziale confronto e dialogo.
Non conta la forza delle idee e la capacità di farsi capire, non conta il rispetto dovuto a ogni leale avversario e agli stessi spettatori. Conta vincere buttandola in cagnara e non risparmiando quei colpi bassi tanto utili per l'audience.
E che dire quando la rissa non si scatena soltanto in un cortile o in un canale televisivo, ma davanti al mondo intero?
Coloro che hanno assistito ai recenti dibattiti tra i due candidati alla Casa Bianca, sapevano bene che l'esito dell'incontro non riguardava soltanto gli Stati Uniti ma, più o meno direttamente, la loro vita e quella del loro Paese.
Le regole degli interventi erano fissate in modo da evitare l'accavallarsi delle voci dei candidati, in modo che ciascuno avesse modo di esprimersi compiutamente a tutto vantaggio degli ascoltatori.
Eppure, a dimostrazione che l'età non rende necessariamente saggi, i due settantenni aspiranti padroni del mondo si sono scambiati senza troppe urla velenose accuse di comportamenti riprovevoli tali da rendere dubbioso qualunque spettatore imparziale sui criteri di selezione dei candidati in uso in quella grande nazione.
Certo, non eravamo ai livelli di certi talk show pericolosamente vicini allo scontro fisico. Qui i candidati, prima di entrare in scena, si erano preparati con l'aiuto di squadre di esperti, avevano passato ore sotto le cure di massaggiatori, estetisti, truccatori, parrucchieri e stilisti per apparire davanti alle telecamere con qualche anno in meno e al massimo della loro forma.
Ma la sostanza della rissa da cortile, benché mascherata, è restata. Non c'era più l'avversario ma il nemico. E quando l'altro è nemico, non aspettiamoci di capire le ragioni dell'uno e dell'altro.
A la guerre comme a la guerre e niente prigionieri.
Resta la flebile ma non ancora estinta speranza che ciascuno di noi scopra, ascolti, apprezzi e sostenga nel pubblico e nel privato coloro che praticano la difficile arte del dialogo.
Il mondo può avere un futuro se, e solo se, lasciamo spazio alla ragione che ci invita a educare le nostre emozioni, a spezzare il cerchio della visione manichea del mondo, a dialogare con noi stessi e con i nostri simili.
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