giovedì 14 gennaio 2016

VIVERE INSIEME. Paura, cattiva consigliera


FONTE: "Messaggero di Sant'Antonio" dicembre 2015 Articolo: "Paura, cattiva consigliera" di ADA FONZI (professore emerito psicologia dello sviluppo).

Paura, cattiva consigliera

"Perché avete paura di me?". E' questo l'interrogativo che una migrante siriana ha rivolto a un fotoreporter che era riuscito a intervistarla durante il suo lungo viaggio verso la frontiera austriaca. Era così riuscita a riassumere efficacemente lo sconcerto, il disagio, la mortificazione che l'accoglienza negata le avevano suscitato. Ma non solo. Aveva colto nella paura la causa di quel rifiuto, anche se non riusciva a ravvisarne il perché. Aveva ragione. Alla base dell'ostilità, dell'indifferenza, del rifiuto che hanno accompagnato la lunga marcia di questa migrazione epocale c'è proprio un sentimento oscuro, spesso non riconosciuto, di paura. Qualcosa che attanaglia, toglie il fiato, induce a stringere a sé le proprie piccole cose per salvarle dal predone in arrivo. Ma di che cosa abbiamo paura?

Molti sono gli elementi che possono innescare sentimenti di paura, e variano in rapporto alle circostanze di cui siamo immersi. Da bambini possiamo avere paura del buio, degli orchi, dei serpenti, da grandi paura di perdere una persona cara o il posto di lavoro. La paura di cui parlava la giovane siriana ha origini profonde e meno riconoscibili, anche se spesso camuffate da motivazioni apparentemente razionali. Si ha paura che i nuovi arrivati mettano in crisi la nostra economia, che contendano il posto di lavoro ai nostri figli, che costituiscano un pericolo per l'ordine e la sicurezza delle nostre città. Alla base, invece, c'è la paura che il diverso, lo sconosciuto, possa scardinare i nostri schemi di riferimento, le nostre credenze, le nostre abitudini, persino i nostri gusti estetici o alimentari.
 Gli studi psicologici affrontano da tempo queste problematiche, riconoscendo nella dissonanza cognitiva uno dei motivi dei possibili conflitti tra gli uomini. Tutte le volte che incontriamo qualcosa o qualcuno che esula dai comodi schemi nei quali ci siamo adagiati entriamo in crisi e abbiamo paura. E dalla paura alla creazione di uno stereotipo negativo, il passo è breve. Ecco allora che il migrante, anche se non abbiamo avuto alcun contatto diretto con lui, diventa l'usurpatore, il possibile terrorista, o comunque qualcuno che nella sua corsa al benessere finirà per travolgere il nostro. 

Molti  anni fa mi sono occupata di un fenomeno in parte analogo a quello attuale, sia pure su scala molto ridotta. In una ricerca condotta negli anni '50, in occasione dell'immigrazione dal Sud d'Italia verso le fabbriche del Nord, ho assistito all'emergere, nella popolazione piemontese, di uno stereotipo del meridionale piuttosto netto e rigido. Si esprimeva, ad esempio verbalmente, attraverso la scelta di aggettivi a connotazione in prevalenza negativa: geloso, impulsivo, superstizioso, commediante risultavano più frequenti di quanto non fossero intelligente o generoso. La ricerca, però, mi aveva riservato un altra sorpresa, permettendomi di accertare la dipendenza dello stereotipo da situazioni di vita, preparazione culturale e maturità sociale dei soggetti. Erano stati sottoposti alla ricerca gruppi diversi di soggetti di estrazione variegata e, tra gli altri, un gruppo di operai di una fabbrica che aveva assorbito molti immigrati e un altro composto da allieve di una scuola per assistenti sociali. Ebbene, sono stati gli operai, che avevano avuto modo di conoscere da vicino i nuovi arrivati, a presentare un atteggiamento meno stereotipo e più positivo nei loro confronti, seguiti a ruota dalle allieve assistenti sociali, che erano perfino arrivate ad accettarli come "amici personali". Mi vien da pensare che, al di là di qualsiasi pur valida valutazione politica ed economica, la conoscenza diretta, l'attività in comune, un'adeguata preparazione culturale siano gli antidoti più potenti nei confronti di quel vergognoso ostracismo di cui molti Paesi hanno dato prova.



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