giovedì 14 gennaio 2016

SALUTE. Tattoo, mon amour


FONTE: AVIS - Articolo su "La voce del donatore" di dicembre 2015.

Tattoo, mon amour

Scegliere ambienti professionali e procedure corrette e asettiche

Riprendiamo il titolo e il contenuto di una campagna del Centro nazionale sangue (Cns) per approfondire un tema che coinvolge anche i donatori. Non intendiamo demonizzare il tatuaggio che il più delle volte, attraverso disegni bellissimi e fantasiosi, ha l'obiettivo di raccontare qualcosa di noi stessi, della nostra personalità, di un evento che è stato o è ancora significativo della nostra esistenza.
Ma, a fronte di una serie di richieste di informazione, ci preme puntualizzare la situazione per quanto riguarda il rischio infettivologico ricordando che, a proposito della donazione, si prevede una sospensione di 4 mesi.
Farsi tatuale è una questione di poche ore, ma, visto che si tratta di una decisione di modificare il proprio corpo in modo permanente, l'invito è di  non farlo con leggerezza e soprattutto di rivolgersi ad una struttura professionale.

Un po' di storia
Il tatuaggio vanta una storia millenaria, di oltre cinquemila anni. Il termine deriva, secondo le testimonianze del capitano James Cook, dall'onomatopeico "tau-tau", di origini tahitiane, e che sta ad indicare il rumore del picchiettio dell'ago di legno sulla pelle. Prime testimonianze si trovano sul corpo della mummia Otzi, rinvenuta sulle Alpi e risalente a circa 5.300 anni fa. In Egitto le danzatrici erano tatuate con ornamenti, mentre i Celti si decoravano con figure animali, che adoravano come divinità. I romani iniziano a tatuarsi in seguito alle battaglie con i britannici, di cui ne ammirano la forza. Oggetto di ricerche da parte di psicologi, sociologi e tanti altri studiosi, il tatuaggio, la cui storia contemporanea nel mondo occidentale inizia verso gli anni Sessanta del Novecento, rappresenta un marchio di riconoscimento, che sia di esibizione o di differenziazione.

Qualche dato sui rischi
Una recente ricerca condotta dall'Università di Roma 2, Tor Vergata, su 2500 studenti liceali, attraverso un questionario anonimo, ha evidenziato come il 24% di essi abbia avuto complicanze infettive; solo il 17% ha firmato un consenso informato e solo il 54% è quasi sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati. Di contro, nel mese di giugno, la rivista Hepatology, ha pubblicato uno studio "Associaton of tattooing and hepatitis C virus infection: a multicenter case control study" dove si dimostra come l'infezione da Hcv principalmente si trasmetta attraverso: 1) riutilizzo di aghi monouso; 2) la mancata sterilizzazione del materiale; 3) il riutilizzo d'inchiostro contaminato con sangue infetto. Ma il dato scientificamente più interessante sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell'inchiostro, variabile da pochi giorni nell'ambiente a quasi un mese nell'anestetico: dato ancor più preoccupante se incrociato con la scelta degli adolescenti verso locali spesso economici e non a norma di legge.
Infatti gli infettivologi riscontrano che i casi rilevati di epatite contratti attraverso piercing e tatuaggi sono strettamente correlati a setting che non rispettano le norme igieniche in cui il "cliente" si espone ad un rischio molto superiore che in caso di ambienti professionali, ove la procedura è eseguita correttamente e in modo asettico. Recentemente è stato stimato che, nel nostro Paese, una quota di casi di epatite C acuta superiore al 10% è attribuibile ai trattamenti estetici. Inoltre, esclusi i tossicodipendenti dall'analisi, condotta dall'osservatorio Seieva (Sorveglianza delle epatiti virali acute), si può stimare che coloro i quali si sottopongono al tatuaggio hanno un rischio 3,4 volte più alto di contrarre l'epatite C rispetto a chi non si sottopone.

A proposito di rimozione
In Italia, secondo i dati raccolti dall'Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica (Aicpe) solo nel 2014 le rimozioni sono state 12.000 e non sempre l'operazione ha dato il risultato sperato, perché l'efficacia del trattamento dipende da colore, profondità, densità e tipo di pigmento e dal fototipo del paziente, ovvero dal colore della pelle.
Dunque attenzione perché un momento di piacevole spensieratezza, può tradursi in un procedimento un poco anche doloroso, talvolta lungo e forse permanente.







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