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FONTE: libro " Una persona alla volta " di GINO STRADA edito da Feltrinelli.
Quando si discute di una nuova proposta, di un progetto da realizzare, c'è sempre chi elenca i potenziali rischi, chi si addentra nella disamina delle difficoltà, chi sviscera i problemi prima ancora che si materializzino. Si spera in questo modo di definire un possibile scenario, una visione realistica che consenta di orientare la decisione.
A me è sempre piaciuto pensare che l'approccio migliore sia diverso, in qualche modo opposto. Prima si decide di fare una cosa, poi si pensa al come e a tutto il resto.
E' la decisione, la scelta di mettersi in gioco, che dà energia e stimoli, che obbliga ad affrontare i tanti problemi e a trovare soluzioni.
Se invece non c'è stata ancora una decisione, se non si è detto quel "proviamoci", sarà molto più facile arrendersi alle prime difficoltà, perdere fiducia al primo imprevisto.
L'idea di fondo era semplice: mettere su una piccola organizzazione capace di curare i feriti di guerra anche in condizioni di emergenza. Era insieme un lavoro stimolante e una risposta a un bisogno.
Per anni avevo visto feriti di guerra ammassati nei pick-up o distesi su camion colorati pieni di sonagli, trasportati da muli o da cammelli. Sangue incrostato sui vestiti carichi di polvere, facce disperate sfinite dal dolore, ragazzi senza un lamento, ragazzi, senza rabbia né pianto, la cui vita in un attimo era stata stravolta dalla guerra. Feriti che sarebbero morti per assenza di cure, di medici, di ospedali.
Era possibile aiutare, e noi avevamo preso la decisione di farlo, o almeno di provarci.