FONTE: Notiziario parrocchiale settimanale di Albegno e dintorni.
DECOROSA POVERTA'
Ho conosciuto da bambino un ometto che viveva sotto le arcate della strada che da Villongo scende a Sarnico.
Tutti lo chiamavano "Mec". Non ho mai saputo il suo vero nome.
"Mec" era diventato un sinonimo di persona trasandata e sporca. Il suo cuore, però, era buono. Non avrebbe mai fatto male ad una mosca.
Passava di casa in casa a raccogliere qualcosa per poter vivere. Si accontentava di quello che ognuno gli dava.
I poveri di quel tempo erano poveri semplici e nostrani, come i cibi che allora comparivano sulle tavole. I poveri continuano ad esserci anche oggi. Sono molto di più rispetto a quel tempo, ma sono anche molto più diversificati.
C'è il povero ancora vecchio stampo che è ridotto a vivere per strada: qualcuno per scelta di vita; molti di più per le vicissitudini che li hanno colpiti.
C'è chi si presenta come povero, ma le realtà è solo un viziato che fuma come i comignoli in pieno inverno e beve come una spugna e passa le ore davanti alle macchinette da gioco: passa a cercare soldi per mantenere queste sue devianze.
C'è chi è povero perché sfaccendato; non ha voglia di lavorare, e campa di piccoli espedienti.
Quest'estate ho incontrato la povertà dignitosa.
Sono seduto fuori da un bar con alcuni amici quando vedo una famiglia: papà, mamma e quattro figli, tutti piccoli e in scala crescente, fermarsi sul marciapiede e guardare verso la vetrina dei gelati collegata a quel bar.
Capisco che si tratta di una famiglia povera, dagli abiti che indossano, e dalla titubanza dei genitori a soddisfare la voglia di gelato dei figli. Prima devono fare i conti con quello che hanno in tasca.
Mi ha colpito la compostezza di quel quadro familiare: nei bambini nessuna impazienza e nessun capriccio. Restano in attesa della decisione dei genitori.
Poi la gioia e la corsa, dopo che i genitori hanno calcolato che le monete bastavano per tutti e quattro.
Tutte le altre forme di povertà sono da combattere perché umiliano la persona.
Ma la povertà vissuta da questa famiglia va salvaguardata perché è un vero patrimonio umano da cui attingere per creare le condizioni necessarie per un'educazione sempre più profonda e decisa tra i componenti della famiglia.
Tutti lo chiamavano "Mec". Non ho mai saputo il suo vero nome.
"Mec" era diventato un sinonimo di persona trasandata e sporca. Il suo cuore, però, era buono. Non avrebbe mai fatto male ad una mosca.
Passava di casa in casa a raccogliere qualcosa per poter vivere. Si accontentava di quello che ognuno gli dava.
I poveri di quel tempo erano poveri semplici e nostrani, come i cibi che allora comparivano sulle tavole. I poveri continuano ad esserci anche oggi. Sono molto di più rispetto a quel tempo, ma sono anche molto più diversificati.
C'è il povero ancora vecchio stampo che è ridotto a vivere per strada: qualcuno per scelta di vita; molti di più per le vicissitudini che li hanno colpiti.
C'è chi si presenta come povero, ma le realtà è solo un viziato che fuma come i comignoli in pieno inverno e beve come una spugna e passa le ore davanti alle macchinette da gioco: passa a cercare soldi per mantenere queste sue devianze.
C'è chi è povero perché sfaccendato; non ha voglia di lavorare, e campa di piccoli espedienti.
Quest'estate ho incontrato la povertà dignitosa.
Sono seduto fuori da un bar con alcuni amici quando vedo una famiglia: papà, mamma e quattro figli, tutti piccoli e in scala crescente, fermarsi sul marciapiede e guardare verso la vetrina dei gelati collegata a quel bar.
Capisco che si tratta di una famiglia povera, dagli abiti che indossano, e dalla titubanza dei genitori a soddisfare la voglia di gelato dei figli. Prima devono fare i conti con quello che hanno in tasca.
Mi ha colpito la compostezza di quel quadro familiare: nei bambini nessuna impazienza e nessun capriccio. Restano in attesa della decisione dei genitori.
Poi la gioia e la corsa, dopo che i genitori hanno calcolato che le monete bastavano per tutti e quattro.
Tutte le altre forme di povertà sono da combattere perché umiliano la persona.
Ma la povertà vissuta da questa famiglia va salvaguardata perché è un vero patrimonio umano da cui attingere per creare le condizioni necessarie per un'educazione sempre più profonda e decisa tra i componenti della famiglia.
Decorosa povertà
Seduto al tavolo d'un bar coi miei amici,
mentre gusto un buon gelato artigianale,
osservo quanti passano contenti o infelici
notando in ognuno un proprio tratto originale.
Guardo attento una famiglia con indosso vecchi panni,
papà, mamma e quattro figli tutti in scala decrescente,
la più grande è una bambina forse meno di nove anni,
il più piccolo è in braccio non ancora indipendente.
Sono fermi a distanza e guardan verso il gelataio.
Papà e mamma fanno i conti con gli spiccioli che hanno.
Forse bastano per tutti, ma c'è pure il fornaio...
I quattro bimbi, silenziosi, in attesa se ne stanno.
Il papà guarda la mamma che con un sorriso annuisce,
poi allunga alla più grande una manciata di soldini;
lei li accoglie e stringe pugno...vedo in volto che gioisce,
e, via di corsa verso il banco insieme agli altri fratellini.
Con il passo più pacato segue mamma e il piccolino,
mentre il babbo attende in strada osservando compiaciuto.
Per ognuno il gelataio predispone un pallino:
è quanto basta perché il clima della festa sia compiuto.
Anche il piccolo che è in braccio ha diritto alla sua parte;
la sorella gliela porge con un bel sorriso in volto.
Per lui mamma prende il cono con bel garbo, e con arte
lo offre al bimbo che, felice, mostra d'esser coinvolto.
Io resto a guardare un po' commosso e incantato.
Vorrei correre verso il banco e raddoppiare quei gelati,
ma il buon senso mi trattiene: chè non venga rovinato
il messaggio dignitoso di quegli Angeli incarnati.
don Camillo
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