FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" dicembre 2019.
Articolo: "Rumore fuori posto" di LUCETTA SCARAFFIA.
Anche oggi, aprendo il giornale, ho provato un senso di angoscia: al termine del funerale dei due agenti uccisi da uno squilibrato a Trieste, la folla che riempiva la chiesa è scoppiata in un fragoroso applauso. Lo dichiaro subito: trovo orribili gli applausi in chiesa, sempre, ma ancor di più quelli che accompagnano la fine di un funerale.
L'applauso è un'abitudine molto antica degli esseri umani, che ha accompagnato le esibizioni sportive, gli spettacoli teatrali e, soprattutto in tempi più recenti, l'orazione politica. In generale l'applauso è stato sempre la risposta a una performance ben riuscita, in qualche caso più raro un segnale di sostegno a una persona in stato di necessità. Senza dubbio un forte segnale di gradimento politico, se prodigato durante una riunione di questo tipo, oppure, in caso di esibizioni artistiche, di apprezzamento della qualità dello spettacolo offerto. A tal punto che è stato inventato uno strumento, l'applausometro, per segnalarne con precisione la durata e, da questa, confrontata con quella di altri applausi rivolti a personaggi concorrenti, trarre conclusioni sulla popolarità e l'indice di gradimento delle persone messe sotto esame.
Esiste un altro modo per segnalare la totale condivisione con un oratore politico, oppure l'entusiasmo provocato da un attore e da un artista, la standing ovation, cioè il rafforzamento dell'applauso con l'alzarsi in piedi tutti nello stesso momento. Una doppia forma di consenso, di apprezzamento, un doppio riconoscimento.
Che cosa centra tutto questo con un funerale?
Non c'è spettacolo, non c'è discorso da festeggiare, semplicemente si assiste a un rito, a una cerimonia per accompagnare il morto nel suo passaggio a un altro mondo che non conosciamo. C'è una perdita, una mancanza da medicare, un dolore da alleviare: certamente niente da festeggiare.
Fosse anche il funerale di un comico famosissimo, non è più il momento degli applausi: ora è il momento triste del saluto finale, è il momento in cui tutti i presenti sono posti di fronte alla mortalità di ogni essere umano, quindi anche alla propria morte. Si capisce benissimo che non c'è niente da applaudire. Il silenzio senza dubbio è l'accompagnamento più appropriato a momenti simili, un silenzio di raccoglimento e di preghiera. Il silenzio è l'accompagnamento più serio anche nel caso di funerali laici, nel corso dei quali i presenti si confrontano comunque con la loro mortalità.
Il rumore fuori posto dell'applauso impedisce ogni forma di raccoglimento, ogni preghiera, ogni riflessione sulla morte, della persona che salutiamo e nostra. Segnala il disagio e la paura con cui la nostra società affronta la morte, cercando sempre di negarla, di nasconderla. Con l'applauso fingiamo che la persona morta sia ancora tra noi e stia recitando una performance, che noi festeggiamo come sempre. Fingiamo quasi che sia un compleanno.
Questa orribile moda, che sta prendendo sempre più piede, per di più con il consenso dei sacerdoti - che del resto hanno sdrammatizzato la cerimonia funebre, eliminando preghiere meravigliose come il salmo de profundis, così perfetto per questa circostanza - non fa che rendere evidente l'incapacità della nostra società a vivere la morte, a confrontarsi con il mistero che avvolge le nostre vite. Incapacità che diventa rumorosa negazione: per favore, non applaudiamo più ai funerali. Accettiamo di stare qualche minuto in silenzio, facendoci toccare dal dolore della separazione, dal mistero di che cosa succede dopo. Cioè accettando la nostra condizione di esseri umani.
L'applauso è un'abitudine molto antica degli esseri umani, che ha accompagnato le esibizioni sportive, gli spettacoli teatrali e, soprattutto in tempi più recenti, l'orazione politica. In generale l'applauso è stato sempre la risposta a una performance ben riuscita, in qualche caso più raro un segnale di sostegno a una persona in stato di necessità. Senza dubbio un forte segnale di gradimento politico, se prodigato durante una riunione di questo tipo, oppure, in caso di esibizioni artistiche, di apprezzamento della qualità dello spettacolo offerto. A tal punto che è stato inventato uno strumento, l'applausometro, per segnalarne con precisione la durata e, da questa, confrontata con quella di altri applausi rivolti a personaggi concorrenti, trarre conclusioni sulla popolarità e l'indice di gradimento delle persone messe sotto esame.
Esiste un altro modo per segnalare la totale condivisione con un oratore politico, oppure l'entusiasmo provocato da un attore e da un artista, la standing ovation, cioè il rafforzamento dell'applauso con l'alzarsi in piedi tutti nello stesso momento. Una doppia forma di consenso, di apprezzamento, un doppio riconoscimento.
Che cosa centra tutto questo con un funerale?
Non c'è spettacolo, non c'è discorso da festeggiare, semplicemente si assiste a un rito, a una cerimonia per accompagnare il morto nel suo passaggio a un altro mondo che non conosciamo. C'è una perdita, una mancanza da medicare, un dolore da alleviare: certamente niente da festeggiare.
Fosse anche il funerale di un comico famosissimo, non è più il momento degli applausi: ora è il momento triste del saluto finale, è il momento in cui tutti i presenti sono posti di fronte alla mortalità di ogni essere umano, quindi anche alla propria morte. Si capisce benissimo che non c'è niente da applaudire. Il silenzio senza dubbio è l'accompagnamento più appropriato a momenti simili, un silenzio di raccoglimento e di preghiera. Il silenzio è l'accompagnamento più serio anche nel caso di funerali laici, nel corso dei quali i presenti si confrontano comunque con la loro mortalità.
Il rumore fuori posto dell'applauso impedisce ogni forma di raccoglimento, ogni preghiera, ogni riflessione sulla morte, della persona che salutiamo e nostra. Segnala il disagio e la paura con cui la nostra società affronta la morte, cercando sempre di negarla, di nasconderla. Con l'applauso fingiamo che la persona morta sia ancora tra noi e stia recitando una performance, che noi festeggiamo come sempre. Fingiamo quasi che sia un compleanno.
Questa orribile moda, che sta prendendo sempre più piede, per di più con il consenso dei sacerdoti - che del resto hanno sdrammatizzato la cerimonia funebre, eliminando preghiere meravigliose come il salmo de profundis, così perfetto per questa circostanza - non fa che rendere evidente l'incapacità della nostra società a vivere la morte, a confrontarsi con il mistero che avvolge le nostre vite. Incapacità che diventa rumorosa negazione: per favore, non applaudiamo più ai funerali. Accettiamo di stare qualche minuto in silenzio, facendoci toccare dal dolore della separazione, dal mistero di che cosa succede dopo. Cioè accettando la nostra condizione di esseri umani.
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