FONTE: "MISSIONARI SAVERIANI" 2017 agosto/settembre n° 7.
Articolo: Record poco invidiabile" di GIORGIO BERETTA.
E' la miglior performance dell'Italia dal dopoguerra. Un record storico, di cui però, stranamente, non sentiamo parlare nei talk show. Al massimo si trova un trafiletto su qualche quotidiano.
Di cosa stiamo parlando?
Delle autorizzazioni all'esportazione di armi e sistemi militari rilasciate dall'Italia nel 2016. Ammontano a 14,6 miliardi di euro.
Dal dopoguerra l'Italia non ha mai esportato tanti armamenti nel mondo, nemmeno durante gli anni in cui a Castenedolo (BS) si producevano le micidiali mine anti persona, messe al bando nel 1997 prima in Italia e poi dall'Onu nel 1999, con l'entrata in vigore del trattato di Ottawa.
In questo senso, ricordiamo l'impegno di p. Marcello Storgato e dell'associazione "Mine Action Italy".
In quegli anni l'Italia riusciva a piazzare mine Valmara della Valsella Meccanotecnica a mezzo mondo, anche a paesi in guerra tra loro come Iran e Iraq. Il tutto era coperto dal "segreto di Stato" dai tempi del Regio Decreto n. 1161 dell'11 luglio 1941, firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi, che è rimasto in vigore fino al 1990.
E' stato, infatti, solo grazie all'ampia mobilitazione della società civile e dell'associazionismo laico e cattolico, e in particolare alla campagna "Contro i mercanti di morte" (promossa tra gli altri anche dalla rivista "Missioni Oggi" dei saveriani), se il nostro paese è arrivato a dotarsi di una legge per regolamentare questa materia.
E' la n. 185 che il 9 luglio 1990 ha stabilito "Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento".
Vengono introdotti una serie di divieti molto precisi tra cui, soprattutto, quello di esportare armamenti a nazioni in conflitto, a Stati che fomentano il terrorismo, a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e a nazioni che, ricevendo aiuti dall'Italia, spendono ampie risorse nel settore militare.
La nostra legge è diventata presto un modello per diverse cancellerie europee e anche per comporre il Codice di Condotta sul commercio di armi dell'Unione Europea. Ma è sempre risultata indigesta - e osteggiata - da vari settori dell'industria e degli apparati militari che non hanno mai visto di buon'occhio i controlli introdotti.
Costoro, soprattutto, non hanno mai sopportato che ogni anno il Presidente del Consiglio, debba, per legge, predisporre una dettagliata relazione al Parlamento per rendere conto dell'attività svolta dal governo riguardo alle autorizzazioni rilasciate e alle consegne di armamenti effettuate. Mantenere un basso profilo e non sollevare troppa attenzione pubblica è, infatti, un requisito fondamentale per chi vorrebbe fare affari indisturbato.
Anche un altro e ancor più preoccupante primato è passato inosservato.
Riguarda le esportazioni di sistemi militari autorizzate ai paese con cui l'Italia non ha alleanze politiche o militari. Nel 2016 hanno, infatti, superato i 9,2 miliardi di euro le autorizzazioni a nazioni non appartenenti all'Unione europea o alla Nato: rappresentano il 63,1% del totale.
La relazione inviata alle Camere lo scorso 18 aprile lo giustifica adducendo una mera "ripresa del settore". E' invece una vera anomalia, a cui se ne aggiunge un'altra più inquietante: la maggior parte degli armamenti è stata destinata ai paese nelle aree di maggior tensione al mondo, Nord Africa e Medio Oriente. Qui - tra dittatori, regimi autoritari, monarchie assolute islamiche e sostenitori diretti o indiretti dello jihadismo - nel 2016 il governo italiano ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro, pari al 58,8 % del totale.
C'è tutto l'arsenale bellico: dai caccia intercettatori ai sistemi elettronici di sorveglianza, dal munizionamento pesante alle armi leggere, dalle apparecchiature per la direzione del tiro ai blindati alle navi da guerra. Anche questo è un altro record, ma pochi si sono chiesti se esportare armi e sistemi militari a certi regimi serva davvero a promuovere la pace e la nostra sicurezza.
Come queste esportazioni rispettino le norme della nostra legge è tutto da capire.
Per questo, la Rete italiana per il disarmo, di cui fanno parte una trentina di associazioni nazionali tra cui la Conferenza degli istituti missionari in Italia (CIMI), ha chiesto al Parlamento di esaminare la Relazione ricevuta dal governo e di ascoltare le osservazioni delle nostre associazioni.
E' stato, infatti, solo grazie all'ampia mobilitazione della società civile e dell'associazionismo laico e cattolico, e in particolare alla campagna "Contro i mercanti di morte" (promossa tra gli altri anche dalla rivista "Missioni Oggi" dei saveriani), se il nostro paese è arrivato a dotarsi di una legge per regolamentare questa materia.
E' la n. 185 che il 9 luglio 1990 ha stabilito "Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento".
Vengono introdotti una serie di divieti molto precisi tra cui, soprattutto, quello di esportare armamenti a nazioni in conflitto, a Stati che fomentano il terrorismo, a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e a nazioni che, ricevendo aiuti dall'Italia, spendono ampie risorse nel settore militare.
La nostra legge è diventata presto un modello per diverse cancellerie europee e anche per comporre il Codice di Condotta sul commercio di armi dell'Unione Europea. Ma è sempre risultata indigesta - e osteggiata - da vari settori dell'industria e degli apparati militari che non hanno mai visto di buon'occhio i controlli introdotti.
Costoro, soprattutto, non hanno mai sopportato che ogni anno il Presidente del Consiglio, debba, per legge, predisporre una dettagliata relazione al Parlamento per rendere conto dell'attività svolta dal governo riguardo alle autorizzazioni rilasciate e alle consegne di armamenti effettuate. Mantenere un basso profilo e non sollevare troppa attenzione pubblica è, infatti, un requisito fondamentale per chi vorrebbe fare affari indisturbato.
Anche un altro e ancor più preoccupante primato è passato inosservato.
Riguarda le esportazioni di sistemi militari autorizzate ai paese con cui l'Italia non ha alleanze politiche o militari. Nel 2016 hanno, infatti, superato i 9,2 miliardi di euro le autorizzazioni a nazioni non appartenenti all'Unione europea o alla Nato: rappresentano il 63,1% del totale.
La relazione inviata alle Camere lo scorso 18 aprile lo giustifica adducendo una mera "ripresa del settore". E' invece una vera anomalia, a cui se ne aggiunge un'altra più inquietante: la maggior parte degli armamenti è stata destinata ai paese nelle aree di maggior tensione al mondo, Nord Africa e Medio Oriente. Qui - tra dittatori, regimi autoritari, monarchie assolute islamiche e sostenitori diretti o indiretti dello jihadismo - nel 2016 il governo italiano ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro, pari al 58,8 % del totale.
C'è tutto l'arsenale bellico: dai caccia intercettatori ai sistemi elettronici di sorveglianza, dal munizionamento pesante alle armi leggere, dalle apparecchiature per la direzione del tiro ai blindati alle navi da guerra. Anche questo è un altro record, ma pochi si sono chiesti se esportare armi e sistemi militari a certi regimi serva davvero a promuovere la pace e la nostra sicurezza.
Come queste esportazioni rispettino le norme della nostra legge è tutto da capire.
Per questo, la Rete italiana per il disarmo, di cui fanno parte una trentina di associazioni nazionali tra cui la Conferenza degli istituti missionari in Italia (CIMI), ha chiesto al Parlamento di esaminare la Relazione ricevuta dal governo e di ascoltare le osservazioni delle nostre associazioni.
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