FONTE: Messaggero di sant'Antonio febbraio 2016.
Articolo "Le nuove schiave" di LUCETTA SCARAFFIA.
LE NUOVE SCHIAVE
Finalmente anche in Italia si è aperta la discussione sull'utero in affitto: sembrava solo un problema lontano, ma recenti sentenze relative a coppie che richiedevano il riconoscimento di figli così ottenuti e riconosciuti all'estero, nonché la prospettiva della legge che legittimerà le coppie omosessuali, hanno fatto capire che la questione toccava anche noi.
A questo si è aggiunta, finalmente, una presa d'atto del problema da parte delle femministe francesi - e a ruota di quelle italiane - che ha portato la questione sui banchi del parlamento europeo.
A un primo sguardo, superficiale, il prestito dell'utero da parte di una donna che accetta di affrontare una gravidanza per conto di una coppia sterile - e quindi anche omosessuale, che è sterile per definizione - può apparire un atto generoso, uno dei tanti aiuti che si possono dare per sconfiggere la sterilità crescente con l'aiuto del progresso medico. Perché, ovviamente, qui l'inseminazione viene fatta in un laboratorio, e nell'embrione installato, spesso, o l'ovulo o lo spermatozoo, se non entrambi, non appartengono biologicamente ai genitori "sociali", a quelli cioè che hanno commissionato il figlio.
Anzi, se c'è necessità di ricorrere a un ovulo esterno esso viene scelto appositamente diverso da quello della donna che offre l'utero, in modo da evitare il più possibile pretese di maternità. La figura materna quindi viene divisa in tre parti - donatrice di ovulo, prestatrice di utero, e madre che alleverà il bambino - e di conseguenza è sottoposta a un forte impoverimento non solo reale, ma anche simbolico.
Alcune inchiesta uscite sui giornali fanno capire che i meno abbienti tra gli occidentali che desiderano un figlio e vivono in Paesi - numerosi - in cui l'affitto dell'utero non è permesso, si rivolgono ai Paesi poveri dell'Asia, dove esistono organizzazioni specializzate nel mettere in contatto queste coppie con le future madri e realizzare l'inseminazione. In India l'organizzazione arriva a prevedere la reclusione di queste donne, durante la gravidanza, in case dove è sorvegliata l'igiene, l'alimentazione, il riposo delle gravide, in modo da garantire un prodotto migliore. E' evidente che queste donne, spesso vendute dalle famiglie, sono trattate come mucche di allevamento.
Questa mancanza di rispetto umano è presente anche in Paesi avanzati, come la California, dove la legge consente la maternità surrogata. Qui è molto più costoso aggiudicarsi un figlio, ma i controlli sono più rigorosi: no a candidate che vendono l'utero per sopravvivere - e quindi vivano in condizioni degradate -, sì solo a chi lo fa per migliorare la propria posizione sociale. Anche qui vengono controllate salute e condizioni di vita delle candidate e la stessa organizzazione che le mette in contatto con le coppie fornisce anche ovuli e spermatozoi, da comprare in caso di necessità. Ma la cosa più terribile è che le donne che affittano l'utero, attraverso la firma di un contratto, non solo devono rifiutare già da prima qualsiasi diritto sul bambino che porteranno in grembo, ma sono anche costrette ad abortire se i committenti cambiano idea o se il feto risulta "danneggiato". Per fortuna, almeno una parte delle femministe si è resa conto che si tratta di un nuovo e terribile sfruttamento del corpo femminile, una nuova schiavitù, e ha condannato questo commercio. Ma c'è ancora chi pensa sia legittimo, almeno nel caso in cui avvenga in modo volontario, senza passaggio di denaro. Come se tutto ciò che si trasmette, dal punto di vista biologico e psicologico, tra una donna e il feto che cresce nel suo grembo, non conti niente, che la donna sia un mero contenitore. Non si tratta quindi solo di una gravissima forma di sfruttamento, ma di una pericolosa negazione del valore della maternità e quindi, ancora una volta, della donna.
A un primo sguardo, superficiale, il prestito dell'utero da parte di una donna che accetta di affrontare una gravidanza per conto di una coppia sterile - e quindi anche omosessuale, che è sterile per definizione - può apparire un atto generoso, uno dei tanti aiuti che si possono dare per sconfiggere la sterilità crescente con l'aiuto del progresso medico. Perché, ovviamente, qui l'inseminazione viene fatta in un laboratorio, e nell'embrione installato, spesso, o l'ovulo o lo spermatozoo, se non entrambi, non appartengono biologicamente ai genitori "sociali", a quelli cioè che hanno commissionato il figlio.
Anzi, se c'è necessità di ricorrere a un ovulo esterno esso viene scelto appositamente diverso da quello della donna che offre l'utero, in modo da evitare il più possibile pretese di maternità. La figura materna quindi viene divisa in tre parti - donatrice di ovulo, prestatrice di utero, e madre che alleverà il bambino - e di conseguenza è sottoposta a un forte impoverimento non solo reale, ma anche simbolico.
Alcune inchiesta uscite sui giornali fanno capire che i meno abbienti tra gli occidentali che desiderano un figlio e vivono in Paesi - numerosi - in cui l'affitto dell'utero non è permesso, si rivolgono ai Paesi poveri dell'Asia, dove esistono organizzazioni specializzate nel mettere in contatto queste coppie con le future madri e realizzare l'inseminazione. In India l'organizzazione arriva a prevedere la reclusione di queste donne, durante la gravidanza, in case dove è sorvegliata l'igiene, l'alimentazione, il riposo delle gravide, in modo da garantire un prodotto migliore. E' evidente che queste donne, spesso vendute dalle famiglie, sono trattate come mucche di allevamento.
Questa mancanza di rispetto umano è presente anche in Paesi avanzati, come la California, dove la legge consente la maternità surrogata. Qui è molto più costoso aggiudicarsi un figlio, ma i controlli sono più rigorosi: no a candidate che vendono l'utero per sopravvivere - e quindi vivano in condizioni degradate -, sì solo a chi lo fa per migliorare la propria posizione sociale. Anche qui vengono controllate salute e condizioni di vita delle candidate e la stessa organizzazione che le mette in contatto con le coppie fornisce anche ovuli e spermatozoi, da comprare in caso di necessità. Ma la cosa più terribile è che le donne che affittano l'utero, attraverso la firma di un contratto, non solo devono rifiutare già da prima qualsiasi diritto sul bambino che porteranno in grembo, ma sono anche costrette ad abortire se i committenti cambiano idea o se il feto risulta "danneggiato". Per fortuna, almeno una parte delle femministe si è resa conto che si tratta di un nuovo e terribile sfruttamento del corpo femminile, una nuova schiavitù, e ha condannato questo commercio. Ma c'è ancora chi pensa sia legittimo, almeno nel caso in cui avvenga in modo volontario, senza passaggio di denaro. Come se tutto ciò che si trasmette, dal punto di vista biologico e psicologico, tra una donna e il feto che cresce nel suo grembo, non conti niente, che la donna sia un mero contenitore. Non si tratta quindi solo di una gravissima forma di sfruttamento, ma di una pericolosa negazione del valore della maternità e quindi, ancora una volta, della donna.
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