FONTE: Messaggero di sant'Antonio gennaio 2016
Articolo: "Soldi e cervello" di Ada Fonzi" (professore emerito psicologia dello sviluppo).
SOLDI E CERVELLO
"Le incessanti scoperte delle neuroscienze ci pongono di continuo di fronte a fondamentali quesiti che riguardano la sfera delle nostre responsabilità etiche e sociali. Più volte le conclusioni a cui questi studi giungono costituiscono una sorta di choc che sovverte le convinzioni alle quali siamo abituati. L'ultima doccia fredda è della primavera scorsa, quando sull'accreditata rivista "Nature Neuroscience" è apparso un articolo dal titolo inequivocabile: Reddito familiare, livello di istruzione dei genitori e struttura del cervello di bambini e adolescenti. Naturalmente i vari settimanali si sono scatenati con titoli a effetto: Non siete genitori ricchi? Il cervello dei vostri figli non si sviluppa bene o Gli effetti della povertà sul cervello dei bambini... Al di là di queste semplificazioni, i dati forniti dagli studiosi statunitensi, ricercatori dell'Hospital Los Angeles Saban Resarch Institute e del Columbia University Medical Center, sono piuttosto inquietanti. Sottoponendo a risonanza magnetica un campione di 1.099 soggetti dai 3 ai 20 anni per misurare l'estensione della superficie della corteccia cerebrale, hanno riscontrato una stretta correlazione tra tale estensione e lo stato socio-economico della famiglia. Il cervello dei bambini la cui famiglia aveva un reddito annuo di meno di 25 mila dollari aveva addirittura fino al 6 per cento in meno della superficie della corteccia rispetto ai bambini di famiglie con reddito superiore ai 150 mila dollari. Queste differenze pesano soprattutto nelle aree del cervello che presiedono allo sviluppo del linguaggio e a quelle dell'attenzione e della memoria.
Qual è il significato di tutto ciò? Chi nasce ricco è inevitabilmente più intelligente di chi nasce povero? Quasi che anni di indigenza economica e culturale dei genitori finiscano per impoverire anche il patrimonio genetico che questi trasmettono ai figli? Si potrebbe essere tentati di giungere a queste sconfortanti conclusioni anche sulla base di altri dati, sempre di stampo statunitense, che ci dicono che tutti i programmi educativi che erano impostati nel 1960 per compensare, con adeguate strategie, gli svantaggi dei bambini di 5 anni appartenenti alle classi più povere avevano avuto scarso successo, soprattutto per quanto riguardava le prestazioni dell'area scientifico-matematica.
A dirla così, sembra una sorta di condanna biblica che pesa su bambini inermi e incolpevoli. In realtà le cose sono più complesse. Non si tratta tanto, o per lo meno non solo, di una questione di geni trasmessi ereditariamente, ma di una carenza di stimolazioni di cui soffrono i bambini delle classi socialmente svantaggiate. A cominciare dal linguaggio, ambito nel quale la differenza tra bambini ricchi e bambini poveri è addirittura dell'ordine di milioni di parole, con i primi che ascoltano in famiglia 32 milioni di parole in più dei secondi. Ma non basta. Concorrono ad accentuare le differenze le possibilità che hanno i primi di fare nuove esperienze, di fruire di tecnologie avanzate, di avere, insomma, maggiori stimoli sia cognitivi che emotivi. Ecco allora che di nuovo si ripropone il vecchio dilemma se sia più forte il peso dell'eredità o quello dell'ambiente. Ma ciò che conta è che mentre sul primo elemento del binomio abbiamo scarsissime possibilità di influire, sul secondo, da cittadini responsabili, possiamo e dobbiamo intervenire in vario modo per ridurre, o meglio azzerare, le diversità tra bambini. Ma di nuovo le ricerche neuroscientifiche si incaricano di frenare il nostro entusiasmo. Si può fare e si deve fare molto, a patto, però, che si intervenga assai precocemente, prima ancora che sia arrivato il tempo del leggere e dello scrivere. A 3 anni i giochi sono già fatti. Affrettiamoci, dunque, non c'è tempo da perdere. Il nuovo anno è appena incominciato..."
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.