mercoledì 3 gennaio 2024

VIVERE INSIEME. Giovani immigrati: i vincitori

 





FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" novembre 2023.
Articolo: "Giovani immigrati: i vincitori" di RITANNA ARMENI.

C'è chi non li vuole perché "illegali":  pretendono di fuggire dalla guerra, dal terrorismo, dalla fame o dalla carestia senza regolare permesso.
C'è chi invece li vuole perché sono utili: gli italiani  non sono disponibili a fare lavori ingrati, loro invece accettano tutto, anche dieci ore di fatica con un salario da fame.
C'è, poi, chi vorrebbe accoglierli, come è giusto fare con chi ha poco o niente solo perché non è nato dalla parte giusta del pianeta.
Sono tante le percezioni, i sentimenti, le reazioni di fronte agli immigrati - i giovani immigrati, perché di giovani soprattutto si tratta - che arrivano in una Europa e un'Italia popolate da anziani.
E su ognuna di esse si potrebbe discutere e polemizzare.
Ma ne manca una, la più importante e oggi la meno chiara.
Ci è voluto un film perché mi apparisse evidente: Io capitano, di Matteo Garrone. Protagonista del lungometraggio è Seydu, 16 anni, che lascia il Senegal per raggiungere l'Italia.
Il suo è un viaggio epico nel quale sperimenta i terrificanti campi di detenzione libici, attraversa i rischi del deserto, supera difficoltà e sofferenze indicibili. Ce la fa, perché la voglia di vivere, di realizzare il proprio sogno, di essere ciò che vuole essere e non quello che altri hanno deciso, è più forte di tutto. Nulla mina l'entusiasmo, nulla uccide il seme della speranza, la decisione di farcela.  Alla fine riesce persino - lui, minorenne che non ha mai guidato neanche una barchetta - a portare in salvo, su un peschereccio disastrato, centinaia di persone.
Seydu  non è un nemico. E neppure una vittima. "Vincitore", questa  è la parola suggerita dalle vicende del giovane africano. Una parola che manca nelle analisi, nelle soluzioni che si pensa di dare al cosiddetto "problema dell'immigrazione". Ma che fa nascere un dubbio e pone una domanda: e se ciò a cui stiamo assistendo - lo spostamento di grandi masse di giovani da una parte all'altra del mondo - fosse la soluzione non alle difficoltà di chi vuole arrivare (come pensano alcuni con diffidenza, altri con pietà) ma alle nostre,  a quelle di Paesi vecchi, insoddisfatti, incapaci di entusiasmo, di immaginazione? Paesi in cui la natalità cala, i giovani non investono nel lavoro, non credono nel futuro. In cui per gli anziani e i bambini si ricorre all'amore e al servizio di chi viene da lontano, perché non abbiamo tempo di occuparci di loro. In cui un ascensore sociale, da tempo bloccato, impedisce ogni  realizzazione. In cui la mancanza di fede - in se stessi e negli altri - avvolge la vita fino a soffocarla. 
Nella vicenda di Seydu c'è una verità finora non riconosciuta. Nascosta dalla nostra presunzione. Gli immigrati che ce la fanno sono "vincitori". E lo sono anche per noi. Perché ci serve il loro  entusiasmo, la loro vitalità, il loro sguardo al futuro. Perché possono restituirci la speranza. Perché con loro possiamo - noi Paesi vecchi e delusi - rinnovare i nostri sogni. E' un grande dono quello che ci può arrivare da coloro che attraversano il Mediterraneo. Molto più grande di quello che noi possiamo fare per loro.

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