mercoledì 18 marzo 2020

VIVERE INSIEME. Uganda: coraggio e generosità


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" febbraio 2020.
Articolo: "Uganda: coraggio e generosità" di GIULIO ALBANESE.

A parte i tradizionali scenari di guerra, quasi mai è rintracciabile una sola ragione che determini la mobilità umana: persecuzioni politiche, religiose, carestie, esclusione sociale, violazioni dei diritti umani... Tutte cause che generano uno stato di diffusa insicurezza e precarietà.
Secondo i Global Trends dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), nel 2017 il continente africano ha ospitato 24,7 milioni di migranti, contro i 14,8 milioni registrati nel 2000 a livello globale. Da rilevare che, sempre nello stesso anno, stando a fonti delle Nazioni Unite, il 75 per cento di coloro che nell'Africa Sub-Sahariana hanno deciso di migrare è rimasto all'interno del continente.
Emblematico il caso dei rifugiati sud sudanesi che hanno trovato accoglienza in Uganda. Questo piccolo Paese africano ospita attualmente 1.276.208 profughi provenienti dai Paesi limitrofi. Due terzi arrivano proprio dal vicino Sud Sudan, stretto nella morsa di una sanguinosa guerra civile che ha causato in questi anni morte e distruzione. Il resto proviene da Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Somalia, Eritrea, Sudan e Etiopia.
L'Uganda ha una popolazione di oltre 44 milioni di abitanti e un Pil stimato attorno ai 28 miliardi di dollari. Per avere un confronto con l'Italia, basti pensare che la Campania ha un Pil superiore  ai 110 miliardi di dollari.
Da rilevare che l'Uganda, sebbene mantenga una ragguardevole stabilità macro-economica e risulti appetibile agli investimenti stranieri soprattutto nei settori petrolifero, agroalimentare e manifatturiero, ha il proprio tallone d'Achille nel debito pubblico. Esso è cresciuto vertiginosamente passando da 1,9 miliardi di dollari nel 2008 a oltre 11 miliardi di dollari a fine 2017, circa il 38,4 per cento di un Pil il cui valore assoluto è ancora molto basso. Eppure, nonostante l'Uganda sia un piccolo Paese col suo carico di problemi, sta affrontando a testa alta la sfida migratoria.
Hilary Onek, ministro ugandese per gli aiuti umanitari, la gestione dei disastri e i rifugiati, ha dichiarato che il suo Paese "ha continuato a tenere le porte aperte ai profughi sulla base della tradizionale ospitabiltà africana e del principio secondo cui non scacciamo chi si rifugia qui da noi in cerca di salvezza".
Significativo quanto sta avvenendo nella regione nordoccidentale del West Nile. Li vive una popolazione residenziale di circa 2 milioni 180 mila residenti che pacificamente hanno accolto e continuano ad accogliere i rifugiati sud sudanesi (oltre un milione nel 2018). E' una straordinaria lezione di umanità da una delle tante periferie del mondo, che dovremmo fare nostra e sostenere.
Si tratta di un modello di integrazione volto a conciliare gli avvenimenti umanitari con quelli dello sviluppo economico. L'esatto contrario di quanto avviene in molti Paesi occidentali in cui i rifugiati vengono considerati corpi estranei, veri e propri antagonisti nel mercato del lavoro, nell'utilizzo delle risorse e nella gestione dei servizi.
Sta di fatto che aagli stranieri ospitati in Uganda per ragioni umanitarie è concessa, almeno sotto il profilo normativo, la possibilità di svolgere un'attività lavorativa e di scegliere il proprio luogo di residenza. A ognuno dei profughi viene assegnato un appezzamento di terra su cui coltivare e costruire una casa ed è inoltre concesso dal governo di Kampala l'accesso al sistema sanitario e a quello scolastico.
Un indirizzo politico in netto contrasto con l'ossessione compulsiva per il controllo dei confini e la sicurezza in cima all'agenda di molti governi europei.

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