giovedì 22 febbraio 2018

SALUTE. La povertà invecchia?


FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" febbraio 2018.
Articolo "Il nesso tra status e invecchiamento" di ROBERTA VILLA.

La povertà invecchia.
Si potrebbe pensare che la ragione sia ovvia: chi ha minori possibilità economiche riesce a curarsi meno della propria salute e del proprio aspetto estetico.
Eppure non è tutto qui. Uno studio pubblicato su "Scientific reports" dimostra che al fenomeno contribuisce anche una sorta di marchio impresso sul genoma fin dai primi anni di vita.
Queste modifiche, dette epigenetiche, non provocano  mutazioni nella sequenza del DNA, ma contribuiscono a regolare l'attività dei geni, attraverso il legame di gruppi chimici chiamati metili. L'entità di questa metilazione rappresenta uno dei possibili meccanismi che spiegano come alcune nostre cattive abitudini (per esempio il tipo di alimentazione o la sedentarietà) possano influire sulla salute, favorendo l'insorgenza di malattie croniche e riducendo l'aspettativa di vita.
Ora un  gruppo di ricercatori internazionali che fa capo al progetto europeo "Lilepath" ha verificato su più di cinquemila persone, in Australia, Irlanda e Italia, che questo orologio biologico corre più avanti nelle persone che vivono in condizioni di deprivazione economica rispetto a chi non ha nessuna difficoltà di questo tipo.
L'effetto è particolarmente marcato per chi è nato in famiglie più povere e non è riuscito a migliorare il suo status, mentre si attenua in chi ha avuto l'opportunità di risalire i gradini della scala sociale.
La nostra salute, e di conseguenza la nostra aspettativa di vita, dipende infatti sicuramente in parte dai geni e in parte dall'ambiente in cui viviamo: le sostanze tossiche a cui possiamo essere esposti, le nostre abitudini (per esempio quanto e cosa mangiamo, se fumiamo e beviamo alcolici, quanta attività fisica svolgiamo regolarmente).
E' stato ormai ampiamente accertato, però, che tra questi fattori, detti determinanti della salute, un grandissimo peso hanno anche le condizioni socioeconomiche.
E' prevedibile che una persona che vive in estrema povertà, con un'alimentazione insufficiente, in condizioni igieniche scadenti e senza lo stesso accesso alle cure di una persona benestante, sia più esposta a una morte prematura rispetto a chi può godere di tutto il necessario.
Gli studi - di cui è capofila un ricercatore inglese, sir Michael Marmot, il cui nome è ormai diventato bandiera di questo approccio - dicono però molto di più. Anche tra un impiegato benestante e un ricco manager, con un sistema sanitario che offra una copertura universale, ci sono differenze nel rischio di malattie croniche e di aspettative di vita.
Il gradiente del benessere fisico sembra andare in media di pari passo con quello del benessere economico e, soprattutto, del grado di istruzione, a tutti i suoi livelli.
Un grande studio pubblicato l'anno scorso sulla rivista "The Lancet" dallo stesso progetto europeo "Lifepath" ha dimostrato su 1,7 milioni di persone nel mondo che questi fattori contribuiscono ad accorciare la vita più dell'abuso di alcol, dell'obesità e dell'ipertensione. La notizia di oggi, però, è che politiche sociali rivolte a garantire migliori condizioni e opportunità ai bambini sono in grado di neutralizzare il potenziale effetto negativo della situazione in cui sono nati.
Un risultato che è anche un invito a fare di più.



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