FONTE: "il venerdì di Repubblica" del 28/07/17.
Articolo: "Se un atleta vince ringrazi il suo microbioma"di GIULIANO ALUFFI.
Alla prossima vittoria del nostro sportivo del cuore, oltre che lui (o lei) faremmo bene ad applaudire gli oltre 40 mila miliardi di microbi che abitano il suo corpo, soprattutto quelli intestinali, i batteri che oggi attirano l'attenzione degli scienziati per la capacità di influenzare la salute e le prestazioni.
Una delle ricerche più importanti in questo senso è l'Athlete Microbiome Project, lanciato dalla genetista americana Lauren Petersen, che raccoglie campioni fecali e salivari di ciclisti professionisti per scoprire le differenze tra il loro microbioma e quello dell'americano medio.
A Petersen l'idea è venuta nel 2013, quando, indagando sulla sua continua spossatezza, si accorse che il suo microbioma intestinale era stato sconvolto da una cura di antibiotici: le mancavano molti dei batteri più benefici.
Trapiantò nel suo intestino i batteri di un ciclista ben allenato e già due mesi dopo si sentì molto meglio: il microbioma si era risanato.
A oggi Petersen ha trovato nei microbiomi dei ciclisti una grande biodiversità, un'abbondanza di batteri del genere Prevotella, rari nei non atleti, e un'alta concentrazione di Methanobrevibacter archaea, batterio-spazzino che consuma gli scarti della fermentazione degli altri batteri e aiuta il microbioma a funzionare meglio.
Studi recenti su rugbisti irlandesi hanno mostrato invece che anche il loro microbioma è più vario rispetto a quello dei sedentari e contiene più batteri del genere Akkermansia, capaci di ridurre l'assorbimento del cibo e quindi prevenire l'obesità.
Un domani un trapianto di microbi di atleti potrà renderci tutti più prestanti? Forse no, ma oggi un numero crescente di scienziati osserva il microbioma per trovare nuove cure.
Lo hanno fatto, per esempio, ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano con uno studio appena pubblicato su Science Advances. Questo mostra come in chi soffre di sclerosi multipla recidivante-remittente, nella fase che precede la riattivazione della malattia, la flora batterica intestinale si alteri in contemporanea con la proliferazione di un tipo di globuli bianchi cruciali per lo sviluppo della patologia. Che forse un giorno si potrà rallentare o fermare proprio intervenendo in tempo sul microbioma. Sempre questo è indicato poi come un nuovo possibile bersaglio per la prevenzione e la cura del cancro epatico: uno studio della Columbia University uscito a luglio evidenzia il ruolo dei microbi intestinali nei danni al fegato che precedono il tumore.
Infine, un'altra grave malattia che ora si collega alla flora dell'intestino è il morbo di Parkinson: uno studio pubblicato su Genome Medicine da Ullrich Wullner, medico e docente dell'Università di Bonn, mostra i cambiamenti nei microbi intestinali nelle fasi iniziali della malattia. Il loro effetto è ridurre la produzione di acidi grassi e rendere più permeabile la mucosa intestinale, favorendo un'infiammazione che sembra andare di pari passo con la neurodegenerazione.
Una delle ricerche più importanti in questo senso è l'Athlete Microbiome Project, lanciato dalla genetista americana Lauren Petersen, che raccoglie campioni fecali e salivari di ciclisti professionisti per scoprire le differenze tra il loro microbioma e quello dell'americano medio.
A Petersen l'idea è venuta nel 2013, quando, indagando sulla sua continua spossatezza, si accorse che il suo microbioma intestinale era stato sconvolto da una cura di antibiotici: le mancavano molti dei batteri più benefici.
Trapiantò nel suo intestino i batteri di un ciclista ben allenato e già due mesi dopo si sentì molto meglio: il microbioma si era risanato.
A oggi Petersen ha trovato nei microbiomi dei ciclisti una grande biodiversità, un'abbondanza di batteri del genere Prevotella, rari nei non atleti, e un'alta concentrazione di Methanobrevibacter archaea, batterio-spazzino che consuma gli scarti della fermentazione degli altri batteri e aiuta il microbioma a funzionare meglio.
Studi recenti su rugbisti irlandesi hanno mostrato invece che anche il loro microbioma è più vario rispetto a quello dei sedentari e contiene più batteri del genere Akkermansia, capaci di ridurre l'assorbimento del cibo e quindi prevenire l'obesità.
Un domani un trapianto di microbi di atleti potrà renderci tutti più prestanti? Forse no, ma oggi un numero crescente di scienziati osserva il microbioma per trovare nuove cure.
Lo hanno fatto, per esempio, ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano con uno studio appena pubblicato su Science Advances. Questo mostra come in chi soffre di sclerosi multipla recidivante-remittente, nella fase che precede la riattivazione della malattia, la flora batterica intestinale si alteri in contemporanea con la proliferazione di un tipo di globuli bianchi cruciali per lo sviluppo della patologia. Che forse un giorno si potrà rallentare o fermare proprio intervenendo in tempo sul microbioma. Sempre questo è indicato poi come un nuovo possibile bersaglio per la prevenzione e la cura del cancro epatico: uno studio della Columbia University uscito a luglio evidenzia il ruolo dei microbi intestinali nei danni al fegato che precedono il tumore.
Infine, un'altra grave malattia che ora si collega alla flora dell'intestino è il morbo di Parkinson: uno studio pubblicato su Genome Medicine da Ullrich Wullner, medico e docente dell'Università di Bonn, mostra i cambiamenti nei microbi intestinali nelle fasi iniziali della malattia. Il loro effetto è ridurre la produzione di acidi grassi e rendere più permeabile la mucosa intestinale, favorendo un'infiammazione che sembra andare di pari passo con la neurodegenerazione.
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