giovedì 17 agosto 2017

GIOVANI E RAGAZZI. Giocare con la vita


FONTE: "MISSIONARI SAVERIANI" giugno/luglio 2017.
Articolo "La vita non è un gioco..." di DIEGO PIOVANI.


Con sempre più insistenza stanno emergendo particolari inquietanti sul videogioco online "Blu Whale" (Balena Blu). Forse di creazione russa, il "gioco" impone il superamento di 50 prove. Le prime sono banali, poi ne seguono altre basate sull'autoumiliazione, fino all'ultima: il suicidio.
Sembra che si possa partecipare postando un hashtag civetta. A questo punto una specie di "arbitro" si mette in contatto con l'interessato che fornisce man mano le istruzioni del gioco. Le prove possono essere di qualsiasi tipo: farsi i selfie in situazioni pericolose, ascoltare una canzone e il 50° giorno, appunto, suicidarsi filmando la scena.

Questo "arbitro" impedisce di tirarsi indietro con minacce di ritorsione alla famiglia. Il nome del gioco si riferisce proprio alle balene che si spiaggiano. I suicidi, soprattutto tra gli adolescenti, ci sono stati in tutto il mondo. In Italia, il caso è stato portato alla ribalta da un noto programma televisivo e da un video (diventato virale) di una ragazza che racconta di essersi salvata solo grazie all'intervento delle amiche che l'hanno scoperta a... giocare.

Se il pericolo riguarda ragazzi e ragazze, mi pare corretto sollevare l'allarme (senza creare allarmismi) anche in questa rubrica, perché molti giovani hanno a che fare con gli adolescenti (familiari, ragazzi di grest e campi estivi, catechismo, sport, scuola...).
Il problema non è solo il pericolo virtuale (quello che una volta faceva paura nelle strade ora si annida in una connessione internet), ma l'uso che si fa degli strumenti della rete.
I genitori sono chiamati a vigilare sui comportamenti dei figli: chi incontrano, come navigano, se hanno ferite autoinflitte..."Gli adulti devono essere educatori, interlocutori affidabili sull'uso delle nuove tecnologie", ha spiegato lo psicanalista Giuseppe Maiolo. Per questo, l'ignoranza non è ammessa. Bisogna tornare a studiare, per sapere: "Non devono scimmiottare i figli, ma dimostrarsi capaci di rimanere in contatto con loro".
Il rischio dei cosiddetti nativi digitali è che virtuale e reale non siano più due aspetti distinti. Oggi, si può stare in contatto con gli amici, senza uscire dalla propria camera. Anche la scuola sembra meno necessaria, perché tutto si può apprendere in altro modo. E anche là dove non fanno niente di male, è importante offrire gli strumenti per capire.
"Anche i ragazzi in apparenza senza problemi possono diventare facilmente cyberbulli, se non capiscono la differenza tra gioco e ciò che è pericoloso e offensivo", spiega Maiolo. Già i bambini più grandi delle scuole elementari conoscono e possono attuare pratiche come il "vamping" (messaggi minacciosi spediti ai coetanei nella notte).

Il vocabolario, ahinoi, si aggiorna di termini inglesi nuovi, che dicono di rischi gravi da conoscere e riconoscere (phishing-truffa via e-mail, parming-truffa che attacca i server, sexting-video, testi e immagini sessualmente espliciti inviati via telefono, grooming-adescamento sessuale di minori attraverso internet). Negli ultimi 10 anni, tutto è cambiato. Essere inconsapevoli porta molti rischi.

E mentre questi fenomeni si moltiplicano, sono quotidiani e hanno anche manifestazioni meno eclatanti ma altrettanto gravi (insegnanti ripresi a loro insaputa durante le lezioni e poi sbeffeggiati sui social), nel Mediterraneo i coetanei dei nativi digitali lottano in un mare dove le balene blu non sono un videogame.





Nessun commento: