mercoledì 18 novembre 2015

FILM. Everest


Diretto da Baltasar Kormakur, il film ha per protagonisti Jake Gyllenhaal, Josh Brolin, John Hawkes, Jason Clarke, Robin Wright, Michael Kelly, Sam Worthington, Keira Knightley, Emily Watson,

Genere: Avventura , Drammatico, Thriller.

Non si può essere romantici con la montagna, soprattutto se si è alpinisti, soprattutto se da voi dipende la vita di altre persone. E di romanticismo "pecca" il protagonista di Everest, perseverando quando invece avrebbe dovuto fermarsi. Eppure Rob Hall lo sa bene. Un'alpinista sa quando la ragione deve dominare la passione e il piacere verticale che procurano le sfide estreme e i territori inesplorati. Ma quel piacere Rob non vuole negarlo a Doug, amico e cliente che ha qualcosa da dimostrare a se stesso e ai bambini della scuola frequentata dai suoi figli.
A un passo dalla vetta e in quella decisione azzardata sta il senso del "film di montagna" di Baltasar Kormakur, che recupera un genere cinematografico popolare negli anni Venti e Trenta in Germania e polemizza sulla globalizzazione del viaggio che snatura la natura e i popoli che incontra. Nelle cosmogonie la montagna è il luogo delle origini, l'asse verticale di congiunzione tra il mondo celeste delle potenze divine e il mondo terreno. Il percorso dal basso all'alto per ascenderla è un'iniziazione, un cambiamento di status per chi la sfida, trascendendo in qualche modo la condizione umana. La pratica dell'alpinismo per molti aspetti si inscrive in questa logica, nella logica di purificazione e di dominazione del mondo che procura l'ascesi.
Kormakur, scalando il suo Everest tra suspense e vertigine, rimpiange quell'intendimento e denuncia le ascensioni turistiche di massa che attrezzano montagne indomabili, enfatizzano la spettacolarità delle sue attrazioni (naturali e culturali) e allargano a dismisura il campo base. Everest conduce gli attori in parete ed esplora il sentiero sbagliato infilato dall'occidente. In perfetto equilibrio tra crepacci e ghiacciai, il regista islandese sale con le masse, avanza con le mode e "arrampica" i profanatori contro cui la "fede" di Rob Hall, eletto dagli dei a toccare cinque volte la vetta dell'Everest, non può più nulla. La "democratizzazione" della montagna, contaminata con sprovvedute ambizioni e lattine sfondate, quelle che Rob raccoglie turbato, ne ha depotenziato la sfida (drammatica, sportiva, poetica, simbolica). Sfida alla base di un genere prodotto dal XIX secolo, che inventò il cinema e la montagna e li mise l'uno al servizio dell'altra.
Lontano dall'essere un film giocattolo, Everest, condotto "su corda" da Jason Clarke e Jake Gyllenhaal, congela gli aspetti eroici dell'alpinismo e smaschera la visione ludica (e prosaica) dell'arrampicata (sociale). Il viaggio sentimentale, l'attitudine contemplativa, la conquista fisica, la montagna come luogo dei valori svaniscono dentro una tempesta e un disappunto (di natura) che suona come ultima parola. Perché come diceva George Mallory, alpinista inglese morto sulla celebre vetta nel 1924, l'Everest "è lì" a ricordarci il rispetto che si deve alla natura alle altezze inaccessibili. Tratto dal saggio di Jon Krakauer (("Aria Sottile"), giornalista di "Outside" sopravvissuto alla spedizione del 1996 in cui morirono otto persone, Everest chiude su un'ultima ascesa, quella della macchina da presa a cercare un "risveglio", un nuovo funambolico ardimento, destinato a cancellare da altre pareti la parola impossibile e a ritrovare il valore e la dimensione della professionalità. Una competenza declinabile con moralità.

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